Maurizio Ricci, repubblica.it 22/3/2015, 22 marzo 2015
IL NUOVO SPREAD DA TENERE D’OCCHIO È QUELLO TRA USA E GERMANIA
Non è vero che lo spread non conta più. Solo che il divario importante non è più quello fra i titoli di Stato italiani e il Bund tedesco. Lo spread da tenere d’occhio, infatti, ora è quello fra il Bund e il corrispondente titolo del Tesoro americano. Un anno fa, il T-bond a 2 anni rendeva 20 punti base in più del Bund equivalente. Oggi, lo spread è quadruplicