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 2015  marzo 31 Martedì calendario

IL METODO CAIRO


[Urbano Cairo]

La felicità, come del resto l’infelicità, è un sentimento contagioso. Quando incontriamo Urbano Cairo lo troviamo in quel magnifico stato di grazia, magari transitorio ma pur sempre luminoso e, appunto, epidemico. La ragione è buona: sono appena usciti i risultati di ascolto del serale di martedì 17 marzo: il ‘suo’ Giovanni Floris che conduce il talk ‘diMartedì’, contro ogni previsione e maleficio, ha battuto la concorrenza di ‘Ballarò’ che aveva lasciato nelle mani di Massimo Giannini, un tempo egregio vice direttore di Repubblica e ora conduttore televisivo su Raitre. Floris ha totalizzato una share del 5,92% (con un milione e 360mila telespettatori), Giannini è arrivato a 5,52% (con un milione e 315mila telespettatori). Quarantacinquemila teste in più non è che segnino poi una differenza così colossale, eppure Urbano Cairo ha negli occhi color castagna una luce che non si spegne perché consapevole che il risultato è il segno vittorioso di una battaglia combattuta contro tutto e tutti. Quando arruolò Floris a La7 tutti a dire che era pazzo. Quando Floris, o chi per lui, scelse il nome del programma (‘diMartedì’) tutti a dire che era ridicolo. Quando iniziò ad andare in onda, tutti a dire: uh che barba. Quei tutti avevano torto e Cairo ora se la gode pur senza per questo rallentare il ritmo lavorativo.
Quando lo intercettiamo nel suo ufficio milanese di corso Magenta è domenica mattina ed è appena terminata una riunione con Uberto e Giuliano, i suoi due amici e collaboratori di sempre. Uberto Fornara è l’amministratore delegato del gruppo e gran capo della Cairo Pubblicità dove è affiancato da Giuliano Cesari, come direttore generale, presenza fissa in tutti i Cda del gruppo. Con Cairo si lavora così, senza tregua.
Sono passati pochi giorni dall’uscita dei dati del bilancio 2014 della Cairo Communication che registra utili per 23,8 milioni, +29,9% rispetto ai 19 milioni del 2013, evento piuttosto insolito nel settore editoriale e televisivo. Ottimo il risultato netto consolidato nel settore periodici che qualificano l’editore come capofila per copie vendute in edicola e trend di crescita. E ancora più straordinari i numeri di La7 srl che segna, alla fine del secondo anno di gestione di Cairo, un ebitda in attivo di 9 milioni rispetto a una perdita di 24,4 milioni nei dodici mesi del 2013. Un successo che oltretutto gli ha dato autorevolezza tanto che quando si esprime in modo secco nei confronti della tormentata gestione di Rcs MediaGroup (di cui è socio con il 3,669%), le sue parole bruciano.
Tutti, simpatizzanti e antipatizzanti, continuano a farsi la stessa domanda. Com’è possibile che Cairo abbia tanto successo? Qual è il suo metodo, ammesso che ce ne sia uno? Dopo vent’anni dal fatidico addio a Publitalia di Silvio Berlusconi e dalla fondazione del suo gruppo editoriale, Cairo ha messo insieme un imponente patrimonio industriale riuscendo a navigare nei marosi di una delle crisi più devastanti dell’editoria, portandosi a casa tra l’altro anche una rete televisiva che faceva acqua da tutte le parti e che ora brilla come un gioiellino, e anche i diritti d’uso per vent’anni di un lotto di frequenze televisive (Mux).
Prima – Leggendo il vostro bilancio ho registrato due o tre cose che mi hanno colpito. Ad esempio, non perdete niente in edicola.
