varie 27/3/2015, 27 marzo 2015
PALLINATO SUL PILOTA SUICIDA ANDREAS LUBITZ
Il copilota della Germanwings Andreas Günter Lubitz, 27 anni, tedesco, estraneo ad ambienti legati al terrorismo, è accusato dalla magistratura francese di avere fatto precipitare volontariamente il volo 9525 sulle Alpi francesi, causando la sua morte e quella delle altre 149 persone a bordo [Stefano Montefiori, Corriere della Sera].
«Lubitz non era un fanatico religioso, non era un militante politico, non era un estremista. Persino i tabloid più spericolati e cinici come la Bild faticano a costruire un profilo da mostro. Almeno, per ora [Tonia Mastrobuoni, La Stampa].
Tonia Mastrobuoni: «Stempiato, jeans e sciarpa a righe, sorriso timido. Sulla foto che ha fatto il giro del mondo, presa dal suo profilo Facebook, Andreas Lubitz è seduto su un muretto. Lo sfondo, inquietante, è il Golden Gate, il famoso ponte di San Francisco che appoggia su una montagna. Ma quello che salta agli occhi è la sua aria da “bravo ragazzo”. Ed è questo che sta facendo impazzire la Germania» [Tonia Mastrobuoni, La Stampa].
Lubitz era originario di Montabaur, paesino di 12 mila abitanti in Renania-Palatinato, nell’ovest della Germania) [Mauro Evangelisti, Il Messaggero].
«Am Spiessweiher civico 8, tranquillo quartiere di case benestanti su una collina che domina la ricca, placida Montabaur: eccoci nel luogo dove il giovane copilota Andreas Günter Lubitz, vivendo spesso dai genitori pur avendo un appartamentino a Düsseldorf vicino all’aeroporto di servizio, ha maturato chi sa come, celandolo a tutti, il suo disegno di morte» (Andrea Tarquini) [Andrea Tarquini, la Repubblica].
«Non era molto estroverso, però non era nemmeno isolato o chiuso, era integratissimo nel gruppo, tutti ridevano ai suoi scherzi, anche quelli spinti, politicamente discutibili o di cattivo gusto» ha detto Peter Rücker, presidente dell’aeroclub Segelfliegerverein Lsc Westerwald, dove Lubitz con alianti e piccoli aerei sportivi cominciò a volare [Andrea Tarquini, la Repubblica].
Era ancora un teenager quando aveva preso la licenza per pilotare gli alianti, su un Ask-21 che ancora oggi si trova in un hangar del club Lsc Westerwald. E sempre lì aveva rinnovata la licenza lo scorso autunno [Danilo Taino ed Elena Tebano, Corriere della Sera].
Un suo compagno di volo dell’aeroclub, Peter Rücker: «Aveva un sacco di amici, non era affatto un solitario, si divertiva, anche se qualche volta era piuttosto tranquillo» [Danilo Taino ed Elena Tebano, Corriere della Sera].
Aveva il classico curriculum del pilota tedesco, si era formato prima a Brema poi a Phoenix. Tutto sembrava procedere regolarmente, fino a un breve periodo, nel 2009, in cui aveva deciso di interrompere tutto. Poi era stato riammesso, era stato anche steward, per undici mesi, «e dal 2013 era stato ingaggiato come co-pilota sugli Airbus A320», la tipologia di aerei cui apparteneva anche quello precipitato lunedì sulle Alpi [Tonia Mastrobuoni, La Stampa].
Nella conferenza stampa di giovedì l’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, ha detto: «La sua abilitazione era al 100 per cento, senza macchie», e includeva test psicologici [Tonia Mastrobuoni, La Stampa].
Lubitz era bravo a pilotare. Tanto che nel settembre 2013 la Us Federal aviation administration gli aveva conferito un certificato ambito e il suo nome era entrato nel database dell’ente americano che supervisiona l’aviazione civile. Secondo la Faa a soli 26 anni Lubitz aveva raggiunto gli standard di eccellenza nel volo, «medici e di formazione». Lo stesso mese era stato assunto da Germanwings, la linea low cost del settimo vettore al mondo [Roberta Miraglia, Il Sole 24 Ore].
Al momento dello schianto, sul curriculum di Lubitz c’erano 630 ore di volo [Marco Gorra, Libero].
Una grande passione di Lubitz era la corsa. Nel 2007 era arrivato 72esimo su 780 partecipanti alla 10 chilometri di Montabaur, cui aveva partecipato insieme al padre, Günter Lubitz. E tra il 2011 e il 2013 aveva anche corso la mezza maratona organizzata da Lufthansa a Francoforte, raggiungendo sempre risultati discreti, tagliando il traguardo sotto l’ora e quaranta minuti [Tonia Mastrobuoni, La Stampa].
