Renato Franco, Corriere della Sera 28/3/2015, 28 marzo 2015
DARIA E LE INTERVISTE BARBARICHE: SBAGLIATA LA FORMULA-MARATONA
MILANO «Tre ore e un quarto per un programma di interviste sono troppe. Non faccio misteri di soffrire questo formato, perché lo trovo troppo lungo per un prodotto come Le invasioni barbariche. Mi costringe a fare scelte che non mi rispecchiano completamente. Secondo me il formato giusto è di tre interviste, un’ora e mezza di programma». Daria Bignardi, andata in archivio l’ultima maratona di faccia a faccia su La7, traccia il bilancio di una stagione che, nell’aridità dei numeri, è stata tra le più basse per ascolto: 3% di share, 660 mila spettatori.
Dunque il problema è la lunghezza del programma?
«Lo penso da parecchi anni. Ho provato a proporre un formato più breve, anche in seconda serata, ma mi sembra che in questo momento non sia nei piani editoriali fare la seconda serata».
Ora Cairo non sembra contrario a considerare questa ipotesi. Le risulta?
«Ne abbiamo parlato, Le invasioni gli piacciono. C’è anche un discorso di costi produttivi, che io non conosco. Ma se la rete non fa le seconde serate ci saranno dei motivi. Cairo ha preso La7 in un momento in cui era in grande difficoltà, la sta raddrizzando, ha molti meriti. Non mi metto certo a criticare le sue scelte».
Dovevano essere 12 puntate. Sono diventate 10. La7 smentisce che siano state tagliate. E lei?
«Mi diverte e gratifica molto che ci sia un’attenzione così grande sul numero delle puntate come se dopo 11 anni farne 10 o 12 sia una notizia. Le invasioni sono un programma di nicchia che ha tante persone affezionate e anche tanti antipatizzanti, e anche questo vuol dire qualcosa, vuol dire che ci siamo nell’immaginario collettivo».
Ha detto di essere stanca.
«Se è per questo l’ho detto anche l’anno scorso. Sei interviste in diretta una dopo l’altra ti richiedono intensità, approfondimento, concentrazione. Credo che nessuno potrebbe farle tutte con lo stesso ritmo».
Poteva fare meglio quest’anno?
«In sei interviste di errori ne fai per forza. Ma non mi piace questo tipo di approccio. Io sono la prima a non essere mai contenta di quello che faccio, spesso fai quello che riesci, non sempre hai l’ospite che vorresti. Penso di aver fatto il meglio che potevo».
Ormai si muove solo chi ha da lanciare un film, un cd, un programma. Gli ospiti in promozione sono un problema?
«Sì, perché l’ospite in tour promozionale lo vedi anche altrove. Per me l’ospite migliore è quello che non ha nulla a che vedere con queste dinamiche».
L’anno prossimo ci sarà ancora?
«Non lo so, non ci penso ora, dipende da tante cose. La tv è importante ma non è il centro della mia vita. La faccio per tre mesi, poi il resto dell’anno mi dedico ad altro. Ora sto finendo il mio nuovo libro, esce a maggio, Santa degli Impossibili ».
Lo spettatore-maratoneta con oltre tre ore di tempo a disposizione da dedicare alla tv ormai fa parte del passato. Ora si consuma tutto molto più velocemente.
«C’è un cambiamento in corso, usiamo in modo diverso il nostro tempo, che è sempre più parcellizzato: la rete è la nuova realtà della comunicazione, non possiamo non farne i conti, il modo di fruire l’informazione, l’intrattenimento e l’approfondimento sono cambiati».
Quali interviste le sono riuscite meglio?
«Preferisco sempre le storie emblematiche del costume che cambia. Come quella di Mirco e Patric, coppia gay che ha avuto tre gemelli da madre surrogata. O quella di Gessica, la figlia che ha appoggiato l’eutanasia del padre».
Non ama i famosi dunque?
«L’ho sempre detto, preferisco i non famosi. Non ho particolare doti, capacità né interesse nell’intervistarli. Ciò non toglie che possano capitare incontri riusciti anche con loro».
Perché fa questo programma?
«Le Invasioni sono un punto di vista, un misto di tante cose che devono parlarti dello spirito del tempo. Finche lo fanno hanno un senso. Adesso siamo in un momento di tempi frammentati molto difficile da raccontare».
Si diverte ancora a fare tv?
«Sì».