Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 01 Mercoledì calendario

BERLINO SI CONDANNA ALL’AUSTERITÀ

Sono terminati ieri senza un accordo i negoziati tecnici tra il governo greco e i funzionari del quartetto Brussels Group sulle riforme della Grecia, ma le trattative riprenderanno la settimana prossima. Intanto, il presidente dell’Ue, Donald Tusk, ha dichiarato che la situazione «è sotto controllo» e si è detto fiducioso che si possa giungere «a un accordo alla fine di aprile». «Il tempo stringe», ha ammonito Angela Merkel durante una conferenza stampa congiunta con il presidente francese, François Hollande.
La Cancelliera non sembra disposta a fare concessioni al governo guidato da Alexis Tsipras. Anche perché non ne fa nemmeno alla Germania. Crea infatti sempre più sconcerto e irritazione il fatto che Berlino continui le politiche di austerità interne nonostante da otto anni abbia un surplus commerciale superiore al 6% del pil. A rendere la situazione ancora più paradossale si è aggiunto il fatto che da qualche tempo, complice il Qe della Bce, i rendimenti dei titoli di Stato fino alle scadenze a cinque anni sono negativi (e comunque il Bund decennale ha costi irrisori: ieri sul secondario il rendimento era dello 0,155%), vale a dire che Berlino emettendo debito ci guadagna. «Un comportamento quasi patologico», ha osservato Simon Tilford, vice direttore del Centro per la riforma europea, «stiamo parlando di un’economia dalla situazione fiscale robusta, con un’inflazione eccezionalmente bassa e in cui il governo può finanziarsi a costo zero. Eppure si rifiuta di spendere». Negli ultimi anni gli investimenti pubblici sono scesi poco sopra il 10% delle spese statali totali dal 14% all’inizio degli anni 90, cosa che ha portato a un tangibile decadimento delle infrastrutture. Secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale, un aumento degli investimenti pubblici pari allo 0,5% del pil per quattro anni porterebbe a un crescita dello 0,75% dell’economia tedesca e farebbe aumentare i pil di Italia, Grecia, Irlanda, Italia, Porto gallo e Spagna in media dello 0,33%. Il motivo per cui non vengono allentati cordoni della borsa è che la Merkel vuole arrivare alle elezioni del 2017 con il bilancio in pareggio per diminuire il rapporto debito pubblico/pil ora al 72%, basso ma pur sempre superiore al 60% prescritto dal Patto di Stabilità. A questo deve aggiungersi l’invecchiamento della popolazione, che richiede di risparmiare fin da ora. Ma secondo Michelle Tejada, economista di Roubini Global Economics, se non si aumentano gli investimenti pubblici sarà sempre più difficile finanziare le pensioni. Inoltre, se il pil cresce non oltre l’1,7% è impossibile che la Germania possa fare da locomotiva dell’intera zona euro. Insomma, sembrerebbe che la politica economica della Merkel sia votata alla decrescita (probabilmente non felice), e quindi non si capisce come Tsipras possa sperare di ottenere concessioni volte a rilanciare l’economia greca. Ecco perché il premier ellenico la settimana prossima andrà a Mosca per riuscire a strappare qualche accordo economico, perlomeno la fine delle sanzioni sui prodotti agricoli. Mentre il ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis, ha annunciato che inviterà le compagnie russe a partecipare all’asta per le licenze esplorative alla ricerca di gas nel Mar Ionio e nelle acque al largo di Creta. Una mossa che Lafazanis ha definito «rivoluzionaria», in quanto «le compagnie russe di solito non partecipano ad aste del genere nell’Ue». «Non c’è altra soluzione per la Grecia che restare parte dell’Europa», ha però ammonito Hollande.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 1/4/2015