Valerio Cappelli, Corriere della Sera 28/3/2015, 28 marzo 2015
VANESSA, PIANISTA ITALIANA CHE INCANTÒ STOCKHAUSEN
L’ ultima allieva di Karl-heinz Stockhausen è una ragazza italiana, si chiama Vanessa Benelli Mosell, è nata a Prato 27 anni fa. Uno dei più importanti (e controversi) compositori del XX secolo, esploratore del suono, pioniere dell’elettronica capace di far suonare nel cielo elicotteri e violini, uomo eccentrico e narcisista, affidò i suoi insegnamenti a una ancora sconosciuta pianista, che nel 2006 era poco più che adolescente. Però aveva già conseguito studi importanti, tra Accademia di Imola (dove entrò a 7 anni, la più giovane allieva), Conservatorio «Ciaicovskij» di Mosca e master al Royal College of music di Londra.
Vanessa si presentò a un concerto milanese di Stockhausen con una registrazione di sue musiche. «Mi rispose con una lettera scritta con un pennarello d’argento, disegnando tanti cuoricini. Nessuna malizia, lo faceva con tutti». Ex fidanzata dell’ex onorevole Bocchino, dice che la bellezza conta, «è un valore aggiunto che non nuoce», ma del suo successo non deve dire grazie a nessuno, se non ai suoi genitori, la mamma casalinga e il papà chirurgo ortopedico: «Se ho fatto sacrifici, non me ne sono accorta. Ho fatto quello che mi piaceva. A tre anni suonavo a orecchio. Crescendo, ascoltavo di tutto, Bach e i Pink Floyd, Schumann e Lady Gaga».
Il suo cd d’esordio per la Decca, «(R)Evolution», annovera Stockhausen (8 pezzi per piano), accanto a Stravinskij e alla prima incisione mondiale della Suite del francese Karol Beffa.
Stockhausen la invitò a studiare con lui («in Italia nessuno era in grado di insegnare quel repertorio»). Lei affittò una casa accanto a quella del compositore, a Kurten, vicino a Colonia, dove lui abitava con la sua compagna. Com’era? «Non tanto paziente, direi. Temevo di non essere all’altezza. Era intollerante se non si parlava la stessa lingua musicale. Tutti i discorsi erano concentrati sulla sua musica, era meticoloso, preciso su dettagli infinitesimali, dal punto di vita ritmico e dinamico. L’unico del passato che considerava suo pari era Mozart».
Maurizio Pollini è un suo grande interprete. «Fu un recital di Pollini, quando avevo 11 anni, a scatenarmi l’amore a prima vista per Stockhausen». Una cosa piuttosto singolare: cosa la colpiva, di quella musica? «Il fatto che fosse rivoluzionaria, sono davvero suoni che lui ha inventato, non servendosi di strumenti tradizionali. E ci rappresenta alla stregua di tutta l’arte del 900, che nelle sue varie espressioni ha mostrato l’evoluzione, il progresso, la guerra, gli orrori, le difficoltà, le ingiustizie. È come guardarsi allo specchio, che ci piaccia o no. Pollini ha aperto una strada che ha fatto nascere questo interesse dentro di me. Ma io ho studiato con il compositore, e ha un valore immenso. Una volta Pollini mi chiese di raccontargli cosa mi dicesse Karlheinz».
È ancora attuale, la sua musica? «Non direi, anche se l’elettronica che piace ai giovanissimi è figlia delle scoperte di Stockhausen. L’avanguardia permane, però oggi i compositori non seguono la sua eredità, c’è un ritorno alla musica di più facile comprensione. Stockhausen non pensava al sentimento ma all’estetica. La comprensione della musica è un concetto fuorviante, perché noi possiamo amarla e goderne appieno. Karlheinz adorava l’Italia e conosceva la nostra lingua. Sono rimasta a studiare accanto a lui fino alla sua morte, nel 2007».