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 2015  marzo 31 Martedì calendario

DA AFFITTOPOLI ALLA SCALATA UNIPOL-BNL, SEMPRE ASSOLTO IL LIDER MASSIMO

Sempre archiviato o prosciolto. La fedina penale di D’Alema è e resta immacolata, nonostante il Lìder Massimo sia stato più volte lambito da inchieste giudiziarie. Alcune volte direttamente, altre volte in modo tangente perché il lavoro dei pm aveva riguardato suoi fedelissimi, ma non lui direttamente.
Nel 1999 ad esempio scoppia lo scandalo escort a Montecitorio. Due squillo sarebbero entrate alla Camera senza lasciare documenti per consumare rapporti sessuali a pagamento con esponenti politici di primo piano, «importantissimi». Nele carte si fa riferimenti notoriamente molto vicini a D’Alema. Si parla di sesso a pagamento, certo. Ma anche di organizzazione di festini a luci rosse per ottenere favori, appalti o altre utilità. D’Alema naturalmente non c’entra, e mai è indagato. L’inchiesta poi verrà archiviata.
Il nome dell’ex premier spunta anche nel verbale segretato di Gianpaolo Tarantini. Il 6 novembre 2009 l’imprenditore finito nei guai per le escort che avrebbe procurato a Berlusconi parla di complotti, intrighi internazionali, proposte indecenti da parte del tycoon Murdoch per comprare i suoi segreti. Ma Tarantini vuota il sacco (il suo sacco) anche su affari, lobby occulte battenti bandiera dalemiana che condizionerebbero i rapporti tra business e politica in Puglia, e sui sospetti della famosa «scossa» annunciata dal Lìder Massimo. Anche in questo caso D’Alema risulta totalmente estraneo a ogni fatto citato e non viene indagato.
Viene messo sotto inchiesta, invece, un altro suo fedelissimo, Filippo Penati, coinvolto nel cosiddetto «sistema Sest». Un giro di tangenti durato 15 anni che avrebbe coinvolto il Pd lombardo rivelato da un’inchiesta della procura milanese avviata nel 2009 sulla riqualificazione dell’area delle ex aree industriali Falck e Marelli. Le mazzette ammonterebbero a 5,7 miliardi di vecchie lire. Nel febbraio 2014 la Cassazione dichiara prescritto il reato ipotizzato a carico dell’ex presidente della Provincia di Milano. Penati finisce nei guai anche per l’inchiesta sull’acquisto della Milano-Serravalle da parte della Provincia di Milano e il nome di D’Alema finisce nei verbali dove vengono riportate le dichiarazioni rese da uno degli indagati, l’architetto Raffaele Sarno. L’ex premier - non indagato né minimamente sfiorato dall’inchiesta - si infuria e querela i giornali.
Secondo u’inchiesta realizzata invece da Panorama, nel 1985 D’Alema, allora segretario regionale del Pci in Puglia avrebbe ricevuto un contributo di 20 milioni di lire per il partito da parte di Francesco Cavallari, imprenditore barese, «re» delle case di cura riunite. Episodio ammesso dallo stesso D’Alema in sede processuale. La posizione dell’ex premier è stata archiviata. Per D’Alema poi il gip Clementina Forleo ipotizzò nel 2007 il reato di concorso in aggiotaggio nell’ambito della scalata alla Banca Nazionale del Lavoro organizzata dalla Unipol di Giovanni Consorte. Il giudice Forleo richiese nel 2007 al Parlamento italiano la possibilità di utilizzare le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche che coinvolgevano D’Alema, Consorte e Piero Fassino nel procedimento a carico degli scalatori, procedimento che peraltro non vedeva D’Alema tra gli indagati.
Poi, sempre per uomini a lui vicini, venne solo sfiorato (mai indagato) per la vicenda Enac conclusasi con un nulla di fatto. Nel 1995 infine D’Alema rimase coinvolto nella cosiddetta Affittopoli, inchiesta de Il Giornale secondo la quale enti pubblici davano in locazione a Vip appartamenti ad equo canone. Dopo una dura campagna mediatica D’Alema decise di lasciare l’appartamento per comprare casa a Roma, ma solo dopo essersi presentato alla trasmissione di Rai3 condotta da Michele Santoro, dal titolo Samarcanda, in cui giustificò l’accaduto affermando che aveva avuto bisogno di una casa appartenente a enti pubblici perché versava metà del suo stipendio da parlamentare al partito . L’immobile in questione era un appartamento di 146 metri quadrati in zona Porta Portese, per il quale pagava un equo canone pari a 1.060.000 lire (che rivalutati secondo l’inflazione Istat al 2010 corrispondono a circa 780 euro).