Notizie tratte da: Antonella Beccaria, Gigi Marcucci # I segreti di Tangentopoli. 1992: l’anno che cambiò l’Italia # Newton Compton editori Roma 2015 # pp. 256, 4,99 euro., 5 aprile 2015
Notizie tratte da: Antonella Beccaria, Gigi Marcucci, I segreti di Tangentopoli. 1992: l’anno che cambiò l’Italia, Newton Compton editori Roma 2015, pp
Notizie tratte da: Antonella Beccaria, Gigi Marcucci, I segreti di Tangentopoli. 1992: l’anno che cambiò l’Italia, Newton Compton editori Roma 2015, pp. 256, 4,99 euro.
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«I soldi pubblici non sono soldi di nessuno, ma di tutti. I politici che se ne approfittano fanno schifo».
[Matteo Renzi]
Nel 2012 arriva la normativa anticorruzione, denominata legge Severino. Silvio Berlusconi è condannato per frode fiscale con sentenza definitiva. Deve dare l’addio al seggio parlamentare e rinunciare al titolo di cavaliere. Il Paese ha finalmente imboccato la strada giusta. Forse.
Secondo l’Eurobarometro del 2013 sulla corruzione il 97 per cento dei cittadini intervistati considera il fenomeno dilagante (contro una media UE del 76 per cento) e il 42 per cento afferma di subire personalmente la corruzione nel quotidiano (media UE 26 per cento). Per l’88 per cento, corruzione e raccomandazioni sono il modo più semplice per accedere a determinati servizi pubblici. (media UE 73 per cento).
«Fino a Mani pulite si rubava sopratutto per fare politica. Oggi è il contrario, molti fanno politica per trovare occasione di rubare».
[Giovanni Maria Flick]
L’Italia ha un’evasione fiscale che è la più alta in Europa, ha una vocazione nazionale al falso in bilancio ed è soprannominata proprio per questo Nerolandia. Gli evasori potenziali sono circa 6 milioni e i controlli si sono fermati a quota 661 mila nel 2013. Le nuove norme sul falso in bilancio sono in cantiere, ma ferme alla Camera dal luglio 2014.
Vigilia di Natale del 2014. Sul sito di palazzo Chigi viene pubblicato un testo del decreto che depenalizza reati gravi come la frode fiscale, false fatturazioni e omessa dichiarazione dell’iva, dissolti come per incanto sotto la soglia del 3 per cento dell’imponibile calcolato per l’anno di imposta. Una novità di cui pochi sembrano essere a conoscenza e di cui il premier Matteo Renzi non parla nella conferenza stampa di fine anno. Eppure le conseguenze di quel testo sembrano molto rilevanti. In pratica, è come dare licenza di truffare, punita con una semplice sanzione amministrativa anche se al fisco vengono sottratti milioni di euro: maggiori sono i redditi, minori saranno le probabilità che la somma evasa superi la percentuale prevista dal codicillo.
«Il mose è un’opera di ingegneria civile e ambientale finalizzata alla difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte attraverso la costruzione di paratoie mobili piazzate in corrispondenza dei varchi che collegano la laguna stessa al mare aperto: Lido, Malamocco e Chioggia. Il 4 giugno 2014, nelle prime ore del mattino, un blitz delle Fiamme gialle porta all’arresto di 35 persone tra imprenditori, manager, amministratori e politici coinvolti in un circolo di tangenti nell’ambito dei finanziamenti al progetto. I capi d’imputazione riguardano una sfilza di reati degni della migliore tradizione tangentista: corruzione, concussione e finanziamento illecito di uomini politici. Tra gli arrestati figurano Renato Chisso, già potentissimo assessore regionale alle Infrastrutture dal 2000 (pdl), accusato di corruzione; il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni (pd), accusato di aver percepito finanziamenti illeciti di 450-550 mila euro per la sua campagna elettorale da sindaco nel 2010. Indagato anche l’ex vicecomandante nazionale della Guardia di finanza Emilio Spaziante, accusato di aver fornito dietro compenso ad altri indagati informazioni riservate sulle indagini in corso e su alcune verifiche fiscali operate dalle Fiamme gialle sulle attività del Consorzio Nuova Venezia, sfruttando le sue conoscenze e il suo potere all’interno del corpo e incassando 500 mila euro dal Consorzio.
