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 2015  aprile 03 Venerdì calendario

PERISCOPIO

L’opposizione di Landini da una parte e di Salvini dall’altra, per quanto virulente a parole, nei fatti, più che a una tenaglia pronta a stritolare il premier, somiglia a due confortevoli guanciali tra cui riposare. Aldo Cazzullo. Corsera.

Sono trent’anni che c’è chi lavora per noi, con i nostri soldi e con quelli europei, e sa spenderli, creare convenienze e profitti per chi sa fare gli appalti e portarli a compimento. Buttateli tutti in galera, poi ci pensa Erri De Luca a farci viaggiare. Giuliano Ferrara. Il Foglio.

C’è una grandissima differenza. Berlusconi aveva contro (ferocemente contro) metà dell’Italia e, per conseguenza, anche una grande quantità di persone che contavano tantissimo, sia dentro che fuori il Paese. Renzi invece è accusato di autoritarismo solo da una minoranza (sinistra Pd, Cinque stelle, una parte del sindacato), per lo più composta da sconfitti, molti dei quali, presumibilmente. in marcia verso una definitiva marginalità politica. Angelo Panebianco. Corsera.

Gli avversari di Renzi nel Pd sono po’ capponi a testa in giù di Renzo (oltre che di Renzi, si capisce) e un po’ anche ardimentose e parecchio irrisolute comparse dell’Aida. Al giornaliero «partiam! partiam!» mai un passo segue: né avanti né indietro, né a est né a ovest, a battere il piedino sempre dove stanno. Insieme, marcianti e immobili. Le cronache che li riguardano sono aggrovigliate come le scale di Escher: né si capiscono da dove partono né si comprende dove arrivano. Stanno là, pendenti e indecifrabili, col passare dei mesi sempre più suggestivi come un cantiere edile in disuso, sempre alla cavillosa ricerca di «un cece in domo». C’è chi narra di D’Alema contro Bersani, di Bersani contro Speranza (che di suo mostra sul viso un velo di barba e lo stupore perenne del sacrestano che vede arrivare a sorpresa il vescovo in sacrestia), di Cuperlo stremato, di Fassina scontento (l’insoddisfazione fassiniana è costanza assoluta, l’espressione ormai come quella del Marcello Mastroianni de La dolce vita: «Siamo rimasti così pochi ad essere scontenti di noi stessi»). Stefano Di Michele. Il Foglio.

Non sono appagato perché è vero che ho fatto i film che volevo fare, ma non ho fatto quelli che dovevo fare. Fellini ha fatto 8 1/2, leva questo film, e resta un buon regista e basta. Io non ho fatto il mio 8 1/2 e questo mi tormenta, ma mi dà ragioni per continuare: può darsi che lo faccia. Sono fortunato, il senso di emarginazione è il mio carburante. All’inizio della mia avventura romana, Laura Betti mi introdusse a quelle serate con Pasolini Moravia Bertolucci Bellocchio, orecchiavo, emulavo, ma mi stavo spogliando di me, così un giorno me ne uscii con una cosa terrificante: «sono democristiano!», detta lì era una bomba, un’eresia. La mia fu una scelta un po’ snob, costosa, ho fatto tanti film ma non ho mai fatto un blockbuster. Non ho fatto Ultimo tango. Premi, stima, sì, ma mai il film per il quale un Paese intero si ferma. Io sono molto competitivo. Ci terrei. Pupi Avati, regista. Michele Smargiassi. ilvenerdì.

Il nuovo comandante dell’armata corazzata tedesca, generale Stumme è un ometto piccolissimo e congestionato, grasso. Dicono che abbia lasciato un gran ricordo di sé al fronte russo dove lo hanno soprannominato Kugelblitz, palla fulmine. Raccomanda, davanti a cinque generali tedeschi e a nove italiani, di intensificare le pattuglie. «A questo proposito» dice «segnalo il tipo perfetto di pattuglia, che prescrivo a tutte le unità tedesche ed italiane è quello praticato dalla Folgore. Le altre divisioni si documentino. Elogio particolarmente i paracadutisti italiani per il loro mordente». Paolo Caccia Dominioni, Alamein. Longanesi, 1966.

Un signore chiede alla guida turistica: che serata c’è a capodanno al Tree Tops, in Kenia, ci vuole lo smoking? Che serata vuol mai che ci sia, caro signore è una specie di rifugio costruito sugli alberi dove bisogna trattenere il fiato per vedere gli elefanti e il leone che si abbeverano sotto i riflettori, guai a chi tossisce o fa tintinnare un bicchiere: se vuole, si metta pure lo smoking. Luca Goldoni, È gradito l’abito scuro. Mondadori, 1972.

Il mio elisir di lunga vita è mia moglie. È presidente nazionale del Club del fornello. Cucina sul fuoco invece di scongelare nel microonde. Il modo di nutrirsi è fondamentale, lo capii all’esame di scienze degli alimenti, quello che m’è servito più di tutti. Da piccolo (oggi ho 88 anni) ero come un bimbo del Biafra, sempre malato, in preda ad acetonemia cronica. E sa perché? Ero stato allevato con il latticello Glaxo, il primo in polvere che giunse nel nostro Paese, che per me era troppo grasso. Adesso mangio molto meglio: poco al mattino, primo e secondo sia a mezzogiorno che alla sera. Oggi a pranzo c’erano tortelli alle erbette e coppa piacentina. Antonio Corvi, farmacista. Stefano Lorenzetto. il Giornale.

Parrebbe che, secondo recenti studi, lo stare seduti riduca notevolmente la vita. E l’exemplum terroristico più in auge in questi ultimi mesi è che chi sta seduto più di sei ore al giorno si vedrà ridurre la vita del 40%. Nascono così locali per non sedenti, che alla loro longevità ci tengono. E come succedeva qualche anno fa ai fumatori, capita, a chi se ne sta comodamente seduto da qualche parte, in un locale pubblico, che gli si avvicini un salutista accanito ad avvisarlo dei pericoli che corre e del danno che crea all’intera comunità, dando il cattivo esempio. Aldo Nove, scrittore. Sette.

Le case basse e le fabbriche abbandonate, le fabbriche abbandonate e le chiese dimenticate, e gli atelier dei pittori all’Isola, e i colori accesi di via Paolo Sarpi. E così via. Quanta poesia c’è dentro Milano. Non a caso, la cosiddetta «linea lombarda» della produzione poetica contemporanea, quella che passa da Franco Loi fino a Maurizio Cucchi, ha trovato nella città un’ispirazione variegata, composita, sempre nuova. Ma soprattutto ricca di immagini. Roberta Scorranese. Sette.

Il marine è fatto per vincere la violenza del nemico con una violenza immensamente più grande, e «se non ci fosse bisogno di uomini con un’attitudine e un addestramento alla violenza non ci sarebbe bisogno del corpo dei marines». Ferdinando Camon sul libro di David Tell, Io sono un’arma, Longanesi. La Stampa.

Sogni di diventare oggetto di culto e meta di pellegrinaggio. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 3/4/2015