Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 28 Sabato calendario

ARIA DI RINASCIMENTO

È vero, per l’industria italiana l’anno è partito con il piede sbagliato: a gennaio il fatturato è diminuito dell’1,6% rispetto a dicembre e del 2,5% su base annua. Ancora peggio sono andati gli ordinativi, scesi rispettivamente del 3,6% e del 5,5%. Eppure sui mercati azionari l’ottimismo è palpabile e dall’inizio dell’anno il Ftse Mib ha guadagnato più del 20%.
E nei giorni scorsi il Credit Suisse si è addirittura spinto a ipotizzare un nuovo Rinascimento italiano. Di certo quest’anno il pil dell’Italia tornerà a crescere dopo la contrazione del 2,3% nel 2012, dell’1,9% nel 2013 e dello 0,4% nel 2014. Non si tratterà però di una ripresa sostenuta. Tutti prevedono infatti una crescita inferiore all’1%. Solo il Centro studi di Confindustria (Csc), finora, si è lasciato andare all’ottimismo azzardando un +2,1%. E dire che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha detto di fronte al Parlamento italiano che l’effetto del Qe sul pil potrebbe essere nell’ordine di un punto percentuale da qui al 2016. Insomma, senza il piano di acquisti di titoli di Stato varato dall’Istituto di Francoforte, molto probabilmente l’Italia sarebbe in recessione anche quest’anno. Come ha sottolineato il capoeconomista del Csc, Luca Paolazzi, il calo del prezzo del petrolio, il deprezzamento dell’euro e il livello basso dei tassi, conseguenza della politica economica della Bce, sono per l’Italia «una manna dal cielo» che ha già innescato effetti positivi, e determinerà «altre sorprese nei prossimi mesi». C’è da dire che dal 2009 in avanti le previsioni dei più prestigiosi istituti di ricerca si sono sempre rivelate sbagliate, dimostrandosi alla prova dei fatti troppo ottimiste.
Comunque è incontestabile che dall’inizio dell’anno il sentiment dei centri studi delle grandi banche e in generale di chi muove i mercati non è mai stato così favorevole all’Italia. Ultima arrivata, venerdì 27, l’agenzia di rating canadese Dbrs che ha confermato sull’Italia il giudizio A (basso), migliorandone però l’outlook a «stabile» da «negativo». L’agenzia, che non è da sottovalutare in quanto spesso anticipa le mosse delle tre grandi (Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch), ha sottolineato «i progressi sul fronte del consolidamento fiscale, con un una posizione di bilancio che resta relativamente forte e si confronta in modo favorevole con la media della zona euro». Per Dbrs, l’Italia «beneficia anche di una flessibilità nel far fronte al proprio debito, di un’economia in buono stato e diversificata, di livelli moderati di debito privato e di un sistema pensionistico sostenibile».
Tuttavia, «questi fattori di sostegno sono bilanciati da significative difficoltà: l’esposizione del Paese a shock esterni, l’elevato indebitamento e il basso potenziale di crescita». Per questo la ripresa sarà graduale: quest’anno il pil crescerà dello 0,6%, l’anno prossimo dell’1,4%. Anche Credit Suisse stima un incremento del pil dello 0,6% nel 2015, mentre è un po’ più ottimista per il 2016, che dovrebbe vedere un’accelerazione dell’1,6%. Il titolo dell’ultimo report della banca elvetica, Recovery and Reforms: A new Italian Renaissance?, fa ben sperare. Il 2015 appare infatti «oggettivamente più luminoso». La situazione politica si è stabilizzata, le riforme procedono a ritmo sostenuto e il contesto macroeconomico globale è significativamente migliorato grazie ai bassi tassi d’interesse, alla svalutazione dell’euro e al crollo dei prezzi del petrolio. Inoltre i tassi a zero e il Qe stanno fornendo all’Italia qualche spazio di autonomia in più per le politiche fiscali nei prossimi anni. Le riforme strutturali attuate creano inoltre le condizioni affinché il rapporto debito/pil sia destinato a scendere nei prossimi anni. In particolare, «se il costo medio del funding si attesta attorno all’1% nei prossimi anni, per l’Italia l’onere per interessi non supererà l’1-2% del pil nel 2020, contro il 5% attuale, e questo vuol dire che 3 punti percentuali di pil potranno essere disponibili per ridurre lo stock di debito oppure per attuare manovre espansive, tramite maggiori investimenti pubblici o una riduzione delle tasse». Il report di Credit Suisse ricorda anche che il governo ha approvato misure volte ad aiutare le pmi a finanziarsi e a far ripartire gli investimenti infrastrutturali e i risultati iniziali sono incoraggianti. Tra i fattori che fanno ben sperare spicca inoltre l’Expo, che attirerà 20 milioni di visitatori in Italia e potrà contribuire a due decimi di pil per quest’anno. Per dare il via a un vero nuovo Rinascimento, secondo Credit Suisse, occorrerà concentrarsi sull’istruzione, sulla lotta alla corruzione, sulle nuove tecnologie e trovare «una complessiva sinergia di intenti tra settore pubblico e privato».
