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 2015  marzo 28 Sabato calendario

CORPO A CORPO CON LA RAVETTO «MI MANCA IL NAZARENO»

Non avevo più rivisto Laura Ravetto dopo un’intervista che le feci nel 2006, deputatina di prima nomina scelta dal Cav. Era trepida e smarrita con indosso un bel tailleur nero. Oggi -a 44 anni e tre legislature dopo- è un’altra. Preannunciata dal tacchettio di passi imperiosi, Laura entra come una ventata nel suo studio di presidente del Comitato parlamentare Schengen. È qui che l’aspetto. Lancia la borsa sul divano e si libera della giacca, restando a braccia scoperte. Poi, marcia verso di me abbracciandomi con un incantevole sorriso. L’abito da simil cavallerizza con stivali e pantaloni stretti danno rilievo al corpo flessuoso. Gli occhi color oro su un viso da aquila reale accentuano il suo atteggiamento guerriero. Le manca il frustino. Il che non le impedirà di fustigarmi per tutta la durata dell’incontro. Mi indica una poltrona e siede sul divano, dicendo: «Rincontrarti, è un tuffo nel passato. Sono invecchiata?». «Più bella di prima», garantisco. Se mi avesse chiesto, «sono cambiata?», le avrei detto: «Sì, sei diventata padronale». Essendo noto il suo fidanzamento con il parlamentare del Pd, Dario Ginefra, le chiedo se va tutto bene. Un modo per avviare il discorso e verificare il tam tam che parla di rottura. Laura mi osserva con fastidio e scandisce: «Premesso che non credo interessi i lettori, tra noi le cose funzionano e spero di avere presto dei figli». Bè, almeno la smentita l’ho avuta. Così, sorvolando sulla sua irritazione, le chiedo qual è il segreto per convivere con idee politiche opposte. «Domanda davvero originale!», mi sbertuccia sarcastica e mette su il primo broncetto dei cento che farà. «L’ho detto e stradetto -risponde-. Ci miglioriamo reciprocamente. Io pensavo che ciascuno è artefice del proprio destino. Lui mi ha insegnato che l’insuccesso non è indice di fallimento, ma dipende dalle circostanze. Io gli ho insegnato che avere successo non è peccato ma merito». «Tu parti avvantaggiata dalle tue grazie. Sei vanitosa?», chiedo. «Più che alla mia buccia, tengo alla mia polpa. La potenza del cervello è la vera bellezza. Sono attratta dal cervello e non dalla scatola cranica in cui è contenuto» dice e mi osserva con evidente commiserazione per ciò che la natura mi ha dato dell’uno e dell’altra. Cambio radicalmente discorso. «Fi è in picchiata -osservo-. Aveva quattordici milioni di elettori, ne ha sì e no, quattro milioni». «Ci è già successo e ci siamo risollevati benissimo -risponde Ravetto piccata-. Il primo motivo della crisi è che i nostri elettori vogliono Berlusconi in campo e lui non ha potuto essere in campo. Un altro motivo è che abbiamo abdicato su certi temi, come immigrazione e sicurezza, rafforzando la Lega. Un terza ragione è che siamo andati troppo a zigzag con Renzi sulle riforme: prima sì, poi no». Mentre parla, Laura si accalora. Alza la voce come se la stessi contraddicendo mentre sto zitto. «Abbiamo rinunciato alla centralità di Fi. Se dipendesse da me, smetterei di inseguire gli altri. Non sono forza Lega, né forza Renzi. Io sono Forza Italia. Purtroppo però non sono tra quelli che decidono». Senza più nemmeno guardarmi, continua a parlare tra sé con foga onesta e sincera: «Figurati se devo sottostare al diktat degli alleati. Berlusconi è l’unico che può dettare la linea. Ho fiducia che riuscirà a trovare la quadra». All’improvviso, scivola giù dal divano e si accovaccia davanti a me, battendo ritmicamente la mano sulle mie ginocchia. È il suo modo di dare intensità alla seguente concione: «I due terzi dell’elettorato è di centro destra e va recuperato (tum, tum). La domanda c’è. A noi di riproporre l’offerta (tum, tum). Se ci riusciremo, nel 2018 torniamo a essere i primi e saremo tutti rieletti, zittendo quelli -se ci sono- (tum, tum) che si accontentano di un partito del cinque per cento, purché a essere rieletti siano loro (tum, tum)». Laura si rialza, afferra una bottiglietta di minerale e la porta alla bocca. Mentre beve con la testa rovesciata