Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 28/3/2015, 28 marzo 2015
LA TV È PER VECCHI E CASALINGHE
[Intervista a Walter Siti] –
«No, non la voglio rivedere, ma non mi faccia dire troppe cazzate»: Walter Siti liquida simpaticamente l’offerta di rileggere l’intervista.
Questo modenese, classe 1947, critico letterario e a lungo docente universitario, oggi narratore assai apprezzato, Premio Strega nel 2013 con Resistere non serve a niente (Rizzoli), è anche un grande esperto di televisione.
L’ha fatta, da autore, se n’è occupato come critico per La Stampa, con una rubrica ad hoc, Una finestra sul niente. E la tv ha fatto capolino non di rado nei sui romanzi, come in Troppi paradisi, uscito nel 2006.
Domanda. Siti, l’altro giorno un ministro, Maurizio Lupi, è andato a dimettersi da Bruno Vespa prima ancora che al Quirinale. È il segnale che la tv ha ripreso di importanza quando sembrava in declino?
Risposta. No, credo che la tv generalista abbia continuato a perdere terreno, anche se l’episodio di cui parla, farebbe pensare il contrario. Dice cioè di una persona che annetta a questo mezzo ancora un grande valore.
D. Non potrebbe essere il segnale, l’ennesimo, di una scollatura fra politici e realtà?
R. Non lo so. I politici appaiono mediamente convinti che questo mezzo entri nelle case della gente ma, senza dubbio, questa affermazione resta vera per le persone anziane che, comunque, non sono poche.
D. I giovani la snobbano abbastanza la tv...
R. Ah, non la considerano proprio, come elettrodomestico. Semmai vedono in streaming sui loro pc o i loro tablet i programmi che interessano loro. E spesso la guardano “dentro” i social, nel senso che usano Twitter e Facebook per interagire, anche quando seguono un programma e parlano di tv. La televisione è una cosa da anziani, da casalinghe.
D. Gli autori attuali se ne rendono conto?
R. Mi pare di sì. Mi sembra che sia chiaro a tutti di come le vacche grasse siano finite e non ci siano più soldi per le produzioni di un tempo. D’altronde gli ascolti, in valore assoluto, sono molto diminuiti.
D. E Walter Siti che cosa vede e cosa apprezza di più?
R. Le confesso che, da quando la Stampa non mi chiede la rubrica quotidianamente, ne vedo molta meno, anche se, vivendo solo, durante la settimana, faccio molto zapping. Nel week-end poi, quando mi viene a trovare il mio compagno, non la vedo mai.
D. Talent show e reality imperversano ancora.
R. Sì, però si vede che questi format hanno ormai più di 10 anni, e hanno fatto il loro tempo.
D. Cosa non va nei reality?
R. Funzionano se di nicchia, se cioè consentono di vedere davvero una realtà dal buco della serratura. Maurizio Costanzo, anni fa, aveva pensato di farne in un penitenziario, a Viterbo, Racconto di una vita in carcere. È chiaro che se si pensa di mettere un reality in prima serata, puntando a un 25% di share, non avremo mai persone che vivono come se non fossero riprese da una telecamera, ma individui che fanno di tutto per mettersi in mostra. Insomma che recitano.
D. Nel suo compulsare il telecomando, cosa trova di buono, televisivamente parlando?
R. Certe serie e certe fiction, prevalentemente americane: un po’ violente ma ben fatte, tipo House of Cards, coi suoi torbidi nel Campidoglio americano, o Mad Man, che mostra il lato oscuro del mondo pubblicitario.
D. Ma c’è una cosa in cui si possa dire che la televisione è ancora insostituibile?
R. Senza dubbio l’informazione, quando ci sono stati i fatti di Parigi, con l’assalto a Charlie Hebdo, sono stato per ore incollato davanti al teleschermo per un pomeriggio intero.
D. In questi casi la domanda di news è così forte che accettiamo un po’ di tutto. Per il caso dell’aereo tedesco dei giorni scorsi, si sono infilate in poche ore, una serie di falsi e mezze verità, del tipo che l’aereo era pressoché intatto e che i soccorritori avevano visto muoversi alcuni superstiti...
R. Ma questo è il problema di come oggi siamo pervasi dall’informazione, per cui la realtà raccontata non sempre coincide con la verità dei fatti. Però, quando c’è da capire un po’ di più, per esempio come in una vicenda dell’attacco al Museo del Bardo di Tunisi, quando ci interessa comprendere cioè se, dietro ai fatti raccontati, c’è anche un progetto politico e quale sia, beh la tv continua a essere fondamentale.
D. Questa domanda di approfondimento sembra invece inevasa dai talk show...
R. Quelli sono una peculiarità italiana che non esiste altrove. Quando vado all’Estero e capita di parlare di tv, la gente non crede che ne abbiamo per quattro-cinque ore al giorno.
D. Perché questa esplosione, secondo lei?
R. Perché costano pochissimo: si chiamano un po’ di politici e di giornalisti, tutti gratis, li si fanno litigare sul tema del momento. Inevitabilmente c’è un po’ di ripetitività, perché gli argomenti e gli stessi ospiti si inseguono durante la giornata. E poi si arriva all’effetto paradossale, di uno stesso personaggio presente su più canali anella stessa giornata.
D. Certi protagonisti della politica, come Matteo Salvini, in alcune giornate hanno fatto il pieno.
R. Sì, si arriva a un effetto di superpresenza, però non è detto che si tratti sempre di leader, anche certi comprimari, a un dato momento, sono gettonatissimi, perché particolarmente decorativi, o perché le sparano grosse, creano l’incidente, fanno spettacolo.
D. Chi sono?
R. Uno è quel leghista piemontese, Gianluca Buonanno, che tutte le volte ne combina una.
D. In questi giorni si parla molto di riforma della Rai e della necessità di vocare una rete alla cultura. Da scrittore ed esperto di tv le farà piacere...
R. Tre reti sono troppe, è chiaro, e qualcosa andrà privatizzato. Mi pare logico che ci debba essere almeno una rete informativa statale, possibilmente senza pubblicità e senza canone. Quanto alla cultura...
D. Quanto alla cultura?
R. Penso che la collocazione giusta sia nei canali tematici, più che nella tv generalista. Vale a dire che, come per lo sci alpino o il tennis, ci siano canali che trattino benissimo la pittura. Il difetto delle trasmissioni cultura è che finiscono sempre per essere un po’ troppo d’élite, un po’ come ciliegine sulla torta, per cui vanno anche in onda in orari in impossibili, tipo alle una di notte. Come se gli intellettuali dovessero sempre tirar tardi.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 28/3/2015