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 2015  marzo 28 Sabato calendario

CONFCOMMERCIO: «È RIPRESA, ORA SERVE TAGLIARE LE TASSE»

Usano tutte le precauzioni del caso. E lo stesso presidente Carlo Sangalli sottolinea che si tratta di «cauto ottimismo». Ma dopo «tanti anni di previsioni negative e di revisioni al ribasso», l’Ufficio studi di Confcommercio, la più potente tra le lobby dei negozianti italiani (con oltre 700mila imprese associate), cambia registro durante la presentazione dell’annuale appuntamento sullo «scenario economico» del paese: «Ci sono segnali di risveglio dell’economia». Così, per la prima volta dopo sette anni, le previsioni per il 2015 non soltanto sono positive, ma lo sono anche in misura superiore rispetto ad altri autorevoli ufficio studi: per l’anno in corso, Confcommercio stima una crescita del Pil dell’1,1 per cento, che diventerà un più 1,4 per cento per il 2016. Lo stesso per i consumi: dopo un calo che mediamente è stato dell’1,1 per cento all’anno nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014, si prevede un rialzo dell’1,2 per cento nel 2015 e dell’1 per cento la stagione successiva.
Sempre per prudenza, e per onestà intellettuale, Confcommercio fa capire che solo parte del merito va alle misure del governo, mentre il resto lo fanno «le favorevoli condizioni dal costo del petrolio al cambio dell’euro, all’intervento della Bce». Così, Sangalli coglie al volo l’occasione per tornare sulla ricetta preferita dei commercianti: «Non dobbiamo accontentarci di quel che passa il convento, lo scenario internazionale che è mutevole e incerto, ma valorizzare le opportunità per la crescita; tagliare la spesa pubblica improduttiva per scacciare lo spetto delle clausola di salvaguardia che ci costerebbero 70 miliardi nei prossimi tre anni e destinare invece i risparmi sugli interessi sul debito a beneficio di tutti i contribuenti in regola con la riduzione delle aliquote Irpef». In una parola, tagliare le tasse per dare liquidità alle famiglie perché consumino.
Tra le condizioni, in qualche modo eccezionali, che l’Italia potrà sfruttare nei prossimi mesi, Confcommercio punta le sue carte sia sull’Expo che si apre a Milano fra poco più di un mese e il Giubileo straordinario indetto da papa Francesco per il 2016. In entrambi i casi, il prevedibile flusso di turisti non potrà non alimentare i consumi interni: il solo Expo dovrebbe valere attorno a 2,7 miliardi; il che significa un valore pari allo 0,2 per cento del Pil e lo 0,3 per cento dei consumi totali, tenendo conto dell’arrivo di almeno 8 milioni di turisti aggiuntivi. Lo stesso per il Giubileo; in questo caso la stima è ancora approssimativa, ma comunque potrebbe valere lo 0,2-0,3% del Pil.
Del resto, il dato sulle vendite al dettaglio per il mese di gennaio, comunicato ieri dall’Istat, sembrano giustificare il cauto ottimismo di Confcommercio: nel primo mese del 2015, sono aumentate dello 0,1 per cento rispetto a dicembre e dell’1,7 per cento su anno. Fa da contraltare, invece, il dato sul fatturato dell’industria italiana: sempre a gennaio, sempre secondo i dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica, è calato dell’1,6 per cento rispetto a dicembre e del 2,5 per cento sullo stesso periodo dello scorso anno. Una frenata che contraddice il buon risultato di dicembre che aveva fatto sperare in un’inversione di rotta strutturale. tanto che la stessa Istat avverte: «Si tratta di un calo abbastanza importante ». Non c’è che da sperare nella buona riuscita dell’Expo.


NAZIONALE - 28 marzo 2015
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Economia
Tutti i Paesi dell’Eurozona in crescita ma Bruxelles avverte: “Corsa fragile”
ALBERTO D’ARGENIO
DAL NOSTRO INVIATO
BRUXELLES .
La notizia positiva è che nel 2015 tutti i Paesi della zona euro torneranno a crescere, nessuno escluso. Era dal 2007 che non accadeva. Ma attenzione, la Commissione europea nel suo Rapporto trimestrale sull’euro avverte che la ripresa è «fragile» e per questo i governi non si devono sedere sugli allori. Anzi, devono sfruttare il momento per darci dentro con le riforme perché la crescita in molti paesi non è strutturale bensì congiunturale, ovvero spinta da fattori passeggeri che nel medio periodo spariranno: il calo del petrolio, il Quantitative Easing della Bce e il deprezzamento dell’euro che favorisce l’export.
«Bisogna usare questa finestra di opportunità per agire, l’azione politica è necessaria per affrontare le sfide a breve, medio e lungo termine», scrive nell’editoriale che apre il rapporto Marco Buti, il direttore generale per gli Affari economici della Commissione Ue. Nel breve servono «gli investimenti, che devono essere aumentati, e la fiducia, che va ulteriormente ripristinata ». Nel medio termine «l’eurozona deve raggiungere un percorso di maggiore crescita potenziale» attraverso le riforme strutturali a livello nazionale mentre per il lungo periodo «serve una migliore governance economica ». Insomma, secondo Bruxelles «l’attuale situazione economica offre l’opportunità di usare il vento a favore per lasciare alle spalle bassa crescita, bassi investimenti e bassa inflazione. Non la sprechiamo».
Dunque la Commissione rilancia l’appello che Mario Draghi ripete da settimane: servono riforme, investimenti e una nuova governance che regali alla moneta unica una catena di comando più solida. Sulle riforme, sono i governi a dovere agire. I Paesi più deboli, come l’Italia, se non renderanno più moderna la propria economia ben presto si troveranno di nuovo al palo. Sugli investimenti, invece, si è già mossa la Bce per migliorare le condizioni del credito e si attende, tra luglio e settembre, che entri in vigore il piano Juncker potenzialmente da 315 miliardi di euro, anche se non tutti sono convinti che sarà in grado di dare una vera scossa ad Eurolandia.
C’è infine il capitolo governance: a giugno Draghi, Juncker, Tusk e Schulz presenteranno il rapporto con le proposte di riforma dell’euro. Ma poi, per decidere se lanciarsi o meno nel processo, i leader aspetteranno dicembre. E a Bruxelles non si respira aria di grande entusiasmo: tra i big solo l’Italia vorrebbe riscrivere il Trattato di Lisbona. La Gran Bretagna, gettata da Cameron in una profonda crisi di euro-identità, non ne vuol sapere. La Francia non ama mai cedere sovranità, così come i paesi dell’Est. Ago della bilancia, come sempre, la Germania: la Merkel riuscirebbe a far accettare ai suoi concittadini una condivisione dei rischi solo al termine di un lungo processo che renda obbligatorie le riforme per i partner del Mediterraneo: non proprio il miglior approccio per iniziare un processo di riforma ambizioso.
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