Mauro Evangelisti: «E poi c’è la vita privata, a suo modo misteriosa, perché prima di ieri Andreas era poco presente su Google. C’era quella pagina Facebook che è stata trasformata da un familiare in una pagina “in memoria di”. Lo ha fatto dopo la sua morte, prima delle rivelazioni di ieri. New York, San Francisco, Cape Town: ecco gli scatti delle vacanze. “Euch allen da draußen in der Welt ein frohes und gesundes neues Jahr 2012!!” scrive Andreas negli auguri per il nuovo anno (“a tutti voi là fuori nel mondo un sano e felice 2012”). Ci sono tracce di una vacanza a Miami con Tobias, un amico» [Mauro Evangelisti, Il Messaggero].
E poi il bowling, i fast food, la pesca, le arrampicate su roccia [Andrea Tarquini, la Repubblica].
Tra i gusti musicali: la band di musica elettronica Schiller e il dj francese David Guetta, [Mauro Evangelisti, Il Messaggero].
Pare avesse una fidanzata, a Düsseldorf, da dove partiva per i suoi voli e dove aveva un appartamento, in periferia (la sua auto, ieri, era ancora parcheggiata in aeroporto). Ieri è girata voce, non confermata, che si fossero lasciati da poco [Danilo Taino ed Elena Tebano, Corriere della Sera].
Scrive Manila Alfano che la fidanzata di Lubitz era italiana, di origine abruzzese, Valeria C [Manila Alfano, il Giornale].
Mastrobuoni: «Perché un ragazzo così tranquillo ha deciso di trascinare nella morte 149 persone? Analizzando la sua breve esistenza non sembrano emergere indizi eclatanti che possano far presagire un gesto così folle. Eseguito, oltretutto, con una freddezza mostruosa. La registrazione audio che gli inquirenti hanno ascoltato e che ha alzato il velo sugli ultimi minuti della tragedia, dimostra che Lubitz non ha mai risposto al tentativo, sempre più disperato, del capitano di rientrare nella cabina di pilotaggio. Soprattutto, fino all’istante dello schianto, anche negli ultimissimi secondi, quando i passeggeri ormai urlavano di terrore, quando il collega gli urlava di aprire la porta, lui continuava a respirare regolarmente. Era calmo» [Tonia Mastrobuoni, La Stampa].
Una ragazza che era stata a scuola con lui, a Montabaur, ieri ha scambiato due parole, tra le lacrime, con la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Ha detto di non credere che l’azione fosse stata pianificata. «Dev’essere stato un Amoklauf», ha detto. Amok (letto a rovescio fa Koma) è un termine di origine malese, è l’esplosione improvvisa della violenza, di una follia irrefrenabile. In Germania la parola si è diffusa dopo una sparatoria in una scuola di Erfurt, nel 2002: da allora, le autorità scolastiche usano il termine per lanciare l’allarme e avvertire del pericolo di un’aggressione omicida. «Amoklauf»: è questa l’unica spiegazione che sa darsi la sua compagna di scuola [Danilo Taino ed Elena Tebano, Corriere della Sera].
«L’altra sera ero a cena con un amico pilota e ho subito avanzato l’ipotesi della sindrome di burnout per spiegare la dinamica dell’incidente aereo. La sindrome di burnout è il “bruciarsi” tipico di professioni in cui le performance sono importanti, in cui lo stress può diventare deleterio in presenza di personalità predisposte o che mascherano tendenze depressive. Accade così che via via questi soggetti “brucino” le risorse che hanno a disposizione. Risorse cognitive, affettive, relazionali. Diventano indifferenti, apatici. Addirittura cinici se svolgono professioni di aiuto. Nel caso in questione poi il profilo di personalità del copilota era già emerso quando a 21 anni ebbe episodi che ne rallentarono l’addestramento. Già burnout» (Claudio Mencacci, direttore delle Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano) [Mario Pappagallo, Corriere della Sera].
Fino a ieri, il peggiore sterminatore di massa nella storia della Germania postbellica aveva fatto sedici vittime. Si chiamava Robert Steinhäuser, aveva diciannove anni e aveva deciso di vendicarsi a fucilate della scuola che lo aveva espulso: lasciò sul terreno tredici professori, due studenti ed un poliziotto prima di spararsi in testa [Marco Gorra, Libero].
I familiari sono stati trasferiti in un luogo sicuro e la loro abitazione a Montabaur, in Renania, nella quale vivevano genitori e figlio, ora è sotto la protezione della polizia per timore di rappresaglie [Manila Alfano, il Giornale].