Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 28/3/2015, 28 marzo 2015
NON SOLO APPLE, INTESA SOTTO ACCUSA: EVASI 731 MILIONI
Spero che ora quelli che hanno accusato Alessandro Profumo si tolgano il cappello”, dice il presidente dell’Associazione delle banche italiane dopo l’assoluzione dell’ex amministratore delegato di Unicredit per l’affare Brontos. La banca era accusata di aver nascosto al fisco un imponibile di 715 milioni, risparmiandone 245 di tasse, usando dei derivati per far sembrare dividendi quelli che erano in realtà interessi su prestiti. Unicredit ha sempre sostenuto che l’Agenzia delle entrate sapeva tutto e che non c’era nulla di illecito. Il processo, passato da Milano a Bologna, ha dato ragione a Profumo, oggi presidente (in uscita) del Monte dei Paschi di Siena.
Nel mondo bancario molti sperano che quel verdetto faccia scuola, perché il duello tra fisco e banche si combatte su molti tavoli. Giovedì sera, a Servizio Pubblico su La7, i giornalisti Paola Bacchiddu e Gianni Dragoni hanno contestato all’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Corrado Passera, oggi leader del partito Italia Unica, un’operazione finita da poco all’attenzione della Guardia di Finanza. L’accusa, nel verbale dei finanzieri del 10 febbraio, per Intesa è di non aver dichiarato redditi per 731milioni di euro in dieci anni (2004-2013) grazie al fatto che la controllata Eurizon ha sede in Lussemburgo proprio allo scopo di ridurre il carico fiscale. A Servizio Pubblico Intesa ha replicato che non c’è stata alcuna irregolarità e che “Eurizon Capital SA opera in Lussemburgo fin dal 1988 con una struttura composta da oltre 50 dipendenti altamente qualificati dedicati principalmente alla gestione, commercializzazione e amministrazione di fondi comuni di investimento di diritto lussemburghese”. Nel bilancio 2014 presentato pochi giorni fa, però, dove si parla del caso Eurizon, si legge anche che per affrontare tutti i contenziosi tributari pendenti il gruppo ha tenuto da parte ben 236 milioni di euro. Perché di rado la guerra col fisco si chiude con la vittoria totale da parte della banca: a dicembre, per esempio, per una vicenda che riguardava la controllata Banca Imi e la vendita di futures su azioni italiane, Intesa ha pagato all’Agenzia delle entrate 4 milioni, pur ritenendo infondate le accuse di “abuso di diritto” (quando si aggira il fisco senza violare formalmente la legge ma attuando comportamenti che servono solo a schivare le tasse). Un sacrificio doloroso, ma meglio della richiesta iniziale che era di 157 milioni.
Unicredit si è liberata di Brontos ma continua a duellare con il fisco e in bilancio ha accantonato 94,6 milioni di euro sapendo che qualche schermaglia tributaria la perderà.
Il Monte dei Paschi di Siena, che è pur sempre la terza banca italiana, ha appena pagato 126 milioni di euro al fisco per tasse non pagate su una plusvalenza di 421 milioni nella cessione del ramo immobiliare. E ha anche aperto un altro contenzioso da 31 milioni complessivi per mancati versamenti Iva e per un sospetto di elusione, ma ritiene “non probabile” il rischio di soccombere nel negoziato tributario.
Cifre notevoli, anche se quelle contestate a Apple dalla Procura di Milano sono ancora maggiori: dal 2008 al 2013 il braccio italiano dell’azienda guidata da Tim Cook ha dichiarato al fisco 150 milioni, ma secondo l’Agenzia delle entrate dovevano essere 9,3 miliardi. Grazie alle triangolazioni con l’Irlanda avrebbe abbattuto l’imponibile sottraendo all’erario 990 milioni di euro in cinque anni.
Dopo lo scandalo Luxleax, con la pubblicazione di 548 accordi fiscali tra multinazionali e il Lussemburgo, la Commissione europea aveva promesso di intervenire in fretta con una direttiva fiscale che limitasse le possibilità di slalom tributario. Non si ha traccia di alcuna misura concreta. Aver scelto per la presidenza Jean Claude Juncker, che da premier ha costruito il paradiso fiscale lussemburghese, non è stata la scelta più adatta se si vogliono misure rapide in materia di lotta all’elusione fiscale.
Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 28/3/2015