Gianluca Di Feo, l’Espresso 26/3/2015, 26 marzo 2015
Sono centinaia e centinaia, l’uno accanto all’altro, allineati lungo più file: troppi per riuscire a contarli
Sono centinaia e centinaia, l’uno accanto all’altro, allineati lungo più file: troppi per riuscire a contarli. È una scena incredibile, mai vista al mondo: quasi tremila mezzi corazzati schierati tutti insieme in un piazzale sterminato. Potrebbe sembrare la versione extralarge di Risiko, ma non si tratta di carriarmatini di plastica pronti a invadere la Kamtchatka: sono veri giganti d’acciaio, ancora capaci di combattere e fare strage sui campi di battaglia. È il segreto meglio custodito della nostra Difesa. Tra le risaie del Vercellese, a pochi chilometri da Arborio, percorrendo una strada anonima si arriva all’ingresso di una vecchia caserma con la bandiera tricolore che garrisce nel vento di primavera. Nessun cartello la indica, nessuno ne ha mai parlato prima. Ma lì a Lenta una coltre d’alberi nasconde la più grande concentrazione di tank d’Europa e forse dell’intero pianeta: sono una moltitudine, più di quanti ne avesse a disposizione Hitler per l’attacco alla Russia. “L’Espresso” ne ha scoperto l’esistenza esaminando un documento britannico, con il censimento della commissione internazionale che vigila sui trattati di disarmo. Con stupore, nel 2012 l’Italia ha denunciato numeri da record: 1.173 carri armati e 3.071 cingolati da combattimento. Una cifra paurosa: gli inglesi hanno solo 270 tank, i francesi il doppio. Un simile arsenale non aveva spiegazioni, visto che in servizio nell’Esercito risultano 200 carri Ariete. Come era possibile che si fosse arrivati ad accumularne tanti? La risposta è banale. Nessun piano top secret, nessun disegno di ambizioni strategiche: soltanto la sciatteria della nostra burocrazia militare. Per quasi vent’anni gli armamenti tolti dalla prima linea sono stati accantonati, senza curarsi del loro destino. Le altre nazioni occidentali li hanno venduti o smantellati, ma da noi la confusione legislativa rende difficile metterli sul mercato e la cronica carenza di fondi ha bloccato le demolizioni, che vanno realizzate seguendo i rigorosi protocolli internazionali. Così mano a mano che i ranghi si assottigliavano, tutto finiva accatastato nel bosco piemontese e in altri due depositi minori. Poco alla volta, la ferrea mole di semoventi e tank ha saturato ogni piazzale. Finché tre anni fa è scattato l’allarme rosso. L’ondata di metallo stava tracimando e non si riusciva più a contenerla: novecento Leopard, trecento M-60, duecento M-109, tremila cingolati M-113 di ogni variante ma anche mezzi recenti, messi da parte a causa della spending review, come centinaia di blindo Centauro e Puma. Questa invasione si è concentrata proprio sulla base di Lenta, nel Vercellese: oltre tre milioni di metri quadrati, circondati da nove chilometri di reticolati, dove c’erano veicoli corazzati buttati ovunque, con alberi e cespugli che avvolgevano i cannoni. Alcuni parcheggi erano stati invasi dall’acqua delle risaie in cui i bestioni da 40 tonnellate erano sprofondati. La sicurezza precaria; i rischi ambientali altissimi, in una zona che è parco naturale. Nel 2013 il generale Claudio Graziano, all’epoca al comando dell’Esercito e da pochi giorni passato al vertice dell’intera Difesa, ha deciso di affrontare quell’armata imboscata. Dando battaglia su due fronti: eliminare i pericoli ambientali e trasformare la giacenza in una risorsa. I veicoli obsoleti sono stati avviati alla rottamazione, quelli migliori verranno ceduti. I bilanci divorati dalla crisi non permettono più sprechi e tutto serve per fare cassa. Così l’installazione piemontese è stata ristrutturata, per rispettare l’ecologia e ragranellare quattrini. Oggi la scorta è stata ridotta da 4.000 a 3.000 mezzi, che restano un’enormità. Dei mille che non ci sono più, una parte è stata regalata a paesi “amici”: Pakistan, Gibuti e, prima del caos, la Libia; un’altra parte è stata demolita. «Anche a prezzo di rottame, dai più vecchi riusciamo comunque a ricavare tra quattro e seimila euro, a seconda dei metalli con cui erano costruiti», spiega il colonnello Antonio Oliviero, responsabile dell’ufficio alienazioni dell’Esercito. Adesso in una struttura di cemento - sotto la direzione del colonnello Maurizio Corcione - stanno venendo smantellati cinquecento M-113 da undici tonnellate. Si trasformeranno in nuovi pezzi di ricambio per un valore di 2,6 milioni di euro: le batterie e gli pneumatici a prova di proiettile delle camionette Lince in servizio dal Libano all’Afghanistan. Quasi tremila mezzi corazzati. Depositati in un bosco piemontese. Fra i rovi. Una distesa sterminata di tank. "l’Espresso" è potuto entrare a raccontare per la prima volta la base di Lenta. Da cui ora l’Esercito prende pezzi da rottomare o vendere Nella base di Lenta - che “l’Espresso” ha potuto visitare per la prima volta in assoluto - la zona più impressionante è il piazzale con i mezzi che hanno ancora un mercato: somiglia all’esposizione di un’autosalone, dove i clienti possono valutare le vetture in vendita. Solo che in mostra ci sono più di duemila Leopard, Vcc, Centauro. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla vernice scrostata, i tank sono praticamente immortali; basta revisionarli e possono tornare in azione. Quelli offerti qui sono più moderni e potenti dei carri che si scontrano tutti i giorni in Siria, Kurdistan e Libia. Si tratta di un “usato sicuro”, a prezzi di saldo, che fa gola a molte nazioni. Ci sono semoventi con obici da 155 millimetri che hanno sparato solamente trenta colpi: il Pakistan ne vuole cento, a circa 60 mila euro l’uno. Il re di Giordania invece ha una passione per le Centauro, autoblindo con un cannone micidiale: il costo oscilla intorno ai 100 mila euro. Ma un cingolato Vcc si può portare via con 20 mila euro, il valore di una berlina. Poco? Per l’Esercito ogni accordo concluso significa un problema in meno e soldi in più. Creando un indotto per le aziende di casa nostra, se riescono ad aggiudicarsi gli appalti per mettere a posto i veicoli secondo i desideri degli acquirenti. Lungo le file del deposito, si ripercorre la storia delle spedizioni all’estero: sulle fiancate resistono i simboli delle missioni in Bosnia, Kosovo, Iraq. Tra i veicoli che stanno per essere rottamati ne spiccano alcuni bianchi, usati nella celebre operazione in Libano del 1982. E viene un brivido pensando che quella massa d’acciaio è costata intorno ai seimila miliardi di lire. Sono prodotti dell’ultima stagione della Guerra Fredda, quella in cui si è sfiorato il conflitto totale: il piazzale infinito di acciaio e cannoni è il monumento più sconvolgente e surreale alla follia che abbiamo vissuto.