La corruzione è come il sesso: bisogna farlo almeno in due.
Tangentopoli è una ruota in perpetuo movimento.
«Sulle coste della Tunisia. Ad Hammamet, cittadina turistica adagiata sul golfo di Cap Bon, c’è chi appena dopo la metà di gennaio 2015 scende da un aereo indossando una maglietta nera su cui campeggia in rosso proprio quella frase, «Je suis Craxi», con garofano ricamato accanto. L’occasione è il quindicesimo anniversario della morte del segretario socialista che lì si era rifugiato nel 1994 per evitare le condanne conseguenti a un’inchiesta esplosa due anni prima a Milano».
Bettino Craxi continua a essere chiamato “esule” invece che “latitante”, inoltre c’è chi sopravvisse a quella stagione giudiziaria rimanendo sulla breccia pubblica italiana, come Giuliano Amato, che con Craxi ha condiviso le responsabilità politiche di quel periodo ma non quelle penali.
«Il vice di papà andrebbe al Quirinale. Colui che ha condiviso nel bene e nel male con Craxi tutte le responsabilità del psi. Craxi morto in esilio, Amato presidente della Repubblica. È una bella notizia». [Stefania Craxi]
«Addio Brutta Epoque! Congedo illimitato all’ingordigia di élite e all’eccitata “mediocrità” di massa, commiato definitivo alle pirlate del consumismo d’animazione. Diamo il benvenuto agli anni Novanta reclamizzando bontà, sobrietà e moderazione».
[Roberto D’Agostino il 7 gennaio 1990 sul settimanale «l’Espresso»]
Secondo il Centro di ricerca e di documentazione Luigi Einaudi di Torino il costo del malaffare si aggira intorno ai 110 mila miliardi, denaro che avrebbe potuto trasformarsi in 500 mila appartamenti popolari da 100 metri quadrati l’uno, un milione di aule scolastiche o 1 milione e 833 mila stanze d’ospedale.
Per costruire un chilometro di metropolitana a Milano si spendono 192 miliardi al chilometro mentre ad Amburgo non si va sopra i 45.
«L’ingegner Mario Chiesa [...] è stato arrestato questa sera dai carabinieri con l’accusa di concussione. Lo hanno reso noto gli investigatori con un comunicato diramato in serata [...]. Il segretario cittadino del psi, Vittorio Craxi, dopo aver appreso la notizia dell’arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio al termine dei lavori della seduta del consiglio comunale, ha detto che il partito socialista renderà noto domani ufficialmente la sua posizione in merito alla vicenda. “Non conosciamo esattamente i fatti – ha detto Vittorio Craxi – Certo è però che il psi è totalmente estraneo a questa vicenda”. “Anche se – ha aggiunto – Mario Chiesa è un noto esponente socialista”. Il Pio Albergo Trivulzio è una delle vecchie istituzioni milanesi. Nacque come ente benefico fondato da privati e affidato in gestione al Comune di Milano agli inizi di questo secolo. Attualmente ha come ospiti più di un migliaio di anziani. È stato recentemente inaugurato un nuovo padiglione. Gestisce anche un notevole patrimonio immobiliare, frutto di donazioni da parte di privati [...]. L’ordine di custodia cautelare è stato notificato a Mario Chiesa alle 19, all’interno degli uffici del Pio Albergo Trivulzio, dove si sono presentati tre carabinieri in borghese. I militari lo hanno portato, sulla Alfa 164 dell’istituto, alla caserma [...] dove lo attendeva il sostituto procuratore Di Pietro. L’interrogatorio è avvenuto subito, alla presenza degli avvocati difensori Roberto Fanari e Nerio Diodà. Al termine dell’interrogatorio, durato più di due ore, Chiesa è stato raggiunto dalla moglie e dalle due figlie. Alla fine dell’atto istruttorio, magistrato, carabinieri e avvocati difensori non hanno voluto dire nulla dell’oggetto dell’inchiesta. Prima di presiedere il Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa è stato assessore provinciale ai Lavori Pubblici».
