Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 1/4/2015, 1 aprile 2015
CASARI E GLI ALTRI DELLE COOP, POTENTI COME OLIGARCHI ROSSI
Commentando l’arresto del padre-padrone della Cpl Concordia, il modenese Roberto Casari, il presidente di Legacoop, il modenese Mauro Lusetti, ha detto due cose importanti: “Le responsabilità sono personali. Noi non proteggeremo nessuno”.
Due profonde verità. Sicuramente le responsabilità di Casari sono personali, visto che il manager cooperativo non rappresenta niente e nessuno se non il proprio potere assoluto: è stato presidente della Cpl Concordia dal 1976 al 30 gennaio scorso, per 39 anni. Gianni Agnelli è stato presidente della Fiat di cui era padrone per soli 30 anni: in confronto a Casari è stato un manager di passaggio. Ed è ovvio che Legacoop non proteggerà nessuno. È da 25 anni che non lo fa. Dal 1990, dalla svolta di Achille Occhetto, ha perso ogni autorità sui manager cooperativi.
Casari non è un caso isolato. Il suo acerrimo nemico Claudio Levorato è alla guida della Manutencoop di Bologna dal 1984. Turiddo Campaini l’anno scorso è passato alla presidenza onoraria della Unicoop Firenze della quale è padrone assoluto dal 1973, anno del golpe di Augusto Pinochet in Cile. Pier Luigi Stefanini, oggi presidente di Unipol-Sai, nel 1990 era presidente della Legacoop di Bologna.
Il 16 dicembre scorso Lusetti, nella relazione introduttiva all’assemblea di Legacoop, ha riproposto timidamente l’idea di un limite ai mandati dei manager cooperativi e la platea di intoccabili ha reagito con la tradizionale alzata di spalle. Nell’intervista che pubblichiamo qui sotto un altro modenese, Lanfranco Turci, ex presidente di Legacoop, racconta che dieci anni fa, da senatore Ds, cercò di far inserire nel codice civile il limite ai mandati e ai super stipendi per gli amministratori delle coop, ma la lobby, guidata da Giuliano Poletti – oggi renzianissimo ministro del Lavoro – lo bloccò.
La storia di Casari è esemplare della parabola irripetibile dei manager rossi, paragonabile solo a quella degli oligarchi russi. A Mosca la caduta del comunismo ha consentito ai manager delle più grandi aziende – pubbliche per definizione - di appropriarsene, trasformandosi da impiegati statali in ricchissimi capitalisti. In Emilia-Romagna e in Toscana soprattutto, la fine del Pci ha fatto venire meno “l’azionista di riferimento”. Gli uomini che guidavano le coop grandi e piccole, nominati di fatto dal partito e subordinati al ferreo controllo del segretario della federazione provinciale del Pci, si trovarono miracolosamente trasformati in autocrati. E si impadronirono delle coop come fossero oggetti smarriti.
È stata anche una fase drammatica. Nell’estate del 1991 accadde un fatto incredibile, passato quasi inosservato perché solo sei mesi dopo si sarebbero accesi i fari di Mani pulite. Al momento della nascita della Tav, la società delle Fs che doveva costruire le ferrovie ad alta velocità, l’amministratore delegato Ercole Incalza (sì, proprio lui) tagliò fuori le coop rosse dalla spartizione degli appalti. La debolezza delle coop era determinata dal distacco ostentato da Occhetto verso un mondo avviato verso la deriva affaristica. I sempre più spregiudicati manager emiliani stonavano con le romantiche ambizioni palingenetiche del nuovo Pds - che a loro volta non piacevano al concreto numero due di Occhetto, Massimo D’Alema.
Le coop furono espulse dal tavolo della spartizione perché “non rappresentavano più nessuno”. Turci protestò dicendo in pubblico ciò che tutti sussurravano in privato: “A certi tavoli si tenta di dire che, essendo cambiati gli equilibri politici, dovremmo accettare un arretramento della nostra posizione. La Lega non pretende tutele, ma fino a quando non si uscirà dalla logica delle quote e delle ripartizioni a monte vorrà partecipare a ogni forma di rinnovamento del settore pubblico secondo il proprio peso”. Chiaro, no?
Solo che le coop rosse riuscirono a rientrare nella spartizione dell’alta velocità combattendo ognuna per sé. E sentirono di non dovere niente né alla Legacoop né al partito.
Turci, l’ultimo leader scelto dal Pci, fu liquidato e il suo successore, Giancarlo Pasquini, cantò l’orgoglio cooperativo: “Il partito da un certo momento in avanti ci ha praticamente cancellato, ci ha rimosso come un elemento imbarazzante”.
L’inchiesta su Ischia adesso suscita interrogativi sui sistemi con cui Casari o il plurindagato Levorato hanno ottenuto i loro brillanti risultati su un mercato di appalti pubblici. Lusetti all’assemblea di dicembre lo ha detto, timidamente: “A volte ci siamo omologati a un mercato poco trasparente”. Ma gli oligarchi sono indifferenti ai rimbrotti di Legacoop. Un po’ meno ai mandati di cattura.