Gabriele Romagnoli, la Repubblica 29/3/2015, 29 marzo 2015
LE CASE DEGLI ALTRI NEL CUORE ANTICO DI MALTA
Confesso: sono un pornoimmobiliarista. Ci sono uomini che passano ore a guardare il sesso su internet, io le trascorro entrando nelle case degli altri, quelle in vendita: a Barcellona o Berlino, in Maremma o Baja California. Quando viaggio in qualche città da scoprire mi faccio precedere da un nutrito scambio di e-mail e qualche telefonata con un agente immobiliare del posto, che poi mi conduce per uno o due giorni a vedere dal vivo appartamenti, incontrare proprietari, ascoltare storie fatte di ristrutturazioni, arredi, eredità, memorie. Di tutti i modi per visitare una città, uno tra i più efficaci. La Valletta, per esempio.
Che ci vai a fare a Malta, che sembra l’Italia (la Sicilia, per la precisione) trent’anni fa? Ho appuntamento con Angele, che mi deve portare a scoprire, di casa in casa, la vita sull’isola. A me interessa il cuore antico, dove ci sono le strade strette in salita, le botteghe di scorbutiche droghiere, i ristoranti sotterranei, le chiese e i santi scolpiti sui muri esterni.
Il primo appartamento ne ha uno, una specie di altare all’angolo di un balcone angolare, che lo cinge su due lati. Dà sulla via principale ed è lì che appare la proprietaria, una specie di Moira Orfei cinquantenne. Apre la porta di un alloggio signorile, vasto e abbandonato da anni che sembrano secoli.
«Ci vivevano i miei genitori, poi soltanto mio padre: era avvocato».
Che un uomo solo potesse avere tante cose, un tale ciarpame, è difficile da credere, non fosse qui, sparpagliato davanti agli occhi: distese e montagne di tazze, libri, casse, spazzole, tele, paralumi, cappelli, bastoni. Ogni cosa ha un’etichetta con un numero.
«Siamo quattro fratelli, gli eredi. Vendiamo la casa e, per evitare liti sulla roba, una volta al mese ci ritroviamo qui e sorteggiamo venti numeri».
Quattro: i dischi in vinile. Ottantotto: la collezione di francobolli. Centosessantatré: il servizio da tè. Un pezzo alla volta, si portano via la memoria, prescindendo dal valore e dall’utilizzo. Smembrano una vita e rafforzano la mia convinzione che sia meglio andarsene come si è venuti, a mani vuote, i pugni chiusi: niente. Dalle finestre vedo gli anziani seduti ai caffè di Old Mint Street, l’ingresso del teatro Manoel che programma un vaudeville: è davvero una macchina del tempo, indietro tutta. Scuoto la testa e l’agente immobiliare ringrazia, procedendo oltre.
L’appuntamento successivo è vicino ai bastioni, la casa ha il forte Sant’Elmo alle spalle, la baia davanti. Va da terra a cielo, una stanza per piano: studio, camera da letto, salotto, cucina, terrazzo. Il proprietario è uno straniero, un canadese, elegante e affettato. Ha ristrutturato l’edificio personalmente, senza badare a spese, con gusto da rivista di arredamento. Mi sembra di attraversare gli scomparti di un baule Louis Vuitton. Niente tradisce la storia personale, finché non ci sediamo in cima, a prendere vento. Gli chiedo perché, dopo tanta fatica, venda. Risponde qualche bugia sulle tasse (a Malta sono leggere, per questo le società di scommesse sono qui in massa), sulla burocrazia, sulla necessità di investire altrove. Glielo leggi in faccia: era una casa dedicata a qualcuno. Una storia finita. La metà dei trasferimenti nel mondo (quella che non è per lavoro) è per amore. Il falcone maltese è volato via e questo pubblicitario del Quebec si rivende il nido svuotato. Gli enormi specchi del bagno non riflettono più abbastanza, non c’è altro avvallamento sul grande divano bianco. Perfino il prezzo richiesto è indice di una fuga: prendi i soldi e scappa.
Angele mi porta via: saliamo fino alla concattedrale che ospita nell’oratorio la Decollazione di San Giovanni Battista del Caravaggio. Questa città è una roccaforte, qui i Cavalieri resistettero al Grande Assedio, contribuendo a fermare l’avanzata ottomana e islamica in Europa. Il mare porta il suono della storia che si ripete come un’onda. E torna e torna e torna. Solo l’arte può nobilitarne l’atrocità, se distruggi quella resta il calpestìo dei giorni che marciano verso la fine.
L’ultima casa è un mistero. I proprietari sono assenti, han lasciato la chiave dentro un vaso di terracotta. Apre una porta che dà su una grotta, arredata con mobili tirolesi. Una scala di pietra conduce al piano superiore dove le finestre sono feritoie, scalmi per fucili. Ancora gradini divorati dal tempo e si esce sul terrazzo, protetto da un muro che scherma il vento, ma anche la vista del mare. Qui non sappiamo chi abbia vissuto. Chiunque fosse, se n’è andato e, pure qui, da anni, che sembrano secoli. L’altra casa guardava il forte, questa lo è, un forte. Chi l’ha lasciata voleva tramandarci un insegnamento: ora tocca a noi difenderci, da soli, a noi proteggere cose e persone in cui crediamo. Siamo noi gli ultimi possibili cavalieri. A Malta, come altrove.
Gabriele Romagnoli, la Repubblica 29/3/2015