varie, 28 marzo 2015
DATI PER GDA PER LA RUBRICA DI OGGI
DEBITO/PIL
A febbraio 2015 il McKinsey Global Institute ha misurato il debito globale: non solo quello degli Stati, anche quello delle famiglie, delle imprese, del settore finanziario. Questi i dati:
• Tra il 2007 e il giugno 2014, il debito globale è passato da 142 mila miliardi di dollari a 199 mila: 57 mila miliardi in più. Come quota del Pil mondiale, siamo passati dal 269% al 286%. Se prendiamo un periodo più lungo dall’ultimo trimestre del 2000 al secondo trimestre del 2014 il balzo è da 87 mila miliardi di dollari a 199 mila.
• Durante la Grande Crisi (rispetto a fine 2007) i debiti sono cresciuti per gli Stati, da 33 mila a 58 mila miliardi di dollari; per le famiglie, da 33 mila a 40 mila miliardi; per le imprese, da 38 a 56 mila miliardi ; per il settore finanziario, da 37 a 45 mila miliardi .
• Il Paese più indebitato, rispetto al Pil, è il Giappone: al 400%. L’Italia è alla posizione numero 12, con un rapporto del 259%, e peggio fanno alcune economie considerate in genere ben solide, come quella olandese al 325%, quella belga al 327% , la svedese al 290%, la francese al 280%.
• Nella cosiddetta economia reale – Stato, imprese, famiglie – tra fine 2007 e metà 2014, il rapporto debito/Pil italiano è peggiorato del 55%: 47 punti a carico del debito pubblico, tre punti delle imprese, cinque delle famiglie. La tendenza italiana è simile a quella delle economie avanzate nel complesso, dove il rapporto debito/Pil è passato, fatto cento il 2000, da 158 a 156 nel settore privato e da 69 a 104 nel settore pubblico.
DERIVATI
• Quale sia l’ammontare mondiale dei contratti in derivati, non essendo previsto l’obbligo della loro registrazione, non è certo. Ecco due stime, che fanno riferimento a fine 2014. La prima, più cauta, è del New York Times, che indica in 280 trilioni di dollari i derivati che sarebbero sui libri contabili delle maggiori banche Usa. La seconda è della Banca dei Regolamenti Internazionali, che stima in 710 trilioni di dollari il totale mondiale (nove volte il Pil mondiale).
• Scrive Tino Oldani su ItaliaOggi che la Deutsche Bank è la banca che ha la maggiore esposizione ai derivati su scala mondiale, pari a 75 trilioni di dollari: si tratta di un’esposizione pari a 5 volte il Pil europeo e quasi uguale al Pil mondiale.
• stando all’ultimo rapporto del 2014, ciascuna delle prime cinque banche degli Usa ha un’esposizione ai derivati superiore a 40 mila miliardi di dollari (cioè 40 trilioni). Per avere un’idea di quanto sia grande il loro azzardo: l’intero debito nazionale del Tesoro degli Stati Uniti è di 17.700 miliardi di dollari (17,7 trilioni), cioè meno della metà dell’esposizione ai derivati di ciascuna banca. Scrive sempre Oldani: «Il primato di questa follia spetta alla JP Morgan Chase, che, a fronte di asset complessivi propri per appena 2,5 trilioni, ha un’esposizione ai derivati di 67 trilioni di dollari. Seguono: Citibank, con un’esposizione di 60 trilioni (1,9 trilioni di asset propri); Goldman Sachs con 54 trilioni di esposizione contro meno di un trilione di asset propri; Bank of America con 54 trilioni di rischi sui derivati contro 2,1 trilioni di asset; Morgan Stanley con oltre 44 trilioni di esposizione a fronte di soli 831 milioni di dollari di asset propri».
• Per quanto riguarda l’Italia a fine 2014 erano 188 miliardi, una somma che si aggiunge agli oltre 1.800 miliardi di titoli di Stato circolanti.
