Paolo Siepi, ItaliaOggi 27/3/2015, 27 marzo 2015
PERISCOPIO – L’Italia di oggi vista da Oscar Wilde: «Posso resistere a tutto tranne alla corruzione»
PERISCOPIO – L’Italia di oggi vista da Oscar Wilde: «Posso resistere a tutto tranne alla corruzione». Jena. la Stampa. Si fonderanno Kraft, gigante del würstel, e Heinz, multinazionale delle salse. Le sinergie sono evidenti. Il rompispread. MF. (mfimage) Negli ultimi vent’anni c’è stato un solo ministro dei beni culturali salvabile. È stato Paolucci, perché sapeva il mestiere. E un pochettino Ornaghi, non perché fosse un tecnico ma perché almeno usciva da un’università seria. Gli altri magari non erano cattive persone, ma non sapevano dove mettere le mani. Come portare un idraulico in sala operatoria e dargli un bisturi: è chiaro che farà disastri. Philippe Daverio. Critico d’arte. La Stampa. Provate a chiedere della crisi alla Garbellotto di Conegliano, leader mondiale delle botti da vino. Il patron Piero non ha ancora quarant’anni, ma otto generazioni di imprenditori alle spalle: «Siamo sopravvissuti alle campagne napoleoniche, a tre guerre d’indipendenza, a due conflitti mondiali. Vuole che ci spaventi l’euro?». Raffaele Oriani. ilvenerdì. Renzi ha un culo stratosferico e a strafottere. È come il presidente Fortunello, quasi ritratto nel famoso monologo di Ettore Petrolini: «Sono un uomo grazioso e bello - sono Fortunello. / Son un uomo ardito e sano - sono un aeroplano. / Sono un uomo assai terribile - sono un dirigibile». Stefano Di Michele. Il Foglio. Con Matteo Renzi, sostiene Damilano, siamo passati dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica del selfie: «Con il volto del premier ossessivamente in primo piano. Con istituzioni rifatte a sua misura? Un sistema politico con un unico viso illuminato e attorno una serie di facce comprimarie». Così la parola più rilevante nella Politica 2.0 non è più autorevolezza ma reputazione, la più ambigua e ondeggiante delle qualità personali. Aldo Grasso. Sette. Il benessere della nostra gente è molto più del welfare state. Riguarda la fiducia in se stesso, l’aiuto familiare, il sostegno volontario tanto quello statale. In una società che sia realmente sana, la responsabilità è condivisa e l’aiuto mutuo. Dove possiamo arrivare noi cittadini, dobbiamo farlo. Margaret Thatcher. Stefania Tamburello, L’economia è il mezzo per cambiare l’anima. Margharet Thatcher e Ronald Reagan in parole loro. Rizzoli Etas. Tutti i movimenti cattolici hanno cercato di far rivivere la fede e la fratellanza del primo cristianesimo creando grandi ordini monastici. Invece i movimenti islamici hanno sempre pensato di purificare la società ricreando le istituzioni, le leggi e la cultura come erano all’epoca del profeta o dei primi califfi. E gli islamisti di oggi cercano di riportare a quell’epoca anche il mondo moderno. Francesco Alberoni. Il Giornale. Perché da noi ci vogliono sette anni per una stazione della metro? In sette anni, in Cina, costruiscono dieci città. Non solo. Alcuni recenti scavi milanesi, Sant’Ambrogio, piazza Novelli, sono diventati incubi pluriennali, per i residenti e i milanesi in genere. Basta un ricorso in tribunale, e si ferma tutto. Lo sanno, il sindaco Pisapia e l’assessore Maran? Sono certi di consegnarci la M4 in tempo utile? Una risposta sarebbe gradita. Beppe Severgnini, Sette. Quando faranno un treno che colleghi Roma e Palermo in tre, quattro ore, costerà molto, idioti. Cinque, sei, sette volte i treni che volano nella pancia continentale di Francia e Germania. In Italia ci sono le montagne, idioti. Bisogna perforare. E gli alluvionati devono assicurarsi contro il maltempo, con incentivi statali a farlo, non sottrarre fondi ai treni veloci, che interessano anche i loro negozi, il loro lavoro, la loro decente modernità. Giuliano Ferrara. Il Foglio. Avrò avuto ventidue anni, ed ero a Roma in vacanza. Era maggio, una mattina abbagliante e già calda. Mi aggiravo da ore attorno a piazza Navona, sedotta da tanta bellezza; e stanca, e accecata dalla luce di maggio, per caso sono entrata in una chiesa. Cercando semplicemente ombra, e un po’ di riposo: non ero una che frequentava le chiese. Ricordo ancora il contrasto netto fra il sole radioso e la penombra di San Luigi dei Francesi; quel tuffo nel dolce buio uterino di una chiesa mediterranea. Ma, seduta nell’ultima fila di panche, i piedi doloranti dal cammino, ho notato un piccolo gruppo di turisti che si dirigeva con determinazione verso l’ultima cappella a sinistra, in fondo. Curiosa, mi sono alzata e li ho seguiti. L’angolo in fondo alla chiesa era buio, ma, infilando una moneta in una macchinetta, s’accendeva una modesta lampadina. Risento ancora il tonfo metallico delle lire, e l’illuminarsi improvviso del Caravaggio con il suo abbacinante quadro: La Vocazione di Matteo. Che luce, dentro a quella stanza dipinta: nel buio della chiesa ritrovavo sulla tela, nel raggio che prolunga il dito di Cristo, perfettamente vera, la luce chiara del mattino. E ho visto, certo, quel perentorio gesto di elezione, e direi di possesso: «Tu, seguimi», e ne ho percepito, turbata, la forza. Ma ciò che ha fatto breccia nel mio cuore è stato il ragazzo chino su una manciata di denari, e triste; disperato quasi, come uno che si accorga che ciò che stringe fra le mani, è un niente. E io, che a 22 anni ero una che apparentemente aveva «tutto», riconobbi visceralmente, in quel ragazzo, un fratello. Scoprii poi che secondo i più autorevoli critici, Matteo, nel quadro, era invece il vecchio con la barba. Ma non me ne importò, giacché per me era evidente che il convocato, l’eletto, a quella tavola era il ragazzo triste, coi suoi denari che non valevano niente. Marina Corradi. Tempi. La mia Bologna è una città non reale, ho cominciato a raccontarla quando ero lontano, la odiavo tanto che non la guardavo, mi servirono 352 chilometri per vederla: era il ring dove andai due volte al tappeto, prima come jazzista poi come regista. La detesto e ne ho bisogno. Per Il papà di Giovanna ho chiesto agli scenografi di ricostruire a Cinecittà la mia casa d’infanzia, tale e quale, centimetro per centimetro. Sapevo che aprendo quella porta? Pupi Avati, regista. Michele Smargiassi. ilvenerdì. La differenza fra una squillo e una »signora per bene» è che questa costa di più e ti dà di meno. Roberto Gervaso. il Messaggero. Paolo Siepi, ItaliaOggi 27/3/2015