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 2015  marzo 31 Martedì calendario

L’EUROZONA E QUEL VIZIO FRANCO-TEDESCO

La crisi dell’eurozona è tutt’altro che risolta. Certamente, la combinazione di fattori macro-economici favorevoli, insieme alla possente politica anti-deflazionista della Banca centrale europea (Bce), ha e hanno creato le condizioni per una ripresa delle economie periferiche dell’eurozona. Ma i problemi strutturali dell’eurozona rimangono irrisolti. I problemi strutturali dell’eurozona sono infatti istituzionali e non solo di “policy”. L’eurozona è nata male. È nata su un compromesso politico tra Francia e Germania che aveva una scarsa se non nulla razionalità istituzionale.
Il compromesso, siglato a Maastricht nel 1991 e quindi confermato nei successivi Trattati, è stato il seguente: centralizzare la politica monetaria (come volevano i tedeschi) e decentralizzare la politica economica, finanziaria, di bilancio (come volevano i francesi). È stata così creata una Eurozona basata su una moneta comune ed una pluralità di politiche economiche nazionali. Come dire, una moneta senza un governo ma con tanti governi. Come se non bastasse, i tedeschi, per ragioni ideologiche oppure per semplice sfiducia nei confronti degli altri membri dell’Eurozona, hanno imposto sin da subito precisi confini giuridici e macro-economici al coordinamento delle politiche nazionali. Più il coordinamento delle politiche economiche nazionali si dimostrava difficile, più le regole sono diventate stringenti. Una sequenza interminabile di regolamentazioni è stata così introdotta per imporre un controllo preventivo e successivo delle politiche economiche domestiche che pure sono rimaste formalmente autonome. Naturalmente, la condivisione di una moneta comune implica il riconoscimento di una strutturale interdipendenza tra le economie che quella moneta condividono. Privati del controllo della politica monetaria, gli stati membri dell’Eurozona sono stati svuotati di una proprietà costitutiva della loro sovranità nazionale, anche se non tutti (come il nuovo governo greco) se ne sono resi conto.
Tuttavia, nell’Eurozona è avvenuto qualcosa di più insidioso dello svuotamento della sovranità nazionale nella politica monetaria. È avvenuto, cioè, uno svuotamento della democrazia. E le ragioni di tale svuotamento vanno ricercate nella natura del compromesso celebrato a Maastricht. L’assunzione che una moneta comune potesse essere governata dal coordinamento di (oggi) 19 politiche economiche nazionali ha prodotto effetti contradditori e anti-democratici. Due in particolare. Il primo è l’irrigidimento delle regole tecnocratiche e giudiziarie che presiedono al coordinamento delle politiche economiche nazionali. La crisi, accentuando le divisioni tra il nord e il sud dell’Eurozona, ha portato ad un deterioramento della fiducia reciproca tra i membri di quest’ultima. Più il conflitto di interessi e la sfiducia sono cresciuti, più si è accentuata la regolamentazione dei rapporti tra gli stati membri dell’Eurozona. Il secondo effetto è ancora più preoccupante. Nonostante il tentativo di basarsi esclusivamente sulle regole, la necessità della mediazione politica tra
gli interessi nazionali è emersa drammaticamente.
Tuttavia, non essendoci un governo comune della moneta comune, chi si è assunto quel compito politico? Il Paese più grande ed economicamente più forte, cioè la Germania. È probabile che la Germania sia stata riluttante ad assumersi un ruolo di leader, avendo presente la sensibilità degli europei nei confronti della sua passata politica di potenza. Fatto si è che quel compito essa ha dovuto assumerselo, dato che non c’è una leadership istituzionale dell’Eurozona. Così è il governo tedesco che va ad una trattativa con il governo greco, anche se poi il cancelliere Angela Merkel si porta altre figure di contorno per non apparire dominante. Ma Angela Merkel rappresenta i cittadini del suo paese, non già dell’Europa. Né la Germania è l’unico paese che ha prestato soldi alla Grecia. Senza la leadership della Germania ci sarebbe il vuoto decisionale, con la leadership della Germania abbiamo il pieno anti-democratico.
Ecco le conseguenze di un’Eurozona nata male. Se si rimane nel compromesso di Maastricht, non ci sono soluzioni democratiche alla gestione della moneta comune. È noto che, in molti Paesi, non ci sia l’appetito per una riforma dei Trattati. È comprensibile che la Commissione Juncker abbia scelto di fare un passo indietro nella sua “Nota analitica” presentata al Consiglio Europeo nel febbraio scorso, là dove chiedeva un maggiore coraggio nella riforma istituzionale dell’Eurozona. Tuttavia, quel compromesso occorre superarlo. Il governo italiano ha deciso di dare vita ad una riflessione strategica sul futuro dell’Eurozona. Speriamo che possa condurlo ad assumere un ruolo innovatore, un ruolo che l’Italia ha peraltro già assunto nel passato.