ITALIANI AGLI ESTERO
• Nel 2013 82.000 italiano sono andati a vivere all’estero, il numero più alto degli ultimi dieci anni, in crescita del 20,7% rispetto al 2012. I dati sono del report dedicato a Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente (anno 2013), pubblicato a dicembre 2014.
• Prendendo in considerazione un arco temporale più ampio, in base all’anagrafe italiana, come riportato dall’Istat, dal 2008 al 2013 c’è stato un deflusso netto di 150 mila persone: è il saldo fra gli italiani che escono e quelli che rientrano. Il ritmo delle uscite peraltro sta accelerando. Solo due anni fa, al netto dei rientri in patria, sono state 53 mila. Alla cifra pubblica dei 150 mila, la Repubblica aggiunge altre 63 mila uscite nette nel 2014 sulla base dei dati dei primi 9 mesi ed è una stima cauta, perché presuppone una frenata delle tendenze in atto negli ultimi anni. Al valore di 23 miliardi di investimenti in istruzione “esportati” si arriva così. Negli ultimi sei anni il 48% dei migranti aveva terminato le scuole medie, il 30% le superiori e il 22% l’università: i costi sono stimati su questa base.
• Secondo l’Istat, i laureati erano il 19% degli italiani trasferitisi all’estero nel 2009, ma sono già saliti al 24% nel 2013.
• Dal 2008 al 2014 è emigrato all’estero un gruppo di italiani la cui istruzione nel complesso è costata allo Stato 23 miliardi di euro. Sono 23 miliardi dei contribuenti regalati ad altre economie. Scrive Fubini: «È una cifra pari al doppio di quanto occorre per stendere la rete Internet ad alta velocità che in questo Paese continua a mancare. È una somma pari a un terzo del costo dell’intera rete ferroviaria ad alta velocità italiana, che al chilometro è la più cara al mondo. Nel rapporto “Education at a Glance 2014”, l’Ocse di Parigi stima che, solo per la gestione dei luoghi d’insegnamento e gli stipendi degli insegnanti, chi si istruisce in Italia costi 6.000 dollari l’anno quando frequenta una scuola materna pubblica, 8.000 l’anno alle elementari, 9.000 alle medie e alle superiori e 10.000 all’università. Per i contribuenti il costo (di base) di produzione di un laureato in Italia è di centinaia di migliaia di euro. Ogni volta che una di queste persone lascia l’Italia, quell’investimento in sapere se ne va con lui o con lei» [Federico Fubini, la Repubblica 23/3/2015].
• per i dati sugli emigrati vedi anche scheda: 2309042
DURATA PROCESSI
• Per il processo civile ci vogliono in media 437 giorni per il primo grado, 1.025 per l’appello, 1.293 per la Cassazione: otto anni prima di arrivare alla sentenza definitiva. Per i processi penali il tempo medio è di cinque anni, senza contare le pause tra una fase e l’altra. Ma l’imbuto critico resta nelle Corti di Appello con 844 giorni per smaltire un procedimento.
• La macchina della Giustizia è ingolfata da una montagna di procedimenti che non si riesce a smaltire. Il censimento al 30 giugno 2013 conta 5 milioni e 257 mila processi civili pendenti e 3 milioni e 434 mila processi penali in sospeso. Nel civile ogni anno si riesce a scalfire una percentuale minima dell’arretrato (4 per cento nel 2013) mentre nel penale la giacenza è addirittura aumentata (1,7 per cento in più). E questo nonostante venga registrata ovunque una crescita della produttività dei magistrati.
• In base alle ultime statistiche Istat disponibili, sono pendenti quasi cinque milioni di cause civili in primo grado, e altrettante cause penali. La durata media dei processi è tra le più alte in Europa. In media, nelle corti americane, è necessario non più di un anno per esaurire tutti e tre i gradi di giudizio. In Italia ne servono otto. Per questo, l’Italia è continuamente sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la fiducia degli italiani nell’affidabilità del ricorso alla giustizia è nettamente inferiore alla media europea, la maggioranza degli italiani è convinta che i giudici non siano imparziali, molte multinazionali americane sono restie a investire in Italia. [Sabino Cassese, Corriere della Sera 10/11/2014].