«Quando Di Pietro interroga qualcuno, che lo faccia nel suo ufficio in procura (la stanza 254 del quarto piano, la più grande) o nella saletta colloqui di San Vittore, offre cioccolatini Ferrero Rocher e poi parte con le domande, finendo immancabilmente per sbattere la manona da uomo di fatica sulla scrivania mentre chiede: «Ma insomma, a chi cavolo li davi questi soldi?». Intanto, sedendosi, ha sollevato l’orlo dei pantaloni lasciando vedere il calzino, sempre corto. Se gli prude una caviglia non si fa problemi, si gratta fino a quando il fastidio cessa. «Sono mica un fine giurista, io», dice di se stesso il magistrato. E all’opinione pubblica, ma ancor prima ai giornalisti, quella rudezza, quelle maniere da contadino, piacciono perché non ne fanno una macchietta. Non è il mister Bean della magistratura, ma un simbolo, un vessillo da contrapporre ai modi affettati dei politici, ai loro discorsi colti e non sempre comprensibili, ma che non possono nascondere una realtà divenuta evidente, incontrovertibile, per l’uomo della strada: se non sono corrotti gli uomini dei partiti hanno lasciato le porte aperte alla corruzione».
«Cerchiamo una cosa, ne scopriamo dieci».
[I magistrati riguardo a Mani pulite]
Gli imprenditori iniziano a parlare subito. Nel complesso, sono state pagate tangenti per 150 miliardi tra lavori sanitari (non più solo la Baggina, il Sacco e il Fatebenefratelli, ma anche il Gaetano Pini, il Paolo Pini, l’ospedale Niguarda, e l’ipab, l’Istituto pubblico di assistenza e beneficenza), infrastrutturali (come quelli di Malpensa 2000, lavori per 148 miliardi) e edili.
Si specula su tutto, anche sui morti. Riciclo di materiale funerario: urne, lapidi, statuette di bronzo e addirittura casse di zinco e bare di legno recuperate dai precedenti proprietari vengono rivendute come nuove per cifre tra uno e due milioni di lire. Il malaffare su cui indagano i magistrati riguarda anche gli obitori, ma soprattutto i cimiteri, a cominciare dal Maggiore e da quello di Musocco. Un business enorme, che riguarda 60 imprese che controllato il 70 per cento del mercato, 11 mila funerali all’anno più i 3 mila a carico del Comune.
«Craxi, ogni settimana si scopre trenta-quaranta miliardi che ha rubato in più. O ndo’ li ha messi? Un conto qua, uno là. Oramai anche io quando sono a casa, guardo sotto il divano: avesse lasciato cinquecentomila lire qua. Fortunato chi lo incontrava, che prendeva soldi».
[Roberto Benigni]
«Chi non salta socialista è» o «San Vittore, facci sognare».
[Le diecimila le persone che, nel giorno numero 84 dell’inchiesta Mani pulite, si danno appuntamento davanti al palazzo di Giustizia e urlano slogan da stadio rivisitati]
Iniziano a circolare due versioni rivedute e corrette del gioco del Monopoli. Si chiamano Tangentopoli in entrambi i casi. Con l’inoltrarsi della stagione estiva, arriva anche un simil Gioco dell’oca per giocatori-imprenditori che hanno lo scopo di aggiudicarsi il maggior numero di appalti, superando un percorso-labirinto fatto di ottusi burocrati, funzionari corrotti e politici ingordi.
«Una radio privata lancia una proposta agli ascoltatori napoletani: per richiedere una canzone, non basterà più telefonare, ma occorrerà proporre anche una tangente all’interno di una trasmissione. Lo slogan «mai niente per niente».
I giornali stranieri si occupano delle vicende italiane e per descrivere il Belpaese ricorre un’espressione, «tangenti e mazzette», che va ad allungare l’elenco degli stereotipi sulla penisola.
Un parroco, a Modena, davanti al vescovo invita i fedeli a rivolgere a Dio un’invocazione bizzarra – «Noi ti preghiamo: mandaci un Di Pietro. Ascoltaci, o Signore».