sembra che suoni la tromba della riscossa. Nel 2006, mi dicevi che il Cav “opera folgorazioni”, “spinge a osare”. Lo ridiresti? «Ha le capacità intatte ma è limitato nell’azione. Se è impedito di venire a Roma, deve fidarsi di quello che gli dicono a Milano». Sembra spento e senza una linea. «Guardi (di colpo mi dà del lei), non mi uscirà mai una parola contro chi ha permesso a noi tutti di fare politica. Oggi lo criticano quelli che ieri lo inseguivano. Altri lo incensano perché hanno un incarico, ma ieri facevano la fronda. Io invece lo rispetto sia se sono in palmo di mano, sia che non lo sia. Perchè non scrive? Io parlo e lei non scrive. Scriva!» Perché mi dai del lei? «Credi che non abbia capito che sei qui apposta per farmi inciampare, inducendomi a dire cose contro Berlusconi e i miei colleghi di partito?» Hai la coda di paglia. «Ho imparato a conoscere la stampa e a difendermi. Ora lei comincerà a parlarmi di questo e di quello e vorrà le mie pagelle. Eviti di fare nomi. Non le risponderò». Qualche giudizio dovrai darlo. Se no, l’intervista langue. Raf Fitto è un rompiscatole? «Politico abile e mio amico. Ma se fa le battaglie con attacchi personali, passa dalla parte del torto anche se ha ragione. Non vorrei però mai che se ne andasse. Mi farebbe molto male». Del tuo capogruppo, Renato Brunetta, è noto il caratterino. «Nessuno è contro Brunetta. Sarebbe bello però che, dopo il voto regionale, i ruoli più importanti diventassero elettivi». Oggi sono dei nominati. «Appunto. Sono certa che, con l’elezione, Renato sarebbe riconfermato. Chi è bravo non deve temere la democrazia». Sei orfana del Patto del Nazareno? «Orfana, orfana, sempre questo linguaggio giornalistico! Ho passato notti a modificare il testo del governo sul Senato delle Regioni con notevoli risultati graditi a Fi. L’importante era ridimensionare il potere regionale. Cosa che ci è riuscita». Saltato il Patto, Fi rinnega tutto quello che ha deciso per un anno d’accordo con Renzi. Isteria? «Ma che diciii? Non è da isterici..» Hai sempre da ridire. Sei troppo aggressiva... «Tu una mammoletta». Allora? «Col voto su Mattarella, Renzi ha tradito il Patto per ingraziarsi la sinistra del Pd e Sel. La nostra è stata una reazione. Personalmente, avrei però sostenuto le riforme fino in fondo». Una volta tanto, in disaccordo col Cav. «Dico sempre come la penso ma con argomenti. Avrei, dunque, proseguito sulla via delle riforme, evitando di iscrivermi al comitato del no, tipo grillini. Avrei detto: tu Renzi, tradendoci, hai fatto l’adolescente; io però mi comporto da adulto e proseguo il cammino intrapreso». L’alleato ideale tra Matteo Salvini e Angiolino Alfano? «Pur di non fare vincere Alessandra Moretti in Veneto e Vincenzo De Luca in Campania, faccio accordi con entrambi. Non consegno le Regioni alla sinistra per divisioni nel centrodestra. Accordiamoci sui programmi e alleiamoci su questa base. Il criterio vale anche per il prossimo sindaco di Milano». Giorgio Napolitano non ti piaceva perché di parte. Sergio Mattarella? «Mi piace. Se Renzi non avesse adottato il metodo sbagliato per farlo eleggere, lo avrei votato. Apprezzo la sua sobrietà vissuta in modo sobrio. Ossia, senza sbandierarla dopo averla esercitata». Renzi vi ha stracciati. «Renzi non ha mai affrontato la prova del voto alle politiche. È lì senza un passaggio elettorale. Vedremo cosa saprà fare nella competizione diretta». Come presidente della Schengen, l’immigrazione è il tuo pane quotidiano. Come venirne a capo? «Tutta l’Ue deve farsi carico dell’esodo africano. Non possiamo accollarcelo solo noi». Come regolare il flussi? «Con campi di identificazione sulle coste libiche e selezionando da lì gli aventi diritto all’asilo». Progetto impossibile con la Libia dilaniata. «Che ne sai tu? I corridoi umanitari si sono sempre fatti. Vuoi che l’Onu, l’Ue non siano in grado di imporli? È che costano. Il problema è questo». Basta. Hai sempre il pungiglione innestato «Non vediamoci più». Dopo un quarto d’ora che ci siamo lasciati, chiama sul cellulare e mitiga la sentenza: «Tra dieci anni. Non un giorno prima».