Urbano Cairo – In edicola abbiamo ricavi per 73,5 milioni di euro, nel 2008 erano 70,5 e nel frattempo il mercato è sceso del 41%. E questo perché investiamo in tutti i settori di attività di un editore di periodici. Abbiamo tenuto i prezzi a un livello competitivo mantenendo un euro come prezzo di copertina. Vede, rompere l’euro è faccenda psicologicamente delicata per i lettori, non basta più una moneta, ma ce ne vogliono due. Oltre a un’attenta politica di mantenimento dei prezzi investiamo nelle tirature delle nostre testate per fare in modo che i lettori le trovino dappertutto.
Prima – Con che effetto sulle rese?
U. Cairo – Tendenzialmente, per i nostri settimanali abbiamo 100mila copie di resa a numero mentre la concorrenza rimane a livelli decisamente più bassi: cinquanta, sessantamila. Mi sono fatto due conti e ho calcolato che se ci adeguassimo arriveremmo a risparmiare 700-800mila euro a testata ottenendo di conseguenza margini molto più alti. Considerando tutti i settimanali, risparmieremmo attorno ai tre milioni e mezzo.
Prima – Perché non lo fate?
U. Cairo – Perché teniamo molto, moltissimo a non perdere opportunità di vendita e mantenere una presenza capillare sui territori. Se riduci la tiratura, se distribuisci meno copie alle trentamila edicole sparse per tutta la Penisola, è inevitabile che le vendite soffrano.
Prima – Investite molto anche in comunicazione.
U. Cairo – Questo è poco ma sicuro. Investiamo su La7, su Mediaset, sulla Rai: più o meno un terzo, un terzo e un terzo. Tra pubblicità e locandinaggio sono oltre quattro milioni l’anno. Se facessimo come gli altri investiremmo la metà. E invece no.
Prima – Pure sulla foliazione non badate a spese.
U. Cairo – Credo di poter dire che siamo l’unico editore che mantiene le foliazioni sempre a un livello importante: quella redazionale non scende mai sotto le 105 e le 110 pagine, a cui si aggiungono le 40-60 pagine di pubblicità. Gliela faccio breve: se stessi lì a fare una politica concentrata sul risparmio riuscirei ad avere margini maggiori di cinque, sei milioni l’anno. Pur avendo molta attenzione ai costi non voglio togliere ossigeno alle testate. Noi continuiamo a investire perché convinti di raccogliere buoni frutti e i risultati si vedono negli oltre cento milioni di fatturato annui che facciamo. Tanto per darle un ordine di misura, le ricordo che Mondadori ne fattura 297. I confronti saranno pure poco eleganti, ma sono pur sempre indicativi. Quando iniziammo, nel 1999, noi fatturavamo 50 miliardi e Mondadori 1.500 miliardi. In proporzione eravamo uno a trenta. Oggi siamo uno a tre. Come editoria noi vantiamo una marginalità positiva di quasi 14 milioni e loro di 3 milioni.
Prima – Perché avete scelto di rinunciare ai gadget?
U. Cairo – Perché ci teniamo a mantenere la qualità, la forza e la vivacità delle testate. Le operazioni di gadget o di altri tipi di allegati non fanno altro che peggiorare la percezione del giornale con il rischio che il lettore decida di comperare una testata perché è attratto dall’allegato e non dal contenuto. Invece ho il desiderio che il lettore compri il mio giornale perché gli piace e non per quello che ci trova cellophanato. Evitiamo anche di fare abbinamenti tra testate che rischiano di deprezzare il prodotto dando l’idea che viene regalato.
Prima – In molti vi hanno imitato portando il prezzo di copertina a un euro, ma non sempre ha funzionato.
U. Cairo – Perché il prezzo è solo un elemento. È che senza la qualità del giornale – che dipende dalla foliazione, dalla ricchezza dei contenuti, dall’autorevolezza dei collaboratori, dalla preziosità delle foto, dai requisiti della carta – non vai da nessuna parte.
Prima – Per non dire che la qualità è un modo di presentarsi più forti all’utenza pubblicitaria sempre schizzinosa quando si tratta di investire sulla carta stampata.