Anche la pubblicità decide di cavalcare l’inchiesta Mani Pulite e Benetton, attraverso un scatto del suo fotografo di fiducia, Oliviero Toscani lo fa con un manifesto che, per vendere capi d’abbigliamento, usa l’immagine di uomini ammanettati.
«Politici buoni non ne conosco, sono in genere gli stupidi, di politici cattivi ne conosco, ci sono quelli intelligenti e quelli stupidi».
[Giuliano Ferrara]
8 maggio del 2014: sette persone arrestate, di cui sei in carcere, una ai domiciliari. Nel mirino della magistratura sono finiti gli appalti per l’Expo, la grande esposizione internazionale del 2015 dedicata al cibo fortemente desiderata da Romano Prodi e Letizia Moratti, all’epoca rispettivamente presidente del Consiglio e sindaco di Milano. Tangenti dai costruttori che vogliono assicurarsi appalti miliardari, mediatori che assicuravano carriere strepitose ai pubblici funzionari che avevano truccato le aste.
«È tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara più tosto la ruina che la preservazione sua».
[Niccolò Machiavelli]
Nei primi mesi dell’inchiesta si registrano i primi suicidi. All’alba del 23 maggio 1992 decide di farla finita Franco Franchi, 54 anni, il coordinatore amministrativo dell’usl. Si uccide con il gas di scarico della sua Honda Civic nera dopo una notte trascorsa a guidare senza meta, accanto gli articoli di giornale sulla vicenda che lo riguarda: per quanto non sia indagato né sia stato ventilato questo rischio, il suo nome nei verbali non è mai entrato, nonostante il suo diretto superiore sia finito a San Vittore dieci giorni prima con l’accusa di concussione aggravata. A scegliere di togliersi la vita sono in parecchi, undici fino al luglio 1993.
«Egregio signor presidente, ho deciso di indirizzare a lei alcune brevi considerazioni prima di lasciare il mio seggio in Parlamento, compiendo l’atto conclusivo di porre fine alla mia vita. [...] Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste regole. Mi rendo conto che spesso non è facile la distinzione tra quanti hanno accettato di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito e quanti invece ne hanno fatto strumento di interessi personali. Rimane comunque la necessità di distinguere, ancora prima sul piano morale che su quello legale. Né mi pare giusto che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive, a cui è consentito di distruggere immagine e dignità personale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto d’informazione, ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie. A ciò si aggiunge la propensione allo sciacallaggio di soggetti politici che, ricercando un utile meschino, dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori. Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che si merita coltivando un clima da “pogrom” nei confronti della classe politica, i cui limiti sono noti, ma che pure ha fatto dell’Italia uno dei Paesi più liberi dove i cittadini hanno potuto non solo esprimere le proprie idee, ma operare per realizzare positivamente le proprie capacità e competenze. Io ho iniziato giovanissimo, a soli 17 anni, la mia militanza politica nel psi. Ricordo ancora con passione tante battaglie politiche e ideali, ma ho commesso un errore accettando il “sistema”, ritenendo che ricevere contributi e sostegni per il partito si giustificasse in un contesto dove questo era prassi comune, né mi è mai accaduto di chiedere e tanto meno pretendere. Mai e poi mai ho pattuito tangenti, né ho operato direttamente o indirettamente perché procedure amministrative seguissero percorsi impropri e scorretti, che risultassero in contraddizione con l’interesse collettivo. Eppure oggi vengo coinvolto nel cosiddetto scandalo “tangenti”, accomunato nella definizione di “ladro” oggi così diffusa. Non lo accetto, nella serena coscienza di non aver mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la parola è flebile, non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessione più seria e più giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi. Mi auguro soprattutto che possa servire a evitare che altri nelle mie stesse condizioni abbiano a patire le sofferenze morali che ho vissuto in queste settimane, a evitare processi sommari (in piazza o in televisione) che trasformano un’informazione di garanzia in una preventiva sentenza di condanna. Con stima».