• A inizio marzo 2015 la commissaria Ue per la Giustizia, Vera Jourovà ha presentato il Rapporto 2015 sui sistemi giudiziari dei 28 Paesi dell’Unione europea. L’Italia vi compare come terzultima per i tempi della giustizia, seguita solo da Cipro e Malta, ventiduesima su 28 Paesi quanto a percezione dell’imparzialità dei giudici, e al terzo posto per il maggior numero di cause civili pendenti. Non solo: con una media di 608 giorni necessari per arrivare a una sentenza di primo grado in una causa civile di natura commerciale, l’Italia è il Paese europeo più lento, con un peggioramento rispetto ai 493 giorni del 2010 e ai 590 giorni del 2012. In Germania una causa civile si chiude in primo grado in 192 giorni, in Francia in 308 e in Austria in appena 135, poco più di tre mesi.
• Per il Centro studi della Confindustria basterebbe ridurre del 10% i tempi di risoluzione delle cause giudiziarie per guadagnare lo 0,8% del Pil ogni anno, vale a dire 13-14 miliardi di euro. • Contrariamente a un diffuso luogo comune, i ritardi della giustizia civile non dipendono dallo Stato che spende poco. Anzi, uno studio Ocse relativo al 2014 sottolinea che «l’Italia spende circa lo l’1,6% del Pil per la giustizia, come fanno Svizzera, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca; ma mentre in questi Paesi il primo grado di un giudizio civile dura in media 130 giorni, in Italia ci vuole almeno il quadruplo».
OPERE PUBBLICHE
• A 14 anni dalla legge obiettivo, approvata nel 2001, questa la fotografia delle realizzazioni ultimate: dei 285 miliardi di opere inserite nel programma, quelle ultimate valgono un investimento da 23,8 miliardi, pari all’8,4% del totale. Era il 7,6% nell’ottobre 2013. Va addirittura peggio se, anziché considerare l’intero faraonico programma, si restringe il perimetro alle sole opere approvate dal Cipe: il valore totale dell’investimento ammonta a 149 miliardi, le opere concluse si fermano a 6,5 miliardi (4,3% del totale). Il primo dato è più alto perché comprende i singoli lotti ultimati (quelli compresi nel programma sono mille), il secondo solo le intere opere completate. Se però anche nella seconda classifica si considerassero, per esempio, i 47 lotti ultimati della Salerno-Reggio Calabria per un importo di 6 miliardi, le percentuali resterebbero comunque largamente al di sotto del 10 per cento. Questi numeri sono stati presentati l’11 marzo 2015 alla commissione Ambiente della Camera. L’occasione era la presentazione del 9° Rapporto sull’attuazione della legge obiettivo, curato come ogni anno dal Servizio studi della Camera con il Cresme e in collaborazione con l’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, ora Autorità nazionale anticorruzione.
• A questi dati si aggiunge il capitolo dedicato ai costi. Il monitoraggio svolto dal Rapporto sull’attuazione della legge obiettivo ha scelto 97 opere deliberate dal Cipe e contenute nel programma fin dal 2004 : il costo era di 65.227 milioni al 30 aprile 2004, è salito a 91.516 milioni al 31 dicembre 2014. L’incremento è del 40,3%.
• Sono 693 le opere pubbliche iniziate da anni e ancora non finite, secondo l’ultimo censimento dell’anagrafe del ministero delle Infrastrutture, effettuato a fine 2014, e diffuso il 13 gennaio 2015 dal sottosegretario Riccardo Nencini. Tra le incompiute figurano le Vele di Calatrava nella Città dello sport, alla periferia Est di Roma: dovevano essere pronte per ospitare i Mondiali di nuoto del 2009. Per vederci dentro nuotatori e tuffatori, però, servono 300 milioni, oltre ai circa 200 già investiti. Intanto lo Stato, che ha già speso per le 693 strutture oltre 3 miliardi di euro, per finirle necessita di circa 1,5 miliardi. Tra le Regioni il primato spetta al Lazio: 82 opere incompiute.