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 2015  aprile 03 Venerdì calendario

SUDAMERICA, AFRICA, EUROPA: QUELLE CELLE IN CUI SI FATICA A VIVERE

Mezzo metro quadrato. È lo spazio medio a disposizione di un detenuto haitiano. Nelle 17 prigioni del Paese più povero d’Occidente c’è spazio per circa tremila persone. I carcerati “ufficiali” invece sono almeno 10mila. A questi si aggiungono quelli reclusi nei commissariati di Miragoane, Gonaives e Petit Goave, aperti dopo il terremoto del 2010 dopo il crollo di alcune strutture e tuttora attivi. Risultato: il tasso di sovrappopolazione sfiora il 320 per cento. Un caso limite, ma non isolato. Su venti nazioni latinoamericane, solo due – Giamaica e Argentina – hanno posto sufficiente per tutti i reclusi. Il resto ha un sovraffollamento medio superiore al 170 per cento, con punte di oltre il 300. In Africa quest’ultimo dato è la consuetudine. In Europa, il record negativo va a Grecia, Spagna e Ungheria con, rispettivamente, 168, 140 e 137 per cento. In Italia, la metà delle prigioni è riempita oltre la capienza massima.
È un panorama fosco quello descritto in “Se questo è un detenuto”, l’ultimo rapporto di Caritas italiana sull’universo carcerario mondiale. La Chiesa, però, non si limita a denunciare. Ovunque, il lavoro pastorale è intenso. E si moltiplicano le nuove iniziative.
Come la commissione per coordinare le azioni nei penitenziari l’azione creata ad Haiti, le cui prigioni sono definite nei rapporti dell’agenzia Onu per i rifugiati, «tra le peggiori del mondo».
Jean-Paul non ha mai letto tali studi. Sa solo che molte volte è costretto a restare in piedi per ore perché nella sua cella non c’è spazio per stendersi. È in custodia cautelare da quattro anni e cinque mesi, non può permettersi un avvocato e lo Stato non ha le risorse per attribuirgliene uno. Nemmeno Charles Jean conosce i rapporti Onu. Neppure, sette anni dopo il rilascio, sa le ragioni per cui, nel 2008, ha trascorso 17 mesi ne Penitenziario nazionale senza che gli fossero mai formalizzate le accuse né sia stato interrogato.
Sono storie kafkiane quelle raccolte nel dossier di Caritas italiana. Dietro le sbarre, infatti, i drammi haitiani di miseria e assenza delle istituzioni si amplificano all’ennesima potenza. Se la sanità pubblica nell’isola è fragilissima, in prigione operano 23 medici ogni 430 detenuti. Il 40 per cento di questi ultimi dichiara di aver subito abusi e maltrattamenti. In realtà le stesse condizioni di prigionia sono di per sé una forma di tortura. Una situazione resa ancor più crudele dal fatto che il 79 per cento è in carcerazione preventiva.
Di fronte a tale emergenza, oltre ai progetti in corso con Caritas italiana, dunque, la commissione nazionale Giustizia e pace ha chiesto alla Conferenza episcopale di creare uno specifico organismo dedicato alla pastorale del carcere. «Non è “una pastorale della prigione” quanto una “pastorale dei prigionieri”, poiché al centro mettiamo la persona umana – ha sottolineato monsignor Pierre André Dumas, vescovo di Anse-à.Veau/Miragoane e presidente di Giustizia e pace –. È una pastorale di prossimità, di ascolto, di accompagnamento». Un’azione fondamentale per i 10mila reclusi. È necessario, però, un cambiamento nel sistema.
«Si mette la persona in carcere e poi la si dimentica – afferma monsignor Alphonse Quesnel, presidente della Commissione episcopale della Pastorale penitenziaria –. Mancano i giudici e la popolazione carceraria è numerosa. Che cosa sta facendo lo Stato? Non molto. Mancano azioni vere».