Ottimista anche Jp Morgan, secondo cui Piazza Affari è destinata a fare meglio della borsa di Francoforte. Questo perché l’effetto del dollaro forte è già stato incorporato nei prezzi delle azioni legate all’export e nei portafogli ora conteranno di più le società legate ai consumi interni. Secondo Jp Morgan, «ci sarà un cambiamento perché la situazione macro sta migliorando e gli investitori potranno scommettere su una ripresa dei consumi domestici». In particolare, il Qe della Bce porterà a un miglioramento del credito nella periferia di Eurolandia e a un’ulteriore riduzione degli spread. «Chi è scettico sulla regione periferica», dicono gli economisti della banca americana, «crede che non ci sarà un miglioramento nel credito, ma noi invece riteniamo che i principali indicatori oggi siano favorevoli a una ripresa del credito». Se riparte il credito ci sarà anche un miglioramento della profittabilità delle banche dell’Eurozona, comprese quelle italiane.
Anche per Mediobanca l’Italia è a una svolta. «Il lavoro fatto dal governo sta sostenendo i multipli in anticipo rispetto ai miglioramenti degli utili per azione che prevediamo nel secondo semestre di quest’anno», hanno sottolineato gli analisti di Mediobanca Securities in una nota dal titolo emblematico Job done, ovvero lavoro concluso. E proprio sulle novità della riforma del lavoro si concentra l’analisi di Piazzetta Cuccia, sottolineando che il Jobs Act da solo può portare a una crescita dello 0,9% del pil in cinque anni e creare 150 mila posti di lavoro entro il 2020. «Il licenziamento è in media il 65% più economico dopo due anni di lavoro e del 35% dopo cinque anni», spiega il report. «L’accordo tra lavoratore e azienda, senza passare per il tribunale, potrà anche tagliare ulteriormente i costi e ridurre i 1.185 giorni necessari a far rispettare un contratto, il periodo più lungo nella zona euro».
Secondo gli analisti della società di assicurazione del credito Euler Hermès (gruppo Allianz), «l’Italia sarà tra i vincitori dell’euro debole grazie alla sua forte esposizione alle esportazioni fuori dall’area euro e alla sua struttura dell’export, molto sensibile alle variazioni di prezzo». Nel report si legge che «complessivamente, nel 2015 stimiamo una crescita dell’export di 10 miliardi di euro (su un totale di circa 400 miliardi, ndr) e nel 2016 lo sviluppo salirà a 15 miliardi». Una ripresa importante, quindi, anche se le cifre restano ancora inferiore del 30% rispetto alla media del 2006-2007, quando la crescita galoppava al ritmo di 30 miliardi l’anno.
Il quadro è dunque positivo, ma c’è la consapevolezza che lo scenario è cambiato quasi esclusivamente per merito del Qe. Meglio non pensare a quanto sia costato in termini di crescita economica averlo rinviato fino al 9 marzo scorso. Qe che ha contribuito in modo decisivo a indebolire l’euro, ovvero usando lo stesso metodo dei tempi della lira, quando la si svalutava per recuperare competitività. Niente di nuovo sotto il sole.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 28/3/2015