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 2015  marzo 31 Martedì calendario

IL RISCHIO È TORNARE AL RIFIUTO DEL NOSTRO CICLO FOGLIARE PER CUI, PIÙ CHE UN TEMPO, VOGLIAMO RESTARE SEMPRE PIÙ ATTACCATI AL RAMO

Nelle scorse settimane ho scritto tre camei, li ho titolati: «Houellebecq, l’Islam, i Supermanager, il barattolo di miele dei Lumi, Carrère, Papa Bergoglio». E ora, ecco Jürgen Habermas con il suo Verbalizzare il sacro (Laterza), che ha aggiunto: «andare oltre il fondamentalismo illuminista, aprendo alle comunità religiose». Ciò significa sposare le tesi (letterarie) di Houellebecq e di Carrère. Doverosa una premessa: non ho alcuna capacità di «speculazione filosofica», malgrado ciò sono molto interessato al tema, il mio sforzo è rivolto alla ricerca degli amati segnali deboli per capire in che mondo vivranno i miei nipotini. A volte, negli interstizi dei grandi romanzi li trovi, e allora sei felice.
Sono vissuto in un mondo rigorosamente classista e nell’atmosfera tipica di una religione di stato, mi sono trovato bene, ho avuto il privilegio di usufruire della Riforma Gentile, una legge fascista, ma perfetta per i figli dei poveri come me. L’educazione scolastica, l’esempio dei miei genitori, la scelta di essere al contempo cattolico, liberale, Àpota, mi hanno permesso di vivere da uomo libero (nell’ambito delle leggi), mantenendo intatta la mia diffidenza verso le Classi Dominanti.
Dopo la Grande Crisi la diffidenza si è accentuata, il rapporto si è rotto, il disprezzo verso costoro si è radicalizzato: li considero umanamente «persi». Il losco equivoco che predicano «liberi tutti» ci ha resi inconsapevolmente schiavi, di loro e di noi stessi. Prima di arrivare a Habermas, almeno per me, occorre però fare un passo indietro.
Larry Page, una delle figure più losche della losca cupola dei supermanager, ha detto una grande verità, seppur con un linguaggio para-nazista: «L’eliminazione di tutte le inefficienze produttive, avvalendosi della tecnologia più estrema, deve essere portata alla sua soluzione finale».
Giusto, quelli del mestiere (come me) sanno che il processo in corso è irreversibile (e sarebbe idiota opporvisi) porterà a una imponente perdita di posti di lavoro (i più poveri, ma non solo ).
Certo, scenderanno i prezzi di prodotti-servizi, probabilmente si creeranno tipi diversi di deflazione. I colti chiamano questo scenario «distopia capitalistica» coerente col mio (di cui vanto il copyright) «ceo-capitalismo».
Banalmente lo schema sarà questo: a) i robot nei prossimi 20 anni sottrarranno (lo dicono lor signori) il 47% dei lavori in essere, trasformando i relativi lavoratori in «fannulloni di stato» (mia definizione): costoro passeranno il tempo giocando con gli idioti gadget di costoro, campando da miserabili cuscute, con un reddito minimo garantito); b) i supermanager si prenderanno tutti profitti (probabilmente pagando tasse ridicole, come hanno fatto finora, e senza andare mai in galera come meriterebbero). E pretenderanno pure di essere idolatrati per qualsiasi banalità faranno.
Un cambiamento così distruttivo per l’ordine sociale un tempo avrebbe portato alla rivoluzione, oggi gli esperti lo escludono (condivido questa tesi, basta osservare come si muovono i Landini). I «fannulloni di stato», sedati fin da piccoli, non saranno più attrezzati, neppure culturalmente per la rivoluzione.
Torniamo a Houellebecq, Carrère, e ora Habermas. La mia amica Marinella Doriguzzi Bozzo (suo l’imperdibile blog “Stelle perfide stelle”) propone di fare entrare nel mio “giochino” anche il libro “I Fratelli Ashkenazi” (1937) di Joshua Singer (fratello maggiore del più celebre Isaac).
Con Houellebecq, abbiamo capito come la cosiddetta spiritualità possa essere, da un lato, un progetto di potere e dall’altro un’accettazione del «comodo individuale».
Con Carrère, un individuo si interroga sulle tre possibili opzioni (credente, agnostico, ateo) e sulla qualità del «reagente» evangelico che le ha determinate.
C’è la palese difficoltà ad accettare la resurrezione e il regno dei cieli, tuttavia domina il conforto compulsivo delle regole rispetto alla fede esoterica, che ha ancora oggi una sua validità sociale.
Però quello che tronca sul nascere gli interrogativi più che legittimi, ma anche un po’ ovvii di Habermas, lo si ritrova ne La famiglia Ashkenazi, in cui la stessa religione ebraica (nell’epoca storica a cavallo fra accettazione delle classi sociali e liberazione delle medesime), subisce addirittura al proprio interno le stesse «torsioni tra secolarità e religiosità», di cui discute il filosofo.
C’è da temere che si ritorni alla solita non accettazione del nostro «ciclo fogliare», per cui più che in passato vogliamo restare sempre più a lungo attaccati al ramo, anche fuori stagione. Poi la storia, lo sappiamo, rallenta in un modo, accelera in un altro, e a chi capita capita (non diversamente dal prendere o meno un airbus per Dusseldorf).
Poveri i miei nipotini, se non succede qualcosa di radicale che resetti questo processo, come spero di cuore (in questo senso sono ottimista), hanno la prospettiva di vivere, o nel mondo «nero» dei mullah, o in quello «grigio sporco» del ceo-capitalismo, per uomini liberi nel «non colore».
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 31/3/2015