U. Cairo – Il principio di custodire e difendere la qualità di un prodotto viene applicato anche a La7. È vero, abbiamo dovuto tagliare i costi, soprattutto gli sprechi e le inefficienze, ma abbiamo mantenuto tutti i conduttori e giornalisti più prestigiosi, Enrico Mentana, Lilli Gruber, Santoro, Formigli, oltre al formidabile Maurizio
Crozza. E non voglio dimenticare le instancabili e bravissime Tiziana Panella e Myrta Merlino. E ne abbiamo ingaggiati di nuovi come Giovanni Floris.
Prima – Floris vi ha appena dato una bella soddisfazione. Ha battuto, sia pure di misura, Massimo Giannini.
U. Cairo – Ripensando alle critiche e alla diffidenza che ci hanno riservato quando abbiamo annunciato l’arrivo di Floris a La7, ora, se non le dispiace me la godo.
Prima – Non mi dispiace affatto come spero che a lei non dispiaccia se le ricordo che non tutte le ciambelle le sono riuscite con il buco.
U. Cairo – Immagino si riferisca a casi come a quello di Salvo Sottile. Dia tempo al tempo: Sottile tornerà e avremo modo di riparlarne, mi creda. In ogni caso Gianluigi Paragone sta andando bene con un prodotto che affronta temi concreti che parlano anche alla pancia della gente, portando a casa un 3,5% di share alla domenica, che è sempre stato un giorno difficile per la rete. Quindi sì, ho tagliato i costi, ma ho investito sui migliori.
Prima – Lacrime e sangue.
U. Cairo – Né le une né l’altro. Abbiamo lavorato, confermando la linea editoriale della rete, sui costi generali, chiudendo programmi che non funzionavano, ma tutelando la forza lavoro tant’è che non abbiamo mandato a casa nessuno, né siamo ricorsi a cassa integrazione o a prepensionamenti. Stiamo parlando di 420 persone più alcune figure (poche) a tempo determinato, con un costo complessivo di 34 milioni, pari al 30% del fatturato. Sempre per dare un’idea di che ordine stiamo parlando le ricordo che a Mediaset il personale pesa il 17%.
Prima – Avete ridotto anche i costi della banda.
U. Cairo – Questo è stato possibile grazie a un accordo con Telecom Italia Media Broadcasting, che all’interno dell’intesa globale per l’acquisto di La7, prevedeva un prezzo della banda inferiore a quello che si pagava prima.
Prima – Perché avete deciso di acquisire il multiplex?
U. Cairo – Quando c’è stata l’opportunità di fare l’offerta per comprare le frequenze e quindi il multiplex, abbiano ritenuto fosse strategico e conveniente: diventando proprietari di una banda trasmissiva non dipendevamo più da altri. E poi comprando banda in eccesso rispetto a quello che era il nostro bisogno – 22,4 megabyte rispetto ai 7,2 megabyte che utilizziamo attualmente – avremno avuto a disposizione altre frequenze, circa 15 mega di banda, da utilizzare per fare nuovi canali o per affittare a terzi.
Prima – Allora è vero che siete pronti a lanciare un’altra tivù!
U. Cairo – Non le nascondo che siamo interessati ad arricchire il nostro bouquet composto al momento da due canali, La7 e La7d. Stiamo pensando a molte ipotesi tra cui anche il Toro Channel, un canale dedicato al Torino. Ma abbiamo davanti un anno di tempo prima di avere a disposizione la totale copertura del territorio.
Prima – È chiaro che dovete attrezzarvi, perché adesso ve la dovete vedere non solo e non tanto con le tivù generaliste, ma anche con Sky e Discovery che sul fronte pubblicitario sono sempre più aggressivi.