[Sergio Moroni in una lettera indirizzata al presidente della Camera Giorgio Napolitano]
Il 23 giugno a Capaci viene assassinato il giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Poche settimane più tardi, viene ucciso il suo amico e collega Giovanni Borsellino a Palermo, in via d’Amelio, e con lui perdono la vita i cinque agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
In Italia torna l’esplosivo come strumento per condizionare la vita politica, per ridurre a “trattativa” lo Stato con Cosa nostra in uno scenario in cui si muovono ufficiali dei carabinieri e dei servizi segreti, depistatori e capri espiatori.
Attraverso il sistema delle tangenti o dei contributi volontari provenienti dagli imprenditori il sistema dei partiti ha trovato l’unico modo, almeno per quanto riguarda noi a Milano, per non morire di fame [...]. Questo era l’unico sistema per poter sopravvivere alle continue e costanti esigenze finanziarie che la struttura dei partiti e degli impegni elettorali comportavano [...].
[Maurizio Prada]
Sono sempre stato al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito. L’ho cominciato a capire quando portavo i pantaloni alla zuava [...]. In Italia il sistema di finanziamento ai partiti e alle attività politiche in generale contiene delle irregolarità e delle illegalità, io credo, a partire dall’inizio della storia repubblicana [...]. Da decenni il sistema politico aveva una parte, non tutto, una parte del suo finanziamento, che era di natura irregolare o illegale; e non lo vedeva solo chi non lo voleva vedere e non ne era consapevole solo chi girava la testa dall’altra parte. I partiti erano tenuti ad avere dei bilanci in Parlamento, i bilanci erano sistematicamente dei bilanci falsi, tutti lo sapevano, ivi compreso coloro i quali avrebbero dovuto esercitare funzioni di controllo.
[Sergio Cusani]
Nel corso dell’estate e dell’autunno 1992, otto proposte di legge invocheranno la prigione per i giornalisti accusati di aver violato il segreto istruttorio e alcune giungeranno anche a essere discusse in Commissione giustizia, alla Camera.
15 dicembre 1992: primo avviso di garanzia a Craxi. Si riferisce a una tangente da 36 miliardi finita nelle casse del Partito socialista. Le ipotesi di reato formulate dal pool comprendono il concorso in corruzione, ricettazione e finanziamento illecito dei partiti.
Primi dieci mesi mesi di Tangentopoli: 95 inquisiti, 77 arrestati (39 politici, 33 imprenditori, 5 funzionari pubblici) e 16 avvisi di garanzia destinati a parlamentari della Repubblica.
«Mi hanno già seppellito, meno male che ho fatto i buchi nella bara e continuo ancora a respirare... Debbo dire che mi trovo nella singolare e privilegiata condizione di chi, essendo ancora perfettamente vivo, può leggere i suoi necrologi, epitaffi e scritti in memoria... E tra un anno che sarà? Come si dice: anno nuovo, vita nuova».
