Francesco Colamartino, MilanoFinanza 28/3/2015, 28 marzo 2015
IL SIGNORE DI PANAMA
Quando l’aereo vola sui cieli di Panama, all’inizio è il nulla. Poi una rapida e breve virata, ed ecco comparire l’immensa vastità del canale, con centinaia di enormi navi che solcano le sue acque e si perdono a vista d’occhio. Si tratta di grandi imbarcazioni mercantili e navi passeggeri che ogni giorno si sfiorano tra le due sponde di quel canale la cui nuova grandezza porta la firma di Salini-Impregilo.
Con il 38% del consorzio Gupc, i cui soci sono la spagnola Sacyr, la belga Jan De Nul e Cusa, Salini-Impregilo ha la guida operativa del progetto da 3,3 miliardi di dollari. I lavori, arrivati all’85%, riguardano la realizzazione di un nuovo canale che, a completamento di quello esistente realizzato nel 1914, consentirà il transito di navi di maggiori dimensioni, le Post-Panamax. Si tratta di scafi con capacità di carico fino a 12 mila container, 366 metri di lunghezza, 49 di larghezza e 15,2 metri di pescaggio, contro la vecchia terna 294-32-12. Nel dettaglio, il progetto consiste nella costruzione di due chiuse a salto triplo: una chiusa sul lato Atlantico (completata lo scorso martedì) e una sul lato Pacifico. Queste chiuse permetteranno il sollevamento delle navi dal livello degli Oceani al lago Gatun (il più grande lago artificiale del mondo, a metà strada tra i due Oceani) e viceversa, il tutto in un tempo inferiore a due ore. Ognuna delle tre camere che costituiscono ciascuna chiusa è larga 55 metri, lunga 427 metri, profonda 18,3 metri, ed è dotata di sistemi di paratie scorrevoli in senso orizzontale (realizzate dal gruppo friulano Cimolai) che consentono di superare il dislivello di circa 27 metri tra gli oceani e il lago Gatun. Al lavoro ci sono circa 4 mila persone, ma di queste solo 200 sono straniere (poco più di una ventina gli italiani), mentre le altre sono di Panama. Lo prevede una legge del Paese centroamericano, che impone l’impiego di personale straniero fino a un tetto massimo del 5% nei cantieri del canale, al fine di dare maggiori possibilità ai residenti. Sul fronte economico, il traffico attraverso lo stretto vedrà aumentare i valori di carico di oltre 1 miliardo di dollari al giorno, con il passaggio quotidiano di circa 14 navi. Con il canale esistente, lo scorso anno Panama ha visto crescere le entrate del 5% a 2,7 miliardi di dollari, ma con il nuovo tratto gli introiti potranno arrivare a 5 miliardi dopo il primo quinquennio. Sono già state stabilite, infatti, le tabelle di prezzo per le navi che attraverseranno il nuovo canale: la tariffa più alta è per le navi da crociera ma, per esempio, una portacontainer con capacità di 10 mila teus pagherà circa 780 mila dollari. Non va inoltre dimenticato che, in funzione dell’allargamento del canale, le municipalità, le autorità portuali e le compagnie marittime americane, asiatiche ed europee hanno investito nei loro Paesi miliardi di dollari per un affare, quello del commercio internazionale che attraversa oggi il vecchio canale, da 270 miliardi di dollari.
Ma la vita del progetto è da tempo tormentata. Tutto ebbe inizio nel 2009, quando il colosso americano Bechtel fu battuto dal consorzio Gupc, ma non si diede per vinto. Secondo quanto rivelato da Wikileaks, dopo l’apertura delle buste e l’assegnazione della gara al consorzio oggi guidato da Salini, ma prima della firma definitiva, gli americani, pur di rientrare in gioco, avrebbero fatto pressione sull’ambasciatore americano a Panama per avere accesso agli atti del progetto del Gupc, approfittando di quella finestra di tempo per presentare un’offerta simile a quella del consorzio e cercare di gettare discredito su quella presentata da quest’ultimo. Ma i tentativi di Bechtel non sono andati a buon fine, anche perché dietro al consorzio a guida italiana ci sono gli 800 milioni di dollari della Banca del Giappone per la Cooperazione Internazionale, i 500 della Bei, i 400 della Banca Interamericana di Sviluppo, i 300 della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo e altri 300 della Banca di Sviluppo Latinoamericana.
Altra grana panamense, ma solo parzialmente relativa al canale, è stata quella che nel 2013 ha visto l’ex direttore dell’Avanti, Valter Lavitola, finire agli arresti (per poi essere condannato a tre anni dal tribunale di Napoli) per la tentata estorsione a Impregilo in relazione ad alcuni appalti a Panama.
Chiuso questo fronte, se ne è aperto un altro nel gennaio 2014. Improvvisamente il governo centroamericano, attraverso l’Autorità del Canale di Panama (di cui 10 membri su 11 del board, direttore compreso, sono scelti dal Presidente del Consiglio) si è messo contro il consorzio Gupc, che reclamava il pagamento di gran parte dei costi lievitati a 2,5 miliardi di dollari, minacciando di ritirargli l’appalto. La pietra dello scandalo è di natura, letteralmente, geologica: le autorità panamensi, che hanno preparato il progetto, avevano assicurato al consorzio che i materiali di scavo del cantiere, un tipo basalto, avrebbero potuto essere riutilizzati per impastare il cemento con cui costruire le sponde del canale, ma, alla fine, il basalto si è rivelato inutilizzabile, costringendo il consorzio a spese impreviste. E, sempre d’improvviso, hanno iniziato a chiedere al consorzio l’impiego di un calcestruzzo più costoso. Sono seguiti mesi di tira e molla, con un blocco temporaneo dei cantieri, negoziati serratissimi che hanno coinvolto le diplomazie di quattro Stati e la stessa Ue, un finanziamento da 400 milioni di dollari liberato da parte di Zurich (con la garanzia di Sace per Impregilo), l’ulteriore iniezione di fondi da parte del consorzio e di Panama per 100 milioni di dollari ciascuno, la moratoria fino al 2018 del rimborso dei finanziamenti ottenuti dagli europei nel corso dei lavori e l’inizio di un arbitrato internazionale chiamato a decidere chi debba pagare gli extra costi. Per ora l’arbitrato tra il Gupc e l’Autorità del Canale di Panama ha dato ragione in primo grado al consorzio sulla prima tranche di 600 milioni di dollari presa in giudizio (a Salini-Impregilo spetta il 38% di questa somma) ma la diatriba porterà i lavori a chiudersi con sei mesi di ritardo sulla tabella di marcia e ogni giorno di tempo perso equivale a 25 milioni di dollari in più di costi. Secondo le caute previsioni del consorzio, la sentenza definitiva dovrebbe arrivare entro il 2018.
Francesco Colamartino, MilanoFinanza 28/3/2015