U. Cairo – Per quel che riguarda ‘il target più bello che ci sia’ – quello cosiddetto AA – 9 milioni e 750mila persone di alto livello socio economico che consumano il 70% del totale dei consumi degli italiani – nel prime time noi siamo sul 7%, davanti a Italia1, a Rete4 e gomito a gomito con Raidue. Siamo dietro solo a Raiuno, Canale5 e Raitre. Motivo per cui molte aziende investono su La7 in esclusiva, (165 prodotti all’anno), e ottengono ottimi risultati e infatti ritornano ad investire.
Prima – Ha il sapore di auto spot.
U. Cairo – Le faccio un esempio, quello dei salumi Beretta. Li conosce?
Prima – Certo che li conosco. Che c’entrano i salami e i prosciutti con ‘il target più bello che ci sia’?
U. Cairo – Vittore Beretta, il presidente dell’azienda di grande tradizione che data la sua nascita agli inizi dell’Ottocento, ha sempre investito poco o niente in pubblicità. Un po’ per stuzzicarlo, ogni tanto gli dicevo: ‘Lei un grande industriale e tifoso del Toro di cui è anche sponsor. Quando io non compro l’attaccante giusto lei mi rimprovera e mi dice che per fare goal sono fondamentali le punte di qualità. E io l’ho sempre ascoltata. E ora le dico: lei che ha tutto – ottimo prodotto, distribuzione e prezzo giusto – e che quindi, continuando nella metafora, può vantare una buona difesa e un buon centrocampo, se non fa pubblicità manca però dell’attacco. Perché non proviamo a fare una bella campagna su La7 e sui miei giornali? Sono sicuro che otterremo buoni riultati’.
Prima – L’ha convinto?
U. Cairo – Ho un po’ faticato, ma alla fine ce l’ho fatta, tanto che a settembre è partita una campagna sui cubetti e sui würstel. Investimento di 500mila euro che ha ottenuto, tra settembre e dicembre 2014, un incremento di fatturato del 31%. Quando le dico che abbiamo il target di riferimento ‘più bello che ci sia’ non le sto raccontando favole.
Prima – Torniamo alla tivù. È incontestabile che le generaliste siano in affanno.
U. Cairo – Vero, anche se rappresentano comunque più del 60% dell’ascolto. La7 è l’unica rete generalista che, da quando è arrivato il digitale terrestre, non ha perso ascolto ma guadagnato, sia pure di poco, durante l’intera giornata. Nel 2008 eravano al 3% circa. L’anno scorso eravamo al 3,25. Ora – a marzo – siamo al 3,3%, e in prime time siamo cresciuti al 3,9%. Rai e Mediaset, che erano rispettivamente al 41% e al 40%, con le loro tre reti generaliste sono scese al 30% e al 27% .
Prima – Nel frattempo tra i due big è scoppiata la guerra degli sconti pubblicitari.
U. Cairo – Tutti sappiamo della grande anomalia italiana: una Rai che incamera un miliardo e 600milioni di euro di canone ma anche 700 milioni di pubblicità. Una cosa impensabile in Paesi come la Francia o la Germania dove per le televisioni pubbliche ci sono regole molte restrittive (possono mandare in onda la pubblicità solo fino alle 20 di sera) o in Inghilterra dove la Bbc vive solo di canone. Questa anomalia italiana ha permesso alla Rai di fare una politica di sconti esagerata deprezzando tutto il mercato.
Prima – Che ne pensa del progetto governativo di togliere la pubblicità a una delle tre reti? C’è chi dice che sia un aiutino a Mediaset.
U. Cairo – Ma quale aiutino? Io dico che oltre a togliere pubblicità a una rete Rai si dovrebbero limitare gli spazi pubblicitari a disposizione di Viale Mazzini.
Prima – Per quale motivo?
