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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

VADO IN AUTOSTOP? NO È L’ECONOMIA DELLA FIDUCIA, BELLEZZA

Ho aspettato 37 anni, ma ne è valsa la pena. Mi trovo all’angolo di un vialone di Milano sud e sto aspettando una sconosciuta. O meglio, una ragazza di cui conosco nome ed età (ma potrebbero essere finti), numero di cellulare; di lei ho letto una breve presentazione su un sito, so che possiede un’utilitaria coreana grigia e, come me, è diretta a Rapallo, alle tredici e trenta di un giorno feriale di fine febbraio.
L’ultima volta che avevo fatto l’autostop ero un diciottenne di ritorno dalla Grecia. Sbarcato a Brindisi, sciopero dei treni, mancanza di soldi o l’aria leggera del tempo e dell’età, mi spinsero a cercare subito un passaggio per Milano, mettendomi in attesa davanti a un benzinaio della periferia. Il viaggio fu rocambolesco, a Milano arrivai in quattro o cinque tappe, confortato dall’ultimo tratto di fianco a un guidatore che portava un tir di wafer.
In mezzo, di cose ne sono successe tante, e una in particolare, risultato di congiunture diverse, ha fatto sì che una versione aggiornata di autostop, come altre forme d’interazione diretta tra persone con lo stesso obiettivo, fosse di nuovo non solo possibile, ma molto facile, quasi indispensabile.
All’inizio si è parlato di Sharing Economy. Poi si è capito che alla base delle diverse tipologie di commercio basato sullo scambio, c’è la riscoperta della fiducia nell’altro. Del suo valore, della necessità.
Mi sono registrato sul sito francese BlaBlaCar, che mette in contatto guidatori e passeggeri in 14 Paesi, conta su un parco macchine superiore al milione, una comunità dieci volte più numerosa, e ho cercato un passaggio per Rapallo. Ho scritto da dove partivo e dove volevo arrivare. Sullo schermo sono comparse una quarantina di proposte, suddivise per orario, costo, numero di posti, apertura o meno alle chiacchiere. Un sms è arrivato al telefonino della conducente prescelta, Ginevra, avvisandola della mia richiesta; dopo neanche un’ora ho ricevuto una mail con il suo ok.
Costo del biglietto del treno, sola andata, più di venti euro. Costo del passaggio in auto: dieci. Richieste della guidatrice: puntualità, bagaglio piccolo, divieto di fumare e di portare animali.
Ho scelto lei, tra le numerose proposte simili, perché i commenti sulla sua affidabilità di guidatrice e di ospite, nonostante i suoi 21 anni, accendevano sempre cinque stelle su cinque: il top del top.
Arrivo all’appuntamento in anticipo e, scrutando le auto e i camion che sfrecciano sulla circonvallazione, per un attimo mi confondo e riprovo l’antica frustrazione di non sapere chi e quando si sarebbe impietosito per il mio cartello. È un attimo, ora so perfettamente che un’automobile grigia si fermerà. Internet è il nuovo pollice.
Quando succede, all’ora spaccata dell’appuntamento, scopro che anche la signora sulla sessantina e il trentenne magro di fianco a me, gli occhi fissi sulla strada, stavano aspettando Ginevra, il passaggio in Riviera.
Tutti si rivelano educati, affabili, espansivi. Se c’è una cosa che il nuovo autostop mette in luce è che, salvo eccezioni, il popolo di BlaBlaCar e di analoghi siti di servizi, dimostra non soltanto fiducia, ma anche su una correttezza non comune nella vita “normale”. Sarà il timore dei giudizi scritti in seguito sul proprio profilo dai compagni di viaggio, oppure è proprio così, e quanti si mettono in mani altrui, fanno di tutto per evitare attriti.

La ballerina diplomata. Si parte in scioltezza verso la A7. La conducente racconta di essere una ballerina diplomata in danza contemporanea, vive a Milano ma, come gli altri passeggeri, ritorna abitualmente in Liguria. È di Rapallo. Come Michele, consulente per l’editoria scolastica. Lui vive e lavora a Milano: sta tornando dalla mamma per farsi lavare le camicie, e intanto sogna i pranzi che lei gli sta preparando, dopo avergli chiesto i suoi desiderata con una settimana in anticipo.
