Andrea Elefante, La Gazzetta dello Sport 31/3/2015, 31 marzo 2015
MIRKO VA SEMPRE DI FRETTA
Da un anno va così, gli va tutto di fretta. Un anno fa il massimo pensiero calcistico di Mirko Valdifiori era avere finalmente la certezza di poter giocare in Serie A: a 28 anni non lo sentiva come un diritto acquisito, ma credeva di meritarlo. Credeva fosse giusto poterci almeno provare. Sette mesi fa l’autoimposizione era non farsi stordire dai tanti complimenti e «sette» in pagella che avevano iniziato a piovergli in testa, dopo un atterraggio subito dolcissimo in quel campionato che aveva sempre guardato solo dal basso. Cinque mesi fa il tarlo della speranza di essere convocato in Nazionale – glielo avevano inculcato nel cervello, lui non è tipo da andare tanto in là con la fantasia – era rimasto un insetto dal lavoro illusorio, perché la chiamata di Conte non arrivò. Dieci giorni fa l’illusione nel frattempo tornata speranza è diventata realtà, e Valdifiori il cancello di Coverciano l’ha varcato davvero: ancora un po’ incredulo, come un bambino solo un po’ cresciuto che si ritrova nel suo personalissimo paese delle meraviglie, e molto ma molto orgoglioso per non essere più costretto a sognarla e basta, quella maglia azzurra. Per essere a suo modo un simbolo della gavetta che diventa diploma; della carta d’identità che può essere garanzia, perché come diceva lui qualche giorno fa a Coverciano «cercare sempre degli stranieri quando possono esserci degli italiani all’altezza, a volte anche nelle serie minori, non è giusto».
COME UNA TROTTOLA E poi l’ultima accelerazione un giorno fa, ieri, quando Valdifiori ha saputo che stasera debutterà in Nazionale – da titolare e contro l’Inghilterra, mica niente – perché Conte ha scelto lui e non Verratti per guardare in faccia Carrick e compagnia: non è un passaggio di consegne, ma è la certificazione di una precisa volontà del c.t., capire in un test così serio quello che Valdifiori può dargli davvero. E Valdifiori ha capito che provare a fermare quella trottola che è diventata la sua vita di calciatore sarebbe inutile: meglio vivere il momento, e basta. Meglio, soprattutto, goderselo fino in fondo come si è goduto questi giorni a Coverciano. E farne il miglior ricordo possibile, non solo un momento da portare dentro per sempre. Quello succederà a prescindere da come andrà stasera. E a prescindere da come continuerà la sua esperienza azzurra.
QUELL’INNO CANTATO Sabato sera, a Sofia, a Valdifiori era sembrato bellissimo anche solo cantare l’inno italiano abbracciato ai compagni di squadra: a Elisa, sua moglie, la prima a cui aveva telefonato per annunciare la convocazione di Conte, poi aveva provato a raccontarla come un’emozione troppo difficile da spiegare con le parole. Domenica e forse ancora ieri mattina gli sembrava bellissima anche solo l’idea di giocare contro l’Inghilterra per qualche minuto, entrando nel secondo tempo. Ma ormai il destino di Valdifiori è questo: prendersi in poco tempo, tutto e subito, quello che per un sacco di tempo gli era sembrato solo un qualcosa di lontanissimo. Ora gli manca solo il passo più importante, riuscire ad essere se stesso anche stasera: non perdere il suo calcio semplice e pulito che l’ha portato fino a qui. Ché tanto la testa non la perderà di sicuro.