Giampiero Gramaglia, il Fatto Quotidiano 28/3/2015, 28 marzo 2015
IL CUBO DI RUBIK DEGLI ARABI: ALLEANZE A GEOMETRIE VARIABILI
Nel Medio Oriente, l’unica guerra che per ora non scoppia è quella paventata da due generazioni: un conflitto arabo-israeliano. Con l’esplosione della polveriera yemenita, il ‘cubo di Rubik’ d’una regione in fiamme mostra tutte le sue facce: Egitto, Arabia saudita, Califfato, Iran, Usa e, volta a volta, Yemen, Libia, Tunisia. Fuori dal quadro l’Europa, l’Onu, la Russia, ma anche Israele, che non appaiono al momento variabili decisive di questo gioco. La crisi yemenita, palese da mesi, è precipitata in una manciata di giorni: un conflitto di potere, dentro e fuori il Paese, mascherato da ennesimo capitolo dello scontro confessionale tra sunniti e sciiti.
In attesa del Vertice di oggi a Sharm el-Sheik, la comunità internazionale pare fuori gioco, ridotta agli appelli alla soluzione diplomatica. E il petrolio non s’impenna. Ryad e Il Cairo, con l’appoggio della Lega araba, discutevano da mesi la creazione di un’alleanza militare araba “multifunzione”: lo Yemen e la Libia, fonti di insicurezza per sauditi ed egiziani, erano in testa alla lista dei possibili teatri operativi, nota Eleonora Arde-magni, brillante analista del Medio Oriente. L’azione militare in atto ha il sapore “del conflitto indiretto per l’egemonia regionale tra Iran e Arabia Saudita”.
Per Ryad, lo Yemen è una questione di politica interna e sicurezza nazionale. Mentre il negoziato agli sgoccioli sul nucleare di Teheran scava un nuovo fossato fra sauditi e americani, “la natura politico-territoriale del conflitto nello Yemen rischia di essere distorta e travolta da interessi e rancori delle superpotenze regionali”. I governi sciiti di Iraq e Siria, come gli Hezbollah libanesi, tuonano, con l’Iran, contro l’iniziativa saudita. La Coalizione araba a guida saudita e le forze regolari yemenite, fedeli al presidente in fuga Hadi, hanno ieri ripreso “il totale controllo dello spazio aereo” del Paese ai ribelli sciiti Houthi e alle forze fedeli all’ex presidente Saleh, annuncia, su al Jazeera, il generale saudita Ahmed al Asiri, portavoce militare: i raid aerei hanno battuto le linee di rifornimento fra le postazioni ribelli, dopo che ieri avevano colpito installazioni militari, comprese batterie missilistiche, degli Houthi Secondo il generale, le forze armate yemenite continuano a difendere Aden dove le istituzioni riconosciute dall’Onu si sono trasferite dopo che la capitale Sana’a era stata presa dagli houthi; e hanno ripreso la base di Al Annad, la più importante nel Sud, caduta nelle mani dei ribelli dopo esser stata abbandonata dai militari americani e britannici. I raid – dice al Asiri – continueranno “fino a quando sarà necessario”. Non sono per ora previste operazioni di terra, ma neppure escluse per il futuro: “Faremo tutto quanto necessario per proteggere il legittimo governo dello Yemen”.
Iniziato giovedì sera a mezzanotte ora locale, l’intervento armato in Yemen contro i ribelli sciiti vede impegnate forze di 10 paesi musulmani, tutti sunniti, nell’operazione ‘Decisive Storm’, tempesta decisiva, che suona come la ‘Desert Storm’ della Guerra del Golfo del 1991. Il grosso delle forze è fornito dall’Arabia Saudita: 100 aerei e fino a 150.000 truppe di terra. Mai Ryad si era impegnata così: una conferma dell’interventismo saudita, dopo l’avvento al trono, il 23 gennaio, del nuovo sovrano Salman bin Abdulaziz al Saud. (primo atto, la gestione della produzione di greggio per fare cadere i prezzi, mettere in ginocchio la Russia e fare finire fuori mercato lo shale oil Usa). Gli Emirati Arabi Uniti forniscono 30 aerei; il Bahrein ed il Kuwait 15; il Qatar 10. Dei membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, manca solo l’Oman, confinante a ovest con lo Yemen. Ma ci sono il Marocco, con 6 caccia-bombardieri, la Giordania con 6 aerei; il Sudan con 3. L’Egitto schiera 4 navi da guerra all’imboccatura del Mar Rosso, sullo stretto di Bab el Mandeb, 30 chilometri di mare tra Gibuti e Yemen da cui passa il 40% del petrolio mondiale, e promette aerei e truppe se necessario. La Turchia condivide politicamente l’attacco. Il Pakistan, sunnita ma non arabo, è pronto a dare appoggio navale e aereo. La coalizione è sostenuta dagli Usa, che danno supporto logistico e d’intelligence.
Giampiero Gramaglia, il Fatto Quotidiano 28/3/2015