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 2015  marzo 28 Sabato calendario

I SEGRETI DELL’UOMO CHE RITAGLIA I GIORNALI

[Filippo Ceccarelli] –
L’uomo che ritagliava i giornali ha appeso le forbici al chiodo. Non ritaglierà più. Ha svuotato i suoi diciannove armadi e ha regalato alla biblioteca della Camera quarant’anni di articoli, 1.500 cartelline e 334 raccoglitori, che messi uno sull’altro formerebbero una torre di 45 metri: due volte e mezza l’altezza dell’aula di Montecitorio. L’uomo che ritagliava i giornali è il collega della stanza accanto, Filippo Ceccarelli, una firma che i lettori di Repubblica conoscono bene, e magari hanno intuito, negli anni, che è un archivio vivente.
Ditegli il nome di un comprimario degli anni Ottanta, e lui vi citerà aneddoti, storie, gaffe, frasi celebri e parole dimenticate. Perché ha una memoria straordinaria, certo, ma anche perché ha archiviato tutto: mentre noi leggevamo, lui ritagliava. E quando è arrivato alla soglia dei sessant’anni, s’è accorto di aver catalogato e classificato nei suoi faldoni colorati la Prima e la Seconda Repubblica, dalla prima cartellina sul Quirinale (Amici e colleghi di Leone) fino a quelle sul premier in carica (Renziani e renziane), passando per i 33 dossier su Cossiga, i 124 su Berlusconi e i berlusconiani e un’infinità di ritagli che coprono anche le più piccole nicchie del potere: duelli, offese, tumulti, sepolture, Pornopolitica comparata, giurì d’onore, sfondoni e “gastrocrazia”, insomma quello che lui stesso definisce «un deposito archeologico del presente». Che chiunque, adesso, potrà consultare a palazzo San Macuto.
Quando ha visto allontanarsi dalla redazione il Tir con la sua gigantesca creatura cartacea, Ceccarelli ha sentito un groppo alla gola. Questa è la scena finale. Se però gli domandate perché abbia cominciato, risponde che ha imparato da suo nonno. «Si firmava Ceccarius, era un erudito, uno studioso di Roma, e incollava sui fogli bianchi tutti gli articoli sulla città. Poi, quando ho cominciato a lavorare, per Panorama, anno 1974, ho capito immediatamente che sapere quello che è successo prima ti mette in condizione di capire meglio il contesto, la storia, le radici di un evento o di un personaggio. Così ho cominciato a ritagliare tutto. Ritagliavo e memorizzavo. Perché se oltre a leggere un articolo lo ritagli, lo classifichi, lo metti in una cartellina e poi magari lo sposti in un’altra, stai sicuro che quell’articolo te lo ricorderai». Per quarant’anni, Ceccarelli ha iniziato la giornata ritagliando. «Le migliori “tagliate” le ho fatte di mattina presto. Leggevo tutti i giornali e tutti i settimanali. Li sfogliavo, fermandomi su ciò che mi suggeriva l’istinto. E ritagliavo. Quando avevo finito li inserivo nelle cartelline. Il metodo era semplice: archiviavo tutto ciò che poteva servire in futuro a una persona che non c’era per capire ciò che era successo quel giorno. Ma il vero segreto dell’archivio non sta nell’avercelo, sta nel farselo. Nell’operazione quotidiana di studio, scelta, ritaglio, classificazione. Un processo cognitivo più importante degli armadi pieni di materiale».
Lo ascolto, ammirato dalla sua metodicità calvinista (io che tante volte ho deciso di farmi un archivio, fermandomi miseramente a qualche cartellina sparsa) e penso a quanta pazienza dev’essergli servita in questi quarant’anni per leggersi – tutti i giorni – tutti i giornali. Per non parlare del lavoro di forbici. E quando andavi in ferie, gli domando, non trovavi al ritorno una montagna di giornali? Lui mi sorride, e mi confessa che il dovere del ritaglio quotidiano non gli ha mai dato neanche un giorno di tregua. «Ricordo pile di giornali sui prati, sugli scogli, in ospedale, nelle camere d’albergo, sotto l’ombrellone, sui letti. Ovunque andassi, la prima cosa che cercavo erano le forbici, un oggetto semplice che però non puoi portarti in aereo: è vietato. E poi: forbici di un tipo preciso, perché col tempo scatta un certo feticismo. Dovevano essere semplici, come quelle dei barbieri. Né troppo lunghe né troppo corte. Ogni giorno, armato di quelle forbici, affrontavo il combattimento tra me e la mia mazzetta. La famiglia tollerava con bonomia mista a dileggio. E le valigie si riempivano di ritagli, ritagli, ritagli...».
Ceccarelli però non ha ritagliato sempre allo stesso modo. Quando cominciò a costruire il suo archivio Craxi non era ancora stato eletto segretario del Psi, e c’erano i partiti di una volta, che avevano identità riconosciute e confini certi: una cartella Socialisti poteva andare bene. Poi le cose sono cambiate. I socialisti non erano più “i socialisti”, ma ci voleva una cartella per Craxi, una per Lombardi, una per Amato, una per Martelli, una per Formica, una per Signorile, una per La Ganga. E alla fine le cartelle sui socialisti sono diventate 127. «Siamo passati dai partiti agli uomini – dice lui – e abbiamo dovuto tener conto delle segretarie, degli assistenti, delle scorte, delle mogli, dei mariti, dei figli. Oggi siamo arrivati agli animali. Perché non dico che bisognerebbe fare una cartella per Dudù, ma una per i cani certamente sì. E man mano io aprivo nuove cartelline. A un certo punto ti rendi conto che tutto è già successo. La lotta per il potere è sempre quella che c’era nell’antica Roma. Le corti sono diventate cerchi magici, i sondaggisti sono i nuovi oracoli, e abbiamo anche i predicatori, i duelli, le processioni, i roghi. Berlusconi è un moderno re, con le guardie, i servi, i ruffiani e i cortigiani. Ecco, direi che questo archivio contiene le trasformazioni del sistema politico. E del giornalismo».
Adesso però la fatica si è conclusa. Filippo Ceccarelli non userà più le sue forbici, la mattina. Da vent’anni, oltre a ritagliare, lui memorizza sul suo computer le cose che lo colpiscono di più, così quando vuole commentare la gaffe di un ministro gli basta digitare la parola “gaffe” per ritrovare i precedenti. Anche lui si è digitalizzato, sia pure a modo suo. Ma non gli mancherà, il rito del ritaglio quotidiano, quella liturgia che per quarant’anni ha celebrato con le sue forbici da barbiere? Non gli peserà la lontananza dalle sue 1.500 cartelle? «Per niente» risponde lui. «L’idea che una vita di lavoro sia oggi a disposizione di giornalisti, studiosi, studenti e curiosi è infinitamente più gratificante del possesso dell’archivio. Ho ritagliato troppo. È stato bellissimo. Non provo rimpianto».
Sebastiano Messina, la Repubblica 28/3/2015