Maurizio Stefanini, Libero 28/3/2015, 28 marzo 2015
CARACAS DIMEZZA L’EXPORT DI GREGGIO E SPINGE CUBA VERSO WASHINGTON
Il Venezuela di Maduro in tre anni ha dimezzato la quantità di petrolio inviata a Cuba e ad altri alleati caraibici: da 400.000 a 200.000 barili al giorno. Già si sapeva dei crescenti problemi del regime bolivariano, che da ultimo ha perfino iniziato a importare petrolio leggero dall’Algeria. Il petrolio pesante della Faja del Orinoco, ormai principale fonte delle sue esportazioni, ha infatti necessità di essere “tagliato”, di petrolio leggero locale per mancanza di manutenzione la società petrolifera di Stato Pdvsa ne produce sempre di meno, e quel poco deve andare di preferenza a Cuba perché le raffinerie dell’isola non avrebbero la capacità di trattare materie prime più complicate. Pure si sapeva che questo progressivo disseccarsi del flusso di greggio è all’origine dell’improvviso disgelo tra Raúl Castro e Obama. Ma adesso le cifre esatte sono state misurate in uno studio di Barclays. Lo stesso documento definisce «ironica» quella situazione per cui in questo momento il Venezuela, con la sua inflazione record e una penuria generalizzata di beni di prima necessità che va dal latte alla carta igienica passando per le bare e i preservativi, continua a sussidiare con petrolio Paesi che in realtà dal punto di vista economico stanno meglio. Il risvolto positivo è che proprio grazie a questo dimezzamento anche il deficit di valuta venezuelano sarà minore di quello che ci aspettava per il 2015: 22,6 miliardi di dollari, invece di 30. Il rapporto, che si intitola «Riducendo la generosità», ha stimato che negli ultimi 10 anni questi regali sono costati al Venezuela 50 miliardi di dollari. I tagli sono iniziati da agosto, dopo il crollo dei prezzi del greggio. Anche la fornitura a Cuba è stata dimezzata: da 110.000 a 55.000 barili al giorno. È da ricordare che a differenza di altri Paesi del programma Petrocaribe Cuba non paga il Venezuela in contanti ma con l’invio di medici, allenatori sportivi e membri dei servizi di intelligence. Un’altra metà del programma riguardava Repubblica Dominicana e Giamaica, e anch’esse avranno le forniture drasticamente tagliate: del 56 e del 74%. Una parte di questo petrolio era pagato, sia pure a prezzi di favore. Ma c’era pure una certa quantità di petrolio regalato, ora ridotto a appena 80.000 barili al giorno. Che comunque per la situazione venezuelana restano troppi. Il crollo dei prezzi del greggio ha lasciato il Paese con meno della metà dei 33 miliardi di dollari usati per importare prodotti nel 2014, quando i problemi di approvvigionamento iniziarono a entrare in una fase acuta. Secondo Barclays, «se il Venezuela avesse venduto questo greggio a condizioni di mercato e risparmiato queste entrate, avrebbe più del triplo delle riserve valutarie che ha oggi». Barclays a parte, il cattivo momento per l’industria petrolifera venezuelana è confermato dal fatto che PetroVietnam starebbe cercando di vendere il 40% di azioni che possiede in Petromacareo: la joint venture creata nel 2010 con Pdvsa per cercare petrolio nel blocco Junín 2, nel Venezuela meridionale. Anch’esso è un giacimento della Faja del Orinoco. Secondo un’indiscrezione la società vietnamita si lamenterebbe per la draconiana legislazione venezuelana sui cambi.