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 2015  aprile 01 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

Le duemila bottiglie di vino di D’Alema non hanno niente da invidiare al Rolex di Lupi. Antonio Polito. Corsera.

D’Alema, in vino veritas. Jena. La Stampa.

Landini a piazza del Popolo. Beh, popolo, non esageriamo. Gino Roca. Il Foglio.

Landini è l’unico a protestare in piazza quando l’occupazione cresce. Matteo Renzi, agenzie.

Elkann ce l’ha con Conte perché fa lavorare troppo i giocatori. D’Altronde lui è abituato alla cassa integrazione a rotazione. Il Rompispread. MF.

(mfimage) Per trovare la giustizia bisogna esserle fedeli, diceva Calamandrei: come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede. Dopo l’ultima vicenda giudiziaria, difficilmente questa dea guadagnerà nuovi proseliti. Perché il processo sull’omicidio di Meredith Kercher sconcerta anzitutto per i numeri, capricciosi come quelli del lotto. Quasi 8 anni per risolverlo, 5 giudizi, 2 sentenze opposte delle Corti d’assise di Perugia e di Firenze, 3 interventi della Cassazione. Appelli e contrappelli, mentre intanto quel processo diventava un caso internazionale, con americani e inglesi a fare il tifo gli uni contro gli altri. E mentre s’accendeva l’attenzione pubblica, con 2 film, 9 libri, migliaia di resoconti sui giornali. Quattro anni trascorsi in una cella per Amanda Knox e Raffaele Sollecito, i presunti colpevoli. Infine la loro assoluzione: delitto senza castigo. O meglio con un mezzo castigo, giacché nel frattempo era stato condannato in via definitiva Rudy Guede, per «concorso in omicidio». Ma con chi concorreva il concorrente? Vattelappesca. Michele Ainis, Giurista. Corsera.

Il mitico Nordest nasce negli anni Settanta. Allora insegnavo Economia aziendale a Ca’ Foscari, e improvvisamente tra i miei allievi cominciarono ad accumularsi le tesi su nuove, piccole imprese sparse in tutto il Veneto. Fu così che conobbi i Benetton e gli Stefanel: c’era energia, fermento, si sentiva di essere all’alba di qualcosa di particolare. Giorgio Brunetti, economista (Raffaele Oriani). il venerdì.

Non si dica che tutto va bene in Forza Italia perché oggi non va bene nulla. Siamo divisi e litigiosi, non raccontiamo cose credibili e i peggiori di noi vanno in tivù solo per dire stupidaggini: dalle intransigenze stile Brunetta, alla melassa a cui appartengo. Paolo Romani capogruppo Fi al Senato. la Repubblica.

Grazie a Paolo Romani, capogruppo Fi al Senato, di avermi definito con un suo tweet «intransigente» nei confronti di Renzi. Meglio intransigenti che inesistenti. Renato Brunetta. la Repubblica.

Con Caldoro a capo della Regione Campania abbiamo avuto, per cinque anni, un governatore assente. Ed ecco i risultati: siamo ultimi in tutto e primi solo per disoccupazione. Piuttosto, perché non prendere atto che la mia è una battaglia di civiltà. La Severino va cambiata, punisce i sindaci e i governatori e non i ministri e i parlamentari, viola il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge, ingessa il Paese. Vincenzo De Luca, ex sindaco di Salerno e candidato Pd alla Regionali della Campania (Marco Demarco). Corsera.

Mi chiedono: è vero che la tv rimbambisce? È come se volessero, non la mia opinione, ma la verità. Nanni Moretti, regista (Valerio Cappelli). Corsera.

Il corpaccione del Pd ha resistito alle sirene del landinismo. Solo Civati, Fassina e Bindi sono andati in piazza. Mentre persino un ex Cgil come Cesare Damiano, minoranza bersaniana, ha stigmatizato la logica di pura protesta della manifestazione in Piazza del Popolo. Francesco Bei. la Repubblica.

All’Università i professori si riproducono da soli, per partenogenesi, disturbare un processo così delicato con nuovi arrivi sarebbe letale per la cultura. La selezione sarà durissima e negli school center i piccoli precari impareranno la concorrenza, rispondendo a estenuanti domande, ore e ore al giorno. I presidi verranno scelti direttamente dal governo, i vicepresidi dalle Camere riunite. E, per la comodità dei genitori, il canone scolastico verrà addebitato sulla bolletta del gas. Giovanni Bucchi, scrittore satirico. il venerdì.

È emersa una nuova classe sociale: potenti reali e nominali, fantasmi di Prime repubbliche, e starlette elevate al rango di muse da scrittori fascinosi e brizzolati, mignotte manager... guru del nuovo cosmo internettiano e televisionari-giornalari-attorucoli-poeti-pittori-elevatori-risignificatori del grigiore metropolitano, tutti uniti a dispetto delle differenze che un tempo sarebbero state dirimenti e invece adesso segnavano l’emergere di una nuova classe ironica, post ideologica, e unita dal privilegio. Daniela Ranieri, Mille esempi di cani smarriti (Alessandro Gnocchi). Il Giornale.

Una domenica, nemmeno le sette del mattino. Una pioggia leggera. La città dorme. Dal sagrato luccicante d’acqua, il Duomo solitario sembra alzarsi più severo. In galleria, quasi nessuno. Piazza della Scala è deserta. Mi piace Milano in queste ore, in cui mi sembra solo mia. Mi piace in quest’aria di pioggia fresca che la fa più nordica, e quasi parigina. Carmen, annuncia la locandina sotto al portico della Scala. Costeggio via Verdi, e ancora solo il rumore di questa pioggia gentile. È nel silenzio e nella solitudine che i ricordi si alzano, prendono corpo e premono alla coscienza, come una folla che improvvisamente voglia entrare. Da giovane cronista ho avuto modo di conoscere la Scala dietro le quinte. Di ascoltare le lunghe, pazienti prove del coro; di assistere al vestirsi delle coriste, su nei camerini all’ultimo piano, che ora, immagino, con la ristrutturazione saranno scomparsi. È un ricordo, quello che si fa avanti stamattina nella città ancora addormentata, dai contorni vaghi del sogno. Quando mancava mezz’ora alle venti, lassù nei camerini fremeva un fervore da alveare. Nelle piccole stanze era tutto uno stringersi i corsetti, uno strascichio di gonne lunghe, un annodarsi i capelli in trecce e chignon che le parrucchiere fermavano poi, stretti, con le forcine, correndo affannate da una donna all’altra. E si stendeva il cerone chiaro sulle facce, e si sottolineavano gli occhi con grossi tratti di matita nera. Forte, il rossetto, perché non sbiadisse sotto la luce dei riflettori. E un odore di amido e di ciprie, e una fretta ordinata e meticolosa. Sapendo bene tutte, in quel femmineo alveare che, alla fine, ogni cosa sarebbe stata perfetta. Marina Corradi. Tempi.

I nostri politici non sanno quel che fanno. Solo per questo bisognerebbe perdonarli. Roberto Gervaso.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 1/4/2015