U. Cairo – Per la semplice ragione che avendo loro troppi spazi da vendere si possono permettere di applicare politiche di dumping dei prezzi, come del resto stanno facendo. Togliere la pubblicità alla Rai non è un favore a Mediaset ma a tutto il mercato, stampa compresa. Il tema vero è quello di avere un costo contatto, un costo grp adeguato alla qualità di ascoltatori o di contatti. Il costo contatto in Italia è il più basso che ci sia in Europa. La metà di quello tedesco, il 40% in meno di quello francese e quasi la metà di quello inglese.
Prima – Il fatto che il costo contatto in Italia sia così modesto sta avendo effetti negativi anche sulla pubblicità su Internet, campo peraltro dove lei non ha mai voluto mettere piede.
U. Cairo – Distinguiamo l’attività della carta stampata da quella della tivù. Su La7 il digitale ci vede attivi e presenti e investiremo certamente di più.
Prima – Cosa ci dice della notizia che è girata sulla possibilità che venda La7 a Sky?
U. Cairo – Fantasia pura. Ho smentito Dagospia, che l’ha pubblicata e non capisco perché scriva cose non vere. Ho comprato La7 il 6 marzo 2013 e ho sempre detto e ridetto che non ho la benché minima intenzione di venderla né tutta né in parte. Io non ho mai venduto niente, ma semmai aumentato le dimensioni delle mie attività editoriali.
Prima – Con il calcio però non è così. Con i giocatori del Torino la compravendita la vede molto impegnato.
U. Cairo – Con i giocatori del Toro è diverso perché succede che un giocatore riceva un’offerta economicamente importante o che abbia l’ambizione di andare in Champions League. E non avrebbe senso trattenerlo. Il Torino fattura un quinto o un sesto rispetto alle grandi squadre e quindi non può permettersi certi ingaggi astronomici. Qui stiamo però parlando d’altro. Mi piace ricordare che io ho acquistato prima Telepiù Pubblicità, poi la Giorgio Mondadori, poi il Torino, poi La7 e ho lanciato undici testate giornalistiche. Tra la Cairo Communication che fattura quasi 280 milioni e il Torino che ne fa 60, e con eventuali plusvalenze 70, va a finire che andiamo oltre i 350 milioni, pur essendo partiti da zero. Aggiungo che dieci anni fa, quando ho comprato il Torino, la società era fallita.
Prima – La7 si qualifica come una rete quasi interamente dedicata all’informazione. Ha in mente qualche cambiamento di rotta?
U. Cairo – In effetti stiamo pensando di innestare qualcosa di diverso da trasmissioni di sola informazione e di solo approfondimento che, peraltro, piacciono alla gente, e se ben curate mantengono un appeal notevole.
Prima – Pronti a varcare le colonne d’Ercole dell’intrattenimento?
U. Cairo – Con Gianluca Foschi, responsabile del palinsesto, e con Marco Ghigliani, il mio prezioso amministratore delegato, ci stiamo ragionando.
Prima – Immagino che si stiano cimentando con proposte anche le società di produzione che già lavorano con voi, come Magnolia, Endemol, e Itv Movie. Secondo la sua esperienza di editore televisivo conviene di più produrre in proprio o appaltare?
U. Cairo – Se una società di produzione esterna lavora per te avrà un suo utile e questo rende la trasmissione più costosa, ciò non toglie che in alcuni casi, considerato l’apporto creativo, organizzativo e logistico, i valori siano accettabili e la collaborazione funzioni. Ad esempio abbiamo dato in appalto a Itv Movie ‘Crozza nel Paese delle meraviglie’ e ‘di Martedì’, e i risultati sono ottimi.
Prima – Socio di Itv Movie è il suo amico Beppe Caschetto che è l’agente di Crozza, Floris, Gruber. Marco Bassetti di Endemol rischia invece di perdere il contratto per ‘Le invasioni barbariche’, il talk show di Daria Bignardi, quest’anno non all’altezza delle aspettative e dei costi del programma.
U. Cairo – Nel mondo della televisione si chiacchiera molto. ‘Le invasioni barbariche’ chiuderà la stagione con una media al 3% in una serata, il mercoledì, dove c’è una grande competizione. Ha un target di ottima qualità che piace molto alle aziende. Con Daria Bignardi stiamo pensando a cosa fare per il futuro.
Prima – Lei è molto diplomatico. Vediamo se riesco a provocarla chiedendole se prevede altri tagli a La7?
U. Cairo – Quando sono arrivato la situazione era tragica. La7 perdeva 100 milioni l’anno, da dieci anni. Abbiamo subito provveduto al risanamento tagliando i costi ma senza toccare la qualità del prodotto. Ora proseguiamo con lo sviluppo.
Prima – Però ha qualche grana da risolvere con i sindacati che minacciano cinque giorni di sciopero.
U. Cairo – Chiedono che i neoassunti abbiano gli stessi contratti integrativi degli altri, senza rendersi conto che il risultato straordinario è di essere riusciti a mantenere intatti 420 posti di lavoro in un settore dove migliaia dipersone, tra cui giornalisti, sono state mandate a casa. Anche se La7 non è più in sofferenza come un tempo, è necessaria una grande attenzione per competere in un mercato che dal punto di vista degli investimenti pubblicitari è calato, mentre i costi hanno la tendenza a crescere. Chi lavora a La7 credo abbia capito meglio dei sindacati quale sia la situazione e apprezzi la nostra determinazione a salvare i posti di lavoro.
Prima – Intravede luce nel futuro prossimo della rete?
U. Cairo – Sa cos’è il power index? È il rapporto tra la quota di mercato pubblicitario e quella di ascolto. Per noi è 131, che vuol dire che abbiamo come quota del mercato pubblicitario il 31% in più rispetto agli ascolti che facciamo. Mediaset è al 176, il che significa che raccolgono il 76% in più di quello che è il loro ascolto. Con il nostro target di qualità noi dobbiamo aumentare il nostro power index. Se ciò accadrà, se riusciremo a incrementare la raccolta, si libereranno risorse da investire per sviluppare un palinsesto sempre più articolato.
Prima – Del resto è arcinoto che stiamo vivendo un periodo durissimo. Lei è anche azionista di Rcs MediaGroup ed è stato tra l’altro il più esplicito a manifestare il proprio dissenso nei confronti dell’ad Pietro Scott Jovane e la propria contrarietà sull’ipotesi di vendita di Rcs Libri.
U. Cairo – Non conosco i numeri nel dettaglio ma solo quelli globali. Purtroppo vedo un’azienda che dal gennaio 2012 al settembre 2014 ha bruciato 288 milioni di cassa e dismesso per 400 milioni. Io continuo a pensare che vendere i gioielli di famiglia – come la sede e i libri – per coprire le perdite non sia una grande idea. Quel che è necessario è rendere l’azienda più efficiente. Il taglio dei costi è un’operazione sacrosanta perché gli sprechi vanno combattuti.
Prima – Mi pare chiaro, ma non è una novità, che non le piaccia la gestione di Pietro Scott Jovane.
U. Cairo – Intanto mi faccia dire che a livello personale ho simpatia per Jovane, i nostri figli vanno a scuola insieme, al Collegio San Carlo. Da azionista dico solo che un piano di risanamento non può durare più di tre anni.
Prima – Le piace l’operazione Gazzetta Tv?
U. Cairo – Anche se sono sempre pronto a cambiare idea, temo che in un panorama competitivo come quello dello sport in tivù, con investimenti miliardari in diritti e dirette molto costose, per Gazzetta Tv, pur essendo un brand molto forte e amato, non sarà facile aprirsi uno spazio.
Prima – So che non mi risponderà, ma non posso fare a meno di chiederglielo. Chi vorrebbe alla direzione del Corriere della Sera ?
U. Cairo – La mia idea è che si cambia il direttore di un giornale solo quando si ha la sicurezza di averne uno migliore e pronto per la sostituzione.
Intervista di Alessandra Ravetta