Luca Rocca, Il Tempo 3/4/2015, 3 aprile 2015
D’ALEMA È SOLO UNO DEI 141MILA INTERCETTATI
Un miliardo e duecento milioni di euro. Una cifra sconcertante, ma è a tanto che ammontano i soldi che lo Stato italiano ha speso, dal 2009 al 2013, per le intercettazioni telefoniche. E da brivido è anche il numero degli «eventi telefonici» captati: 190 milioni all’anno. Un unicum nel panorama internazionale, che fa di Massimo D’Alema solo uno fra i tanti intercettati in Italia.
SPESA DA CAPOGIRO
Nel 2013, secondo i numeri ufficiali, lo Stato italiano ha speso ben 214 milioni di euro per pagare soprattutto le società esterne che si occupano dell’assistenza tecnica e del noleggio delle attrezzature. A questa cifra va aggiunta quella relativa al 2012, pari a 218 milioni, poi quella dell’anno prima, 226 milioni, quella del 2010, 237 milioni, e infine l’ultima, risalente al 2009: 272 milioni di euro. Secondo l’Eurispes, però, nel 2008 la spesa è stata di 286 milioni, nel 2010 di 284 milioni e nel 2011 di 260 milioni. Nel solo primo quadrimestre del 2014, invece, dalle casse dello Stato sono stati risucchiati 85 milioni di euro. Ma se ci si sofferma anche sugli anni precedenti, dal 2003 al 2008, la spesa è stata di 1 miliardo e mezzo di euro. In totale, dunque, in 11 anni l’Italia ha tirato fuori più di 2 miliardi e 700 milioni di euro.
GLI INTERCETTATI
Ma quanti sono stati i «bersagli» intercettati dalle procure italiane nel corso degli ultimi anni? Il 2013 è stato un anno da record, con ben 141mila. Un numero che va così suddiviso: 124mila le intercettazioni telefoniche, 14 mila quella ambientali e 3mila quelle informatiche e telematiche. L’anno prima, il 2012, i «bersagli» erano stati 140mila, e nel 2011 ancora meno, 135mila. Nel 2010, invece, 139mila. Secondo l’Eurispes, considerando che nel 2010 le utenze telefoniche intercettate sono state 139.051, con una media di 26 eventi telefonici giornalieri per utenza, e che la durata di ogni singola intercettazione è pari a una media di 50 giorni, gli «eventi telefonici» registrati ogni anno, e cioè chiamate in entrata e in uscita, telefonate senza risposta, messaggistica e localizzazioni, possono essere stimati in 181 milioni. Oggi la cifra degli «eventi telefonici» captati è di 190milioni.
TREND IN CRESCITA
Per capire qual è il trend delle intercettazioni in Italia, basta dare un’occhiata a quante erano negli anni ancora precedenti. Nel 2009 i «bersagli» intercettati sono stati 132mila (120mila le utenze telefoniche, 11mila quelle ambientali, 1700 di altro genere); nel 2008 137mila, l’anno prima 129mila, nel 2006 113mila, e nei tre anni precedenti, 2005, 2004 e 2003, rispettivamente 102mila, 93mila e 77mila. Insomma, un trend in inarrestabile crescita. Non è un caso, dunque, se l’86,5 per cento della spesa per gli uffici giudicanti e requirenti, è riferita proprio alle intercettazioni.
SPESA PER DISTRETTI
Nell’ultimo anno di riferimento, il 2013, i maggiori importi liquidati fanno capo a quelle Procure che per un motivo o per un altro, sono sempre sulle prime pagine dei giornali. Nello specifico, Palermo ha sborsato oltre 37milioni di euro, seguita a ruota da Reggio Calabria, con 26milioni di euro. Al terzo posto si colloca Milano, con 25 milioni, e subito dopo, con 26milioni, il distretto di Napoli. Più distaccate, ma con spese indiscutibilmente alte, ci sono Catania (10 milioni), Torino (8,8 milioni) e Roma (5,7milioni).
BERSAGLI
L’ordine cronologico dei distretti che spendono di più, viene però invertito quando si passa ai «bersagli» messi sotto controllo. E così nel 2013 è stata Napoli a far registrare il numero più alto, con 22mila utenze, segue la Capitale con quasi 19mila, poi Milano con 13.500, Palermo con più di 9mila e infie Reggio Calabria con 8mila. In coda, fra i primi classificati, c’è Torino con 7.500 e poi Catania con 6.200. Le discrepanze sono evidenti. Roma, ad esempio, pur avendo intercettato il triplo di Catania, ha speso molto di meno. La spiegazione, in parte, c’è: intercettare dei mafiosi comporta un monitoraggio tecnico molto più lungo. E inoltre i prezzi variano a seconda dei fornitori.