[Bettino Craxi]
Il 5 marzo 1993 il presidente del Consiglio Giuliano Amato vara quattro decreti e due proposte di legge di cui uno che depenalizza il finanziamento illecito ai partiti. Oltre alla reazione prevedibile delle piazze (scandita da slogan come «rubare, rubare non è reato, il Parlamento ce l’ha insegnato»), il “colpo di spugna” provoca anche la risposta infuocata del pool di Milano, a cui nel frattempo si è aggiunto il sostituto Pierluigi Maria Dell’Osso, che da un decennio cerca di decifrare i segreti del Conto Protezione. Quei decreti, tuttavia, sono destinati a morire subito, dato che il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro non li firma. Ci si riprova il 13 luglio 1994. L’attenzione degli italiani è concentrata sui mondiali di calcio che si stanno disputando negli Stati Uniti, campionati ormai giunti in prossimità della finale giocata tra gli azzurri e il Brasile. Quel giorno la nazionale deve battere la Bulgaria. È in quei momenti che si riunisce il Consiglio dei ministri per varare un decreto che prende il nome dall’allora guardasigilli, Alfredo Biondi, battezzato poi decreto “salva ladri”. Nella sostanza, si vogliono modificare i termini della custodia cautelare, riducendone i tempi e trasformandolo in un’eccezione a cui ricorrere solo quando c’è un reale rischio di fuga. Ancora una volta, intervengono i magistrati del pool Mani pulite che il 14 luglio si presentano in televisione al completo, compreso Francesco Greco, per annunciare il loro trasferimento, lo scioglimento della squadra inquirente e forse addirittura le dimissioni dei pubblici ministeri. A un visibilmente emozionato Antonio Di Pietro viene affidata la lettura di un comunicato congiunto: Fino a oggi abbiamo pensato che il nostro lavoro potesse servire a ridurre l’illegalità nella società. L’odierno decreto-legge, a nostro giudizio, non consente più di affrontare efficacemente i delitti su cui abbiamo finora investigato. Infatti persone raggiunte da schiaccianti prove in ordine a gravi fatti di corruzione non potranno essere associate al carcere neppure per evitare che continuino a delinquere o a tramare per impedire la scoperta dei precedenti misfatti, talora persino comprando gli uomini a cui avevamo affidato indagini nei loro confronti. Come magistrati abbiamo applicato e applicheremo le leggi quali che esse siano. Pertanto, come prescritto dal decreto legge, abbiamo chiesto all’ufficio del giudice per le indagini preliminari di sostituire la custodia in carcere nei confronti di tutte le persone detenute nell’ambito delle indagini Mani pulite. Tuttavia, quando la legge, per le evidenti disparità di trattamento, contrasta con i sentimenti di giustizia e di equità, diviene molto difficile compiere il proprio dovere senza sentirsi strumento di ingiustizia. Abbiamo pertanto informato il procuratore della Repubblica della nostra determinazione di chiedere al più presto l’assegnazione ad altro e diverso incarico, nel cui espletamento non sia stridente il contrasto fra ciò che la coscienza avverte e ciò che la legge impone. Nella sua breve esistenza il provvedimento – bocciato definitivamente il 21 luglio alla Camera da 418 deputati (33 hanno votato a favore e 41 gli astenuti) – porta a numerose scarcerazioni.
«Anche un tamponamento, se altre minacce non sono bastate, può farti capire che stai dicendo troppo, che la pazienza dei boss è agli sgoccioli».
[Lirio Abbate]
Il 12 dicembre 2012 esce un articolo in cui Abbate spiega che la città è sotto il controllo di quattro clan criminali: Casamonica, Senese, Fasciani e Carminati. I loro boss esercitano sugli affari della capitale un potere diffuso e incontrollato, tanto da meritarsi il titolo I quattro re di Roma. Massimo Carminati, una lunga militanza nel neofascismo e nella Banda della Magliana, è probabilmente quello con maggiore carisma.
Il potere di Carminati nasce dalla strada, «perché nella strada comandiamo noi, tu avrai sempre bisogno della strada». È la teorizzazione del «mondo di mezzo»: sopra i vivi, sotto i morti, in mezzo ci siamo noi. Citazione di j.r.r. Tolkien, scrittore caro ai neofascisti, che non a caso negli anni Settanta intitolavano agli Hobbit, creature tolkeniane, i loro campi estivi. Il mondo di sopra è quello della politica, che decide gli appalti, e su cui Carminati e i neri che lo affiancano non sembrano fare distinzioni di colore.
«Berlusconi? Gli do una mano robusta perché io qua c’ho l’archivio dei fratelli massoni di tutta Italia. Forza Italia è l’unica speranza che c’è in Italia oggi... Dico una sola cosa: Forza Italia... Io porto il candidato al Senato Fierotti, un un uomo meraviglioso...Votate tutti per Berlusconi nella lista di Forza Italia nella terza scheda... Per il Senato il nostro candidato è La Loggia, rapporti ottimi, ci siamo incontrati qui a Palermo».
[Giuseppe Mandalari, massone e commercialista di fiducia di Totò Riina]
«La mafia è come un avvoltoio che non scende dove c’è il pulito, scende dove sente il puzzo della carne marcia».
[Nino Di Guardo]
30 aprile 1993: Davanti all’hotel Raphael la folla lancia monetine verso Craxi e il suo staff.