La signora Adriana, milanese in pensione, passa ormai gran parte del tempo a Chiavari. Dopo essere andata a trovare il figlio rimasto a Milano, voleva tornare a casa con BlaBlaCar, ma il passaggio più comodo era quello di Ginevra. Anche Adriana è alla prima esperienza.
Ripenso al vecchio autostop. Una signora anziana che accetta passaggi da sconosciuti... Una ventenne che fa accomodare nella sua macchina uomini mai incontrati prima?
Cos’è successo? Dove nasce questa disponibilità a fidarsi? Intanto attraversiamo la pianura, e Ginevra si dimostra la guidatrice sicura su cui contavamo.
I feedback sono importanti, ma non bastano. Si è arrivati a dar credito all’altro gradualmente. Prima abbiamo imparato a fidarci delle transazioni che avvengono in Rete. In questo senso, eBay ha fatto da apripista, più di Amazon, perché ci ha messo in contatto diretto con l’altro. C’è voluto poi un social network come Facebook, fondamentale per farsi un’idea dello sconosciuto cui hai deciso di affidare la casa (Airbnb), il tuo posto macchina (Pango o SpotHero, per ora soltanto americani), i sentimenti (app come Tinder), oppure il tuo corpo che deve spostarsi da qui a lì, come nel nostro caso.
Il modo più semplice per accedere a BlaBlaCar, è attraverso il proprio profilo Facebook. In questo modo ognuno può scavare dentro l’anonimato della persona cui si consegna. Facebook funge da carta d’identità; una sorta di prefetto globale (avevo provato ad affittare un appartamento a Londra con Airbnb: l’unica mossa per convincere il proprietario era stata indirizzarlo al mio account su Facebook).
Poi la diffusione degli smartphone. La geolocalizzazione, tomba dell’escapismo, indispensabile però per molti servizi. C’è voluto anche un meccanismo elementare di premi e punizioni (la possibilità di dare una pagella, mettendo a rischio o in buona luce l’impresa personale).
È stato un cambiamento culturale, mentale. Nell’economia della fiducia ognuno è improvvisamente (cioè grazie a Internet) in relazione con tutti gli altri. Basta chiedersi che cosa si sappia fare che possa interessare la comunità. Le piattaforme curano i dettagli.
Ma non bastava. La ragione perché quattro sconosciuti stanno viaggiando a 130 orari verso Tortona, l’ha scritta Joel Stein su Time e lo confermano i miei compagni: si chiama Grande Recessione.
È stata questa ad allentare paure e incertezze. Salvo imprevisti, nel nostro viaggio si verifica una situazione win-win: la conducente recupera, immagino, quasi tutte le spese di viaggio; noi risparmiamo, e non ci sottoponiamo alle indeterminatezze ferroviarie. E per chi, come Michele, compie spesso questo tragitto, e fatica ad arrivare a fine mese con la professione di editor (“lavoro sabato e domeniche, se sono malato, lavoro”), risparmiare qualche decina di euro al mese non è poco. Adriana è qui “per curiosità, ma soprattutto per soldi, perché anche con la Cartafreccia, ci sono orari in cui il treno costa troppo”. Ginevra ha cominciato per “senso pratico e per soldi”.
L’old economy ha buttato giù dalla barca milioni di persone, la new economy prevede che ogni essere umano possa diventare una barca leggera. Cuochi non professionisti che si presentano a casa di altri a cucinare la cena; siti come “Taskrabbit” — un indirizzo per individuare chi, nella tua zona, possa farti un piacere, remunerato — fino al neonato sito “Breather”, per ora attivo soltanto nelle città americane, e destinato a chi è disposto a pagare per passare qualche ora in una casa tranquilla, a riposarsi o lavorare (Wi-fi fondamentale). Ginevra frequenta BlaBlaCar da tre anni. Non è un caso che la più esperta sia la più giovane.
E i rischi? «La sola volta che mi sono preoccupata, è stata quando, da passeggera, uno non voleva i soldi. Allora ho pensato al peggio. Perché questo è un servizio e deve essere pagato. In cambio ho conosciuto persone simpatiche, e di uno, dopo che per tre volte me lo sono trovato di fianco in macchina, sono diventata amica. Un rischio c’è, però. Adesso noi siamo tutti amici, o quasi, ma se c’è un problema, se uno si fa male, come faccio a sapere che lo resterete anche dopo?».
L’economia della fiducia procede in un territorio vago. Oltre alle incognite dirette, - si pensi alle persone che vengono a conoscenza del nostro indirizzo, di beni, abitudini, punti deboli - ce n’è una generica, che, cadendo dall’alto, potrebbe cambiare il gioco. Il fisco. Che cosa avviene esattamente, se pago dieci euro per un passaggio? È soltanto un rimborso o qualcosa di più? Se uno “offre” trenta passaggi al mese, deve pagare le tasse? Non riguarda soltanto BlaBlaCar, ma migliaia di imprese simili, che stanno affrontando la questione Paese per Paese.
Mi godo il viaggio in questa realtà ancora fluida, anche perché il fisco, prima dei dieci euro, immagino debba occuparsi dei fatturati italiani di Google o Facebook.
«Mi dispiace, ma qui non posso farci niente», si scusa Ginevra, mentre sobbalziamo sui cavalcavia irregolari prima del passo dei Giovi. La cortesia antica. «Sono arrivata in anticipo, perché non mi piace fare aspettare», aveva detto, appena salita, la signora Adriana. Penso ai treni, ai pullman. «Avete caldo? Freddo»: sempre la nostra autista.
Oltre alla puntualità, l’etichetta di BlaBlaCar prevede alcune attenzioni. Se la macchina è minuscola, non si propone un passaggio a quattro persone per Bari. Le soste lunghe sul tragitto, vanno concordate prima di partire. I feedback non devono riflettere il proprio umore, ma cercare di restare sui fatti. Ed è meglio avere il contante pronto.
Non si dice nulla su quanto intime possano essere le conversazioni. Ed è un aspetto importante. Dietro al riaffacciarsi dell’autostop, è probabile che ci sia anche la riscoperta di un’attività sacrificata. Dopo anni di trasferte, pranzi e altro con gli occhi bassi, dentro schermi, e spaventati dal contatto, tornare a parlare con gli sconosciuti.
Questo beneficio è secondo soltanto al guadagno materiale. L’hanno dimostrato due psicologi di Chicago, Nicholas Epley e Juliana Schroeder. Hanno chiesto ad alcuni pendolari della metropolitana di parlare con il loro vicino di posto. In premio, un buono di cinque dollari da Starbucks. Se prima dell’esperimento, erano certi che avrebbero viaggiato meglio standosene come sempre zitti, dopo erano convinti che il viaggio in cui avevano parlato con lo sconosciuto di fronte, era stato di gran lunga il migliore.
Sarà per la vecchia regola, per cui con gli estranei ci mettiamo la maschera più bella, mentre teniamo le nostre miserie per chi amiamo.

Assenza di meritocrazia. Quando l’auto affronta un po’ veloce le prime curve della discesa verso Genova, mi dico, eccolo qua, il rischio. Subentra un calmante, anzi, due. Ginevra è ligure, conosce le strade. E soprattutto, effetto della conversazione in cui avevo apprezzato senso pratico e amor proprio delle sue scelte, mi sentivo sicuro: al volante c’era una persona responsabile. Suggestione? Merito dei numeri del sito, fondato con 10 mila euro nel 2006 dal francese Frédéric Manzella, per mettere in contatto guidatori e passeggeri, e che ora sposta due milioni di persone ogni mese? Sceso alla stazione di Rapallo, tra le palme, all’ora pronosticata da Ginevra, pagato, salutato l’equipaggio, mi son chiesto se mi fosse mancata l’incertezza obnubilante delle attese in autostrada, e se il fatto che non fosse gratis avesse diminuito il piacere. No, la sensazione era di aver compiuto un gesto contemporaneo, e dalla parte felice del presente.
Nella conversazione era uscito un ritratto del Paese di oggi. Tutti costretti a pendolare per lavoro, i servizi pubblici sempre più cari, molte tratte abbandonate, ritardi, e il bisogno di ricorrere alla famiglia perché se no, non ce la si fa più (Michele dalla mamma, Adriana dal figlio). Il lamento per gli stage non pagati, l’assenza di meritocrazia (Ginevra sul suo lavoro) le “Zero opportunità per i giovani” con cui Michele aveva raffreddato le speranze di Adriana. Fatica, precarietà.
Allora quest’insolito equipaggio sulla Milano-Rapallo sembrava prendersi qualcosa di buono da questo presente, dove i lembi della nota coperta non bastano mai a coprirsi davvero: quasi una rivincita. Poi sono corso a dare il mio feedback. Senza, il viaggio non era finito.