Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 28/3/2015, 28 marzo 2015
BOLLORÉ E IL «TESORETTO» DA 10 MILIARDI
PARIGI
Cosa farà Vincent Bolloré degli oltre dieci miliardi che Vivendi avrà in cassa entro l’estate? È la domanda che continuano a porsi gli azionisti del gruppo francese di entertainment, gli analisti, gli operatori e tutti gli attori europei del mondo dei media, dei produttori di contenuti e delle telecomunicazioni.
Per avere una risposta bisognerà aspettare ancora un po’, probabilmente l’autunno, certo non oltre la fine dell’anno. Ma è chiaro che l’Italia sarà al centro delle grandi operazioni che si accinge a realizzare l’imprenditore e finanziere bretone, l’ottavo uomo più ricco di Francia e certo uno dei personaggi più abili del business d’Oltralpe. Una sorta di re Mida, che trasforma in oro (quasi) tutto quello che tocca e che con l’Italia ha rapporti ormai storici e consolidati.
Per capire cosa sta succedendo bisogna però fare un passo indietro. Al settembre del 2012, quando Bolloré cede a Vivendi i suoi due canali televisivi Direct 8 e Direct Star (frutto di una passione per i media che riemerge periodicamente) in cambio dell’1,7% del gruppo. Quota che Bolloré arrotonda subito al 5,15%, investendo circa 700 milioni. Tanto per far capire quali sono le sue intenzioni: mettere le mani su una società in fase di profonda ristrutturazione, con prospettive di sviluppo che Bolloré ha intuito da tempo.
L’allora uomo forte del gruppo, Jean-René Fourtou, è impegnato in un lavoro di profondo riassetto che prevede numerose cessioni (l’operatore di telefonia mobile francese Sfr, Maroc Télécom, la brasiliana Gvt e il produttore americano di giochi video Activision Blizzard) per uscire sostanzialmente dalle telecomunicazioni e concentrarsi su due assett: Canal+ (numero uno francese della pay tv e importante produttore cinematografico, con una forte presenza in Africa) e Universal Music (numero uno mondiale della musica). Azzerando en passant l’indebitamento. E anzi dotandosi delle risorse finanziarie per ripartire allattacco.
È la prima fase. Bolloré sarà il protagonista della seconda. Quella, appunto, della nuova crescita. Nel giugno dell’anno scorso, l’imprenditore bretone diventa presidente del consiglio di sorveglianza, chiamando intorno a sé un top management di fedelissimi. Un mese fa mette sul tavolo 852 milioni per portare la propria quota all’8,15 per cento. E due giorni fa altri 632 milioni per salire al 10,2 per cento. In totale, Bolloré ha puntato su Vivendi circa 3,2 miliardi. E molto probabilmente non si fermerà, con l’obiettivo di arrivare al 15-20 per cento.
È una questione di legittimazione. Ma è anche nel patrimonio genetico dell’uomo, che vuole decidere le strategie delle società in cui investe.
Com’è successo con Havas, il colosso della pubblicità presieduto dal figlio Yannick, che ha scalato fino a detenere oltre l’80% e di cui ha appena ceduto (quasi in contemporanea con l’acquisto del nuovo pacchetto di Vivendi) il 22,5%, incassando 601 milioni pur conservando saldamente il controllo.
Non è peraltro un caso che il rafforzamento in Vivendi avvenga alla vigilia dell’assemblea del 17 aprile, quando Bolloré chiederà agli azionisti di respingere l’assalto di un fondo americano (Psam, 0,8%) che chiede una maggior distribuzione di cash (9 miliardi invece dei 5,7 promessi) e la cessione di fatto di Universal. Oltre a quello di un fondo francese (PhiTrust, 0,5%) che propone la non applicazione della cosiddetta “legge Florange” sull’attribuzione di un doppio diritto di voto ai titoli detenuti da oltre due anni. Richieste che verranno respinte.
Mentre è improbabile che Bolloré fornisca all’assemblea notizie dettagliate sulla strategia, limitandosi a ribadire che vuol fare di Vivendi un leader europeo dei media e dei contenuti (con una forte proiezione mondiale) e che guarda soprattutto alla Francia, al Sud Europa e all’Africa (che Bolloré conosce bene, visto che vi realizza oltre due terzi del fatturato del proprio gruppo ed è convinto che sia uno dei mercati del futuro). Ripeterà il messaggio già inviato dal suo braccio destro Arnaud de Puyfontaine («È l’inizio di un lungo viaggio. Roma non si è fatta in un giorno») pur senza nascondere le proprie ambizioni. Forte di un bilancio 2014 che descrive un gruppo il cui fatturato si è ridotto da 29 a 10 miliardi, ma con una posizione finanziaria positiva per 4,6 miliardi (rispetto a un indebitamento di 11 miliardi a fine 2013). Ricordando che il saldo della vendita di Sfr ad Altice-Numericable (circa 4 miliardi) arriverà a fine aprile, mentre quello della cessione di Gvt (4,7 miliardi) in estate. Quindi è prematuro passare all’azione.
Quando questo avverrà, non c’è dubbio che riguarderà l’Italia, una delle grandi piste di crescita se non la principale. Insieme ai soldi di Gvt arriverà anche il pacchetto del 5,7% di Telecom Italia (8,3% in diritti di voto) di provenienza Telefonica. Una partecipazione che non solo Bolloré intende conservare ma aumentare. Se infatti il presidente di Vivendi (che avrebbe volentieri conservato Sfr) non vuole assolutamente essere un operatore delle telecomunicazioni, crede invece che una presenza forte nel settore sia fondamentale per poter gestire la distribuzione i contenuti che produce.
Ma questo non sarà il solo passo. L’altro obiettivo è chiaramente Mediaset. Non necessariamente per comprarla (sempre che Berlusconi sia interessato a vendere) ma per trovare comunque una forma di alleanza – certo anche capitalistica, magari non uno scambio di partecipazioni – che consenta a Vivendi di crearsi un forte mercato di riferimento in due Paesi (l’Italia si affiancherebbe alla Francia, dove nel mirino c’è Lagardère, anche se quest’ultimo ripete di non voler vendere) per andare poi alla conquista di altre prede (il sogno nel cassetto è la tedesca Bertelsmann).
Al suo fianco, in questa avventura, Bolloré ha Tarak Ben Ammar, che sta per fare il suo ingresso nel consiglio di Vivendi (insieme a un altro fedelissimo, l’amministratore delegato di Havas Dominique Delport), siede nei board di Mediobanca (di cui Bolloré è il secondo azionista con il 7,5%, ben presto l’8%) e di Telecom Italia e ha da sempre eccellenti relazioni con Berlusconi.
Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 28/3/2015