6 dicembre 1994: Di Pietro finisce di pronunciare la sua requisitoria al processo Enimont e alle 16:45 si toglie la toga. Rimasto in maniche di camicia, si rimette la cravatta e dice addio al suo lavoro di magistrato inquirente. Lo fa perché le sue traversie giudiziarie, solo all’inizio, non si riverberino su tutto il pool, come spiega lui stesso, ma anche perché, come testimonierà nel 1997 Borrelli a Brescia, i tempi erano cambiati e si era esaurita la linfa che consentiva all’inchiesta Mani pulite di procedere. «Da cacciatore sono diventato lepre», dice.
Dopo il gesto di Di Pietro, la piazza torna a prendere la parola con slogan vari. «Non ci deve abbandonare», urla la folla con le fiaccole in mano. «Di Pietro non deve andare via, deve restare fino in fondo»; «noi lo aiutiamo, vogliamo giustizia»; «se è stanco, che si prenda un attimo di riposo, ma dopo deve ritornare, ci deve difendere»; «era la nostra speranza di pulizia». Queste sono solo alcune delle frasi che i cittadini pronunciano ai microfoni dei cronisti appresa la notizia, mentre a palazzo di giustizia arrivano almeno 200 telegrammi di solidarietà.
22 novembre 1994. Silvio Berlusconi, in qualità di capo del governo, presiede a Napoli il vertice internazionale sulla criminalità organizzata . Il Corriere della Sera in prima pagina riporta una notizia: il Cavaliere è stato raggiunto da un avviso a comparire da parte del pool di Milano per rispondere a domande sull’ipotesi di concorso in corruzione. La vicenda contestata, e per la quale sarà interrogato per 7 ore il 13 dicembre 1994 da un pool di cui Di Pietro non fa più parte (sono presenti Pier Francesco Borrelli, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo), si cala nell’inchiesta sulla Guardia di finanza per le verifiche fiscali alla Mondadori, alla Videotime e alla Mediolanum. Berlusconi va su tutte le furie perché, oltre a proclamarsi innocente, accusa i magistrati di aver soffiato del provvedimento alla stampa prima che al diretto interessato.
Dal 1992 al 2002 le persone coinvolte sono 4520, i condannati in via definitiva 1254 e i prosciolti 430, mentre quelli usciti dalle indagini per prescrizione 4221. La quota che manca, tolti gli assolti e gli indagati nel frattempo deceduti contro i quali non si procede più, esce di scena dai processi: nel frattempo, infatti, sono cambiate alcune leggi, depenalizzando comportamenti prima penalmente censurabili.
A inizio 2015 i detenuti per corruzione, a livello nazionale, sono 336 su una popolazione carceraria di quasi 54 mila persone, circa uno su 150. Che, tradotto in termini relativi, significa lo 0,4 per cento contro una percentuale del 4 degli altri Paesi europei. Lo afferma uno studio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il dap, condotto per conto di SkyTg24.
«La corruzione ha assunto ormai una dimensione intollerabile. Per combatterla serve una vera e propria rivoluzione culturale. Un’ampia parte del Paese vive nell’illegalità e ciò spiega anche l’origine del degrado politico, economico e sociale. La corruzione ha superato il livello di guardia per la sua intensità e pervasività, riguardando ormai tutti i settori della società. Resta però sostanzialmente impunita anche a causa della prescrizione che normalmente falcidia proprio i reati di questo tipo. Un’ampia parte del Paese vive nella illegalità e della legalità. E ciò spiega anche l’origine del degrado politico, economico e sociale. Si tratta di fenomeni che non si possono combattere soltanto da un punto di vista giudiziario, ma occorre una vera e propria rivoluzione culturale».
[Antonio Marini, procuratore generale presso la corte d’Appello di Roma]
Quando le analisi chimiche accertano una pericolosa concentrazione di atrazina (altemente tossica) nell’acqua usata per le coltivazioni il problema viene subito risolto con un tratto di penna, innalzando per decreto il livello oltre il quale la presenza di atrazina era nociva. Questa è l’Italia.