Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 27/3/2015, 27 marzo 2015
YEMEN, UN PAESE POVERO IN POSIZIONE STRATEGICA
Se non fosse per la sua posizione strategica, lo Yemen non avrebbe raccolto una coalizione del mondo sunnita così compatta e agguerrita. Spalleggiata peraltro dai Paesi occidentali. Ma quando è in gioco il destino dello stretto da cui transita quasi il 40% di tutto il traffico marittimo mondiale allora le cose cambiano
Perchè se non fosse per questo, in pochi si sarebbero avventurati nel pantano yemenita. D’altronde lo Yemen si è guadagnato da decenni la nomea di Paese più povero e turbolento del mondo arabo. Ogni anno che passa, dai suoi pozzi - in esaurimento - fuoriesce sempre meno petrolio. Di armi, invece, ne ha sempre moltissime. Perché è un Paese teatro di lunghe guerre, dove comandano agguerrite tribù e clan. Ma anche dove al-Qaeda, scalzata dall’offensiva americana in Afghanistan, ha eletto da una decina di anni fa la sua “inviolabile” roccaforte.
Le cose però sono drammaticamente cambiate. I ribelli sciiti, e filoiraniani, degli Houthi, che un anno fa vivevano nella loro provincia nordoccidentale di Sadaa, hanno prima conquistato la capitale dello Yemen e negli ultimi giorni hanno preso Taiz e starebbero espugnando anche l’importante centro portuale di Aden, quasi davanti allo stretto di Bab al-Mandeb il braccio di mare, che mette in comunicazione il Mar Rosso con il Golfo di Aden (notoriamente infestato dai pirati somali), e quindi con l’Oceano indiano.
Al-Mandeb (in arabo “la porta delle lacrime”) riveste un’importanza strategica non solo per l’Arabia Saudita (le cui esportazioni marittime passano anche da qui) ma anche per altri Paesi. Come Israele, gli Usa, che hanno una base militare a Gibuti, e soprattutto l’Egitto. Per Il Cairo la porta delle lacrime, che dà accesso al canale di Suez, “è una linea rossa”. Anche il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, lo scorso 3 marzo, aveva espresso da New York preoccupazione per il porto israeliano di Eilat sul mar Rosso, facendo un chiaro riferimento alla minaccia posta dall’Iran anche in Yemen,
Insomma bloccare Bab al-Mandeb, ma anche usarlo come mezzo di pressione, significa bloccare il canale di Suez, con tutte le conseguenze che ne derivano. In questo scenario l’Iran si troverebbe a controllare sia la parte orientale dello Stretto di Hormuz (dall’altra c’è l’Oman), da cui transita il 30% del petrolio trasportato via mare. Sia la parte, sempre orientale, di Bab al-Mandeb (di fronte c’è il piccolo Gibuti), da cui transitano almeno 3,4 milioni barili ogni giorno. Un formidabile strumento di pressione diplomatica per condizionare i negoziati sul suo controverso dossier nucleare e per ridimensionare le ambizioni del suo nemico di sempre, Riad.
Uno strumento di pressione che nessuno vuole consegnare nelle mani degli Ayatollah.