Francesco Guerrera, La Stampa 29/3/2015, 29 marzo 2015
SE GOOGLE RUBA I CERVELLI A WALL STREET
Senza la zavorra della pietra, il palloncino, pieno d’aria e bramoso di volare, è condannato a vagare per il cielo senza meta. Priva del compito di tenere i palloncini ancorati al suolo, la pietra è un oggetto banale e senza scopo. Da sole, le due cose non hanno grande importanza ma insieme creano un’unione che vale molto di più della somma delle parti.
La storia mi fu raccontata tanti anni fa in un contesto completamente diverso ma mi è ritornata in mente questa settimana quando il rapporto di amore-odio tra il palloncino della tecnologia e la pietra della finanza è ritornato in primo piano. Il casus belli è stata la decisione da parte di Google di «rubare» Ruth Porat, direttrice finanziaria della Morgan Stanley, a Wall Street.
La defezione della donna più importante nel salotto buono delle banche americane ha fatto scalpore sia a New York sia sulla costa Ovest. Fino a quel momento, la concorrenza per i cervelli tra i magnati del denaro e quelli del silicone si era limitata a laureati delle grandi università della «Ivy League» e a giovani immigranti di lusso dalla Cina, l’India e l’Europa.
Ma con l’assunzione della Porat, che ha 57 anni e ha passato quasi tutta la carriera a Morgan Stanley, Google è penetrato nella cittadella di Wall Street, la stanza dei bottoni a cui pochi hanno accesso.
È questo il segno – si sono chiesti i titoloni dei giornali e le email tra banchieri, esperti di tecnologia e analisti – di un passaggio delle consegne? Che Silicon Valley è ormai la destinazione più ambita sia per giovani di belle speranze sia per veterani di altri settori? Che Wall Street, ferita quasi a morte durante la crisi finanziaria, non si riprenderà mai più?
La reazione di uno dei miei amici banchieri alla notizia della Porat è stata semplicemente «Omg!» - l’abbreviazione per «Oh My God» spesso utilizzata dalle ragazzine teenager per descrivere Justin Bieber.
Per chi non vuole regredire a livelli adolescenziali, però,vale la pena esaminare i legami complessi tra due industrie che sono alla base dell’economia americana.
Guardiamo ai fatti. Stiamo vivendo un momento d’oro nell’evoluzione della tecnologia. Gran parte delle idee, cervelli e aziende risiedono negli States. Da giganti come Google e Facebook a nuovi arrivati quali Twitter, Instagram e Uber, dal potenziale enorme del «cloud computing» – la nuvola dei dati – all’avvento di «case intelligenti» programmabili con l’iPhone, l’information technology sta dominando le nostre vite e creando fortune enormi per investitori e imprenditori. Non è un caso che il Nasdaq, l’indice di Borsa dedicato alle nuove tecnologie, sia ai livelli più alti degli ultimi 15 anni, a un passo da un nuovo record.
Silicon Valley è il nuovo Santo Graal per chi ha neuroni, ambizione e voglia di fare soldi. Al prestigiosissimo Massachusetts Institute of Technology di Boston, quasi uno su tre della classe di laureati del 2013 è finito nell’It mentre meno del 10% è andato a Wall Street. Nel 2006, i numeri erano l’opposto.
La differenza è, ovviamente, la crisi finanziaria del 2008-2009, che ha decimato gli utili dei grandi gruppi finanziari e spinto il governo a introdurre nuove regole del gioco. Le banche hanno risposto tirando la cinghia e riducendo le buste paga. I giganti della tecnologia, per ora, questi problemi non li hanno. Basta guardare al pacchetto che Google ha offerto alla Porat: 70 milioni di dollari nei prossimi cinque anni, una cifra che non sarebbe mai riuscita a guadagnare nella Wall Street di oggi.
Conosco la signora Porat da anni ed è uno dei banchieri più intelligenti, capaci ed esperti al mondo. Ma una rondine, anche se di primissima qualità, non fa primavera. L’idea che Silicon Valley stia «svuotando» Wall Street, privandola di talento, non ha molto senso.
Prima di tutto, ci sono ancora migliaia, se non centinaia di migliaia, di persone capaci e intelligenti che vogliono lavorare in finanza, e non solo per i soldi ma anche perché la trovano stimolante, divertente e eccitante.
Ma il fattore più importante è che Google, Twitter e compagnia hanno bisogno di Wall Street per continuare a crescere. Senza l’aiuto di banchieri, investitori e capitale di rischio, nessuna azienda può sopravvivere, tanto meno un settore che vive di tecnologie rivoluzionarie e strategie inedite (chi aveva mai sentito parlare di «social network» prima di Facebook?). L’intermediazione finanziaria, i contatti con gli investitori e la capacità di spiegare storie complesse ai mercati rimangono ruoli fondamentali per banche e banchieri.
L’It ha bisogno di una Wall Street in buona salute. Le idee e il know-how tecnologico non valgono granché senza l’abilità di trasformarli in utili, ed è qui che i signori e le signore della finanza sanno cosa fare.
Google ha scelto la Porat perché è in difficoltà con mercati e investitori – la crescita nel reddito si sta affievolendo, i regolatori stanno attaccando e la concorrenza da parte di Apple, Facebook e Twitter sta aumentando.
Google, come tante aziende di Silicon Valley, voleva qualcuno che parlasse il linguaggio della finanza per convincere gli investitori ad aprire i cordoni della borsa. «Non è nel loro interesse assumere tutti i migliori di Wall Street. Li vogliono tenere dove stanno», mi ha spiegato un banchiere che fa la spola tra San Francisco e New York.
Il trend di fondo non si discute: dopo anni di dominio quasi incontrastato, il peso specifico della finanza nell’economia americana è stato ridimensionato a favore di settori come la tecnologia ma anche il manifatturiero e i servizi. Dovrebbe essere un cambiamento positivo se serve a ridurre lo scompenso tra speculazione finanziaria e attività produttive che portò alla crisi del 2008.
Ma ciò non vuol dire che la tecnologia sia destinata a distruggere la finanza: senza la pietra, il palloncino ha vita breve. Se Wall Street non ci fosse, Silicon Valley dovrebbe inventarla.
Francesco Guerrera, La Stampa 29/3/2015
Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal a New York.francesco.guerrera@wsj.com e su Twitter: @guerreraf72