Mario Pappagallo, Corriere della Sera 28/3/2015, 28 marzo 2015
L’UOMO CHE VIVE DOPO IL TRAPIANTO DI UN CUORE «MORTO»
«Un mese fa ero praticamente morto. Senza prospettive. Ora sto bene. Prima del trapianto riuscivo a malapena a camminare, la mia vita era difficilissima. Adesso mi sento ogni giorno più forte», dice Huseyin Ulucan, il meccanico sessantenne che è tornato a vivere grazie a un cuore già morto, non battente, impiantatogli ormai un mese fa. È il primo in Europa ad aver usufruito di questa nuova possibilità offerta nel campo dei trapianti. Ora è a casa da una settimana e il suo nome è stato rivelato perchè il successo dell’intervento è confermato. Se ne può parlare. Risponde al telefono mentre torna a piedi dall’ospedale, il Papworth Hospital nell’area di Cambridge, per controlli vari: «Tutto bene... Che sensazione tornare a camminare senza fatica, sentire il corpo che risponde».
Il cuore di Huseyin era stato gravemente «ferito» da un infarto devastante nel 2008. Da allora, nonostante le cure, il peggioramento era stato senza ritorno. Il trapianto di cuore era l’ultima spiaggia, ma la lista d’attesa (in cui era da quasi sette anni) per il meccanico londinese sembrava ormai solo l’anticamera della morte. I granelli di sabbia nella clessidra della sua vita segnavano l’avvicinarsi di un termine improrogabile. Al momento i pazienti inglesi possono aspettare in media anche tre anni per un trapianto di cuore, ma meno della metà giunge al traguardo. Il 13% muore nell’attesa di un organo compatibile, un altro 30% viene rimosso dalla lista perché le condizioni peggiorano. Era questo il caso del paziente Ulucan. Non si trovava mai quel cuore (dei pochi disponibili, perchè le donazioni sono in calo ovunque) giusto per lui. Compatibile.
Poi il colpo di fortuna: la sperimentazione, mai tentata in Europa, di un nuovo metodo capace di ridare vita a un cuore già morto. Da cinque minuti, ma comunque già morto. Senza pulsazioni. Espiantato da un cadavere e non da un morente a elettroencefalogramma piatto a cui si prelevano (ma solo con l’assenso alla donazione) organi ancora funzionanti e vitali.
Il metodo ideato negli Stati Uniti, e già provato in Australia (nel 2014), fa rivivere un cuore defunto. Una macchina, detta «heart in a box» (cuore in scatola), consente di riavviare un cuore cinque minuti dopo la morte, e di alimentarlo con ossigeno, sangue e sostanze nutritive ad hoc, mantenendolo a temperatura corporea.
In Italia non si può al momento applicare perché la legge prevede l’espianto di organi da cadavere dopo 20 minuti e non già dopo 5 come è ammesso altrove. «Va cambiata la legge», dice il sindaco di Roma Ignazio Marino, in questo caso interpellato come noto trapiantologo. Senza dimenticare che in Italia il risvolto etico spesso ha più peso della scienza. Aggiunge Massimo Antonelli, presidente della Società italiana di anestesia-analgesia-rianimazione e terapia intensiva (Siaarti): «Attualmente c’è una grande difformità internazionale sui tempi dei prelievi di organi. L’importante è non favorire abusi, rispettando a pieno la dignità del ricevente e del donatore».
I tempi sono fondamentali per non danneggiare il cuore non battente. Come essere sicuri che non ci siano stati danni? Spiega il cardiochirurgo Stephen Large, che ha eseguito l’intervento al Papworth Hospital : «Abbiamo controllato il cuore, dopo averlo fatto tornare pulsante sul cadavere per circa 50 minuti, il tempo necessario per fugare ogni dubbio». Solo allora è stato rimosso, messo nella «scatola» e alimentato a temperatura corporea. Lì ha pulsato per altre tre ore prima dell’impianto nel petto di Ulucan. La scatola salva organi è già utilizzata per far sopravvivere fuori del corpo polmoni, fegato e reni.
Il metodo standard per il trasporto degli organi è quello di imballarli sotto ghiaccio, con il rischio che restino danneggiati. Ecco allora la soluzione della macchina-scatola, messa a punto dalla statunitense TransMedics . Ogni unità «cuore in scatola» costa 205 mila euro più altri 34 mila per ogni trapiantato. Vari Paesi ne prevedono la sperimentazione, come avvenuto in Inghilterra.
Soddisfatto Stephen Large: «Così potremo aumentare in maniera significativa il numero totale di trapianti di cuore che si fanno ogni anno, salvando centinaia di vite». Aumentare di quanto? Secondo gli esperti inglesi, almeno del 25 per cento. In tutto il mondo, la domanda di organi per il trapianto supera l’offerta e la lista d’attesa di conseguenza è lunga. Ora c’è la speranza che si possa arrivare al 75 per cento di risposta rispetto alla domanda. Cioè salvare quasi otto pazienti su dieci in attesa, mentre ora se va bene si trovano donatori di cuore compatibili solo per cinque dei tanti in lista.