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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

OMBRE RUSSE SUI MORATTI

NON SOLO petrolio e sanzioni. A mettere in difficoltà l’economia russa c’è anche una sentenza
di cui finora si è parlato poco, ma che potrebbe far perdere a Mosca parecchi dei gioielli acquistati in giro per il mondo negli ultimi anni. Si tratta della decisione presa otto mesi fa dalla Corte permanente di arbitrato de l’Aia, in Olanda, che ha condannato il Cremlino a pagare una multa da 50 miliardi di dollari. Una marea di soldi - il 2,3 per cento del prodotto interno lordo russo - che secondo la Corte può essere recuperata confiscando i beni detenuti all’estero dalla Federazione. Per questo a tremare è soprattutto Rosneft: tra quelle controllate dal governo, la società guidata da Igor Sechin, ex capo del Kgb in Africa e vice premier fino a tre anni fa, vanta infatti il maggior numero di partecipazioni in aziende straniere. E tra le più importanti ci sono proprio le italiane Pirelli e Saras.
Per comprendere questa storia bisogna tornare all’estate scorsa. Il 18 luglio la Corte permanente di arbitrato de l’Aia, un organismo a cui aderiscono oltre cento nazioni tra cui la Russia, ha condannato Mosca a pagare la mega-multa agli azionisti di Yukos, ex gigante petrolifero un tempo controllato dall’oligarca Mikhail Khodorkovsky. Motivo della sanzione: nel 2005 il Cremlino avrebbe fatto fallire Yukos per fini politici (Khodorkovsky, già apertamente critico nei confronti di Vladimir Putin,
finì in carcere per evasione fiscale) svendendo poi le attività del gruppo a società pubbliche. Una in particolare: Rosneft. Che anche grazie a quei pozzi è diventata la prima compagnia al mondo per barili di petrolio estratti.
A gennaio di quest’anno Mosca è ricorsa in appello contro la condanna emessa a l’Aia. «In attesa della sentenza definitiva, però, noi abbiamo il diritto di confiscare i beni, infatti abbiamo già fatto domanda presso i tribunali di Usa, Regno Unito e Francia, a breve la faremo in Belgio e Germania ed entro la fine dell’anno in Italia», dice al telefono da Londra Tim Osborne, direttore della Gml, la società che difende i vecchi azionisti di Yukos. Puntate a prendervi anche le quote che Rosneft possiede in Saras e Pirelli? «Se sono detenute dal governo russo, certo che sì», risponde Osborne. Le parole utilizzate dall’avvocato inglese non sono casuali. Le architetture finanziarie scelte per entrare nel capitale di Saras e Pirelli potrebbero rivelarsi determinanti. Per confiscare quote di società private, i vecchi azionisti di Yukos devono infatti dimostrare che quelle azioni sono in mano al Cremlino. Per la Saras, la società sarda di raffinazione del greggio, non dovrebbe essere un grosso problema. Rosneft, che è controllata al 70 per cento dallo Stato russo, nel suo stesso bilancio dice di avere in portafoglio il 20,9 per cento del gruppo della famiglia Moratti. Nei conti del colosso petrolifero russo non c’è invece traccia di Pirelli. Già, perché la quota è in carico a Neftgarant, il fondo pensionistico complementare dei dipendenti di Rosneft. Confiscare quelle azioni vorrebbe dire toglierle ai lavoratori del gruppo o al Cremlino? Questione da dirimere in punto di diritto.
E forse non è casuale il fatto che questa sofisticata soluzione sia stata adottata per Pirelli ma non per Saras. L’entrata nel gruppo dei Moratti è avvenuta a metà del 2013, quando ancora la Russia godeva della fiducia di Europa e Stati Uniti. L’acquisto del pacchetto di controllo del gruppo della Bicocca porta invece un’altra data: “luglio 2014”. Il mese in cui la Corte internazionale ha emesso il suo verdetto da 50 miliardi di dollari.