Prima Comunicazione 3/2015, 31 marzo 2015
LA CADUTA DI TOM
Ci siamo divertite come delle maestrine stronze, tanto non ci piaceva niente e quindi i voti bassi fioccavano. Ma la cosa più divertente è successa proprio la prima settimana. Una notte, mentre dormivo, sento squillare il telefono. “Sono io, sono qui a Los Angeles”. “E che ci fai lì? Non dovevi essere a New York? E poi, gli Oscar non sono ancora cominciati”, le ho detto subito invidiosa. “Ma che, dormi? Alzati, accendi il computer. Ti ho mandato una mail: clicca e guarda la sfilata di Tom Ford. Non puoi perdertela”. La solita esagerata, ho pensato. Questa è ancora innamorata persa di quello lì. Però, ormai mi aveva svegliata. E vediamoci la sfilata. Mi sono dovuta dare mille pizzicotti per capire che non stavo sognando, ma che ero sveglia. E non potevo credere a quello che vedevo. Quella scema mi ha fatto uno scherzo, ho pensato. Mi ha mandato su un sito falso dove prendono in giro le sfilate. Poi ho controllato su un altro sito. C’era la stessa cosa. No, non può essere vero. Alla terza gonna metà di jeans e metà maculato sono svenuta! Al terzo vestito con le balze e gli stivali mi sono accasciata! Alla quarta fantasia finto Pucci che c’era sulle gonne, sugli abiti e sugli stivali ho preso dieci gocce di Coramina! All’abito lungo con lo spacco alto e gli stivali sono morta! Mi dovete credere: non potevo credere a quello che vedevo. Ma ditegli qualcosa!, volevo urlare dallo schermo. Non è possibile. Ma questo cosa si è bevuto prima di fare uscire in passerella sta roba?
Ha fatto tutto sto casino per non sfilare a Londra e sfilare a Los Angeles due giorni prima degli Oscar per far vedere a tutte quelle star quella roba lì?
Allora, se siete curiosi anche voi, andatevi a vedere le foto della sfilata (ma si trova anche il video) e poi mi dite qualcosa. Intanto, io e la mia amica non abbiamo potuto dargli il voto. Pure ‛inclassificabile’ ci sembrava molto alto. Ma la mia paura era sempre quella di avere vissuto in un incubo. Poi, invece, ho visto e sentito che non ero la sola ad aver vissuto un incubo a occhi aperti. “Ma secondo te, è voluto andare a Los Angeles solo per avere alla sfilata sedute in prima fila tutte le attrici di Hollywood e per annunciare che sta per cominciare le riprese del suo secondo film?”, ho chiesto alla mia amica. “Quanto sei cretina”, mi ha risposto, sempre così delicata nei miei confronti. “Lui non vuole che quell’altro magro sia il re della città”, mi ha risposto in codice, forse cera qualcuno che l’ascoltava. A voi vi spiego che il magro è Hedi Slimane che vive e lavora a Los Angeles e che da quando disegna Saint Laurent è diventato l’idolo di tutti. E siccome, nel 2000, quando Tom è arrivato da Saint Laurent ha cacciato Slimane che disegnava l’uomo, tra i due è rimasta una ruggine infinita e ora a Tom gli rode, anche se vive a Londra con il marito e il figlio, che Slimane abbia tutto sto seguito. Certo che, però, lui è uno che cade sempre in piedi. È vero che la collezione non è piaciuta a nessuno, ma lui con il suo Tom Ford Show ha comunque dimostrato a tutti che in mancanza di idee la moda può diventare spettacolo e che la moda spettacolo è ancora un argomento forte di comunicazione. E nel suo caso, porta ancora clienti nei suoi negozi. Un modo per dire che lui resta il più furbo anche mentre qualcuno lo crede patetico.
La moda siamo noi – Ho detto ad Anna: “Ma ci voleva tanto a dirlo? Bastava che lo dicessi e tutti ce ne saremmo fatta una ragione. E invece, ci siamo dovute interrogare per mesi sui perché l’anno scorso hai voluto la mostra di Charles James al Metropolitan. Ce lo dicevi subito e noi avremmo capito. Mica siamo sceme”. Lei mi ha guardato come se fossi una povera pazza ingenua e, senza rispondermi, voleva tirare diritto. Ma l’ho bloccata come so fare io con un bel sorriso (quello ce l’ho ancora, c’ho le rughe ma non mi sono mica caduti i denti) e le ho detto: “Ma ora pure la Cina? Che, vuoi far comprare qualche marchio americano a qualche cinese? Oppure hai scoperto un sarto di gran classe dell’ultimo Imperatore e hai già per le mani un industriale americano a cui farlo comprare?”.
Lei mi ha riguardato come se fossi una povera pazza ingenua. Ed è andata via. Non ce n’è. Non la fermi quella. Va diritto dove vuole andare. Il fatto è che dopo essersi fatta intestare un’ala del Costume Institute del Metropolitan Museum di New York, l’ormai famoso Anna Wintour Costume Center, la divina dagli occhi di gatto ha ormai in mano tutte le chiavi del museo e fa e disfa come le pare. La mostra dedicata a Charles James, un sarto sconosciuto degli anni Cinquanta che improvvisamente tutti hanno dichiarato di conoscere vestito per vestito, è stata una vera sorpresa. Non si capiva perché, dopo anni di mostre più o meno blockbuster, Anna fosse arrivata a una decisione simile. La spiegazione è arrivata pochi giorni fa, con la notizia della possibile nomina di Zac Posen, giovane stilista protetto da sempre da lei, ad affiancare Georgina Chapman nella direzione creativa del neo-rinato marchio Charles James. Che, guarda caso, un mese dopo l’inaugurazione della mostra è stato comprato da Harvey Weinstein, il marito della Chapman che già le finanzia la linea Marchesa (marchio che prende il nome del titolo della Marchesa Casati e che abbiamo la fortuna di vedere solo sui red carpet di Hollywood), che altro non è se non il famoso e potente produttore cinematografico, fondatore della Miramax e poi della Weinstein Company. Insomma, un’operazione da ‘‘La Moda Siamo Noi”. Non è che mi scandalizzo, tanto non è la prima volta. Qualche anno fa ve l’avevo già detto della mostra dedicata al Metropolitan a Prada/Schiaparelli che era un’operazione che serviva al lancio della linea Schiaparelli da parte di Diego Della Valle. Cosa che è avvenuta con qualche mese di ritardo. In quel caso, visto che c’era di mezzo comunque l’Europa, forse c’è stato più pudore. Ora, invece, visto che si giocava tutto in casa, l’effetto è stato immediato. A me, poi, la cosa non importa niente: sono fatti loro. Il Met è un’istituzione finanziata, e con molti soldi, dai privati. E quindi se la vedano fra loro riccherrimi. Se chi dà i soldi è contento che Anna spadroneggi a favore dei suoi mici, va bene così. Che muova pure le sue pedine come meglio crede. Ma sono sicura che se fosse successo in Europa qualcosa del genere, dall’America si sarebbero levate voci disperate di protesta.
Cerimonie degli addii – Devo salutare due cari amici che sono partiti per sempre. Manuela Pavesi e John Fairchild. Manuela l’ho conosciuta tardi, era amica della mia amica Lucia Raffaelli, che anche lei è partita tanto tempo fa. Lavoravano insieme a Vogue e Manuela era la più brava redattrice di moda che l’Italia abbia mai avuto. Era geniale. L’unica che poteva competere, già allora, con le redattrici di moda straniere.
Le francesi e le americane.
Aveva un gusto perfetto, sempre preciso, carico ma preciso. Sapeva girare un vestito come nessuna: se era brutto, lo faceva sembrare bello, se era bello, lo rendeva ancora più bello. Trovava sempre l’accessorio giusto, anche quando chi faceva gli abiti non faceva nient’altro, e gioielli e borsette e scarpe andavano cercati e abbinati. Lavorava con fotografi stranieri, lei preferiva Albert Watson, un grande, con il quale ha formato una coppia artistica meravigliosa. I loro servizi per Vogue Italia erano sempre una meraviglia, ricchi di fantasia che sembravano un film. Da Watson, Manuela aveva imparato a usare bene la macchina fotografica, e infatti quando è andata via da Vogue ha cominciato a fare la fotografa di moda. Io l’ho sempre preferita come redattrice, ma le sue foto non erano per niente male. Mi dispiaceva soltanto che avesse smesso di fare la redattrice. Poi è andata a lavorare con Miuccia Prada, sua grande amica, ed è stata anche un’ottima visual. Mi è dispiaciuto tanto sapere che se ne è andata.
Con John Fairchild, invece, mi sono divertita un mondo. Era un signore speciale, sapeva scrivere benissimo e peccato che per occuparsi dell’azienda di famiglia ha dovuto fare soprattutto l’editore di Women’s Wear Daily. Un giorno, vedendomi annoiata, mi ha chiesto perché non scrivessi per il suo quotidiano. Io non potevo perché mi avrebbero licenziata, allora ci siamo inventati un nome de plume, come gli piaceva dire a lui. E così siamo andati avanti per un po’. Poi io mi sono stancata e anziché telefonarci per i pezzi ci chiamavamo per farci quattro risate. A Parigi mi invitava sempre a cena in qualche ristorante fuori mano: diceva che i pettegolezzi vengono meglio attorno ai tavoli un po’ fané delle brasserie di quartiere. Perché pettegolo era pettegolo, ma di un pettegolo molto da signore: gli piaceva sapere e parlare degli altri, ma senza cattiveria. E poi usava le informazioni per sistemare le sue cose: era un signore, è vero, ma è stato il progenitore del metodo Wintour. E cioè, la moda americana prima di tutto. E il potere della stampa americana sopra ogni cosa.
La moltiplicazione dei ricchi – La Famiglia Walton, proprietaria dei grandi magazzini Walmart, è la più ricca del mondo della moda. Ha un patrimonio privato di 41,7 miliardi di dollari. Il fondatore della Nike, Phil Knight, di miliardi ne ha 21,5. Ronald Perelman, proprietario della Revlon, ha invece solo 14,5 miliardi di dollari su cui contare. Un po’ di più di Leonard Lauder (Estée Lauder) che ne ha 9,1 e di Ralph Lauren che ne ha 7. Da questa parte dell’Oceano, a contare soldi tutti i giorni ci sono Liliane Bettencourt, proprietaria di L’Oréal, che ha un patrimonio di 40,1 miliardi di dollari, più di Bernard Arnault, di Lvmh, che ha in tasca 37,2 miliardi. Al confronto i due fratelli proprietari di Chanel, Alain e Gerard Wertheimer, sembrano degli squattrinati, con i loro 9,5 miliardi. Se vi siete persi la classifica di Forbes sui ricchi della moda, andatevela a leggere. Troverete delle sorprese. E tra i riccastri non si trova neanche un italiano. Però a me la cosa mi sembra strana.
Aaa cercasi – Non si riesce a trovare uno che sia disposto a fare il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana. Dicono che l’incarico di presidente onorario con delega ai rapporti con l’estero data a Mario Boselli sia molto ingombrante. Dicono che ora non si può tornare indietro. Dicono che alla fine un presidente si troverà e che l’attuale ceo, Jane Reeve, finalmente sarà libera di lavorare. In attesa che tutto si sistemi, può darsi che arrivi il tempo che le Fashion Week vengano dimezzate e che il presidente della Camera Europea della Moda sarà scelto a Parigi. Dicono. E può darsi che questa che sembra una farneticazione diventi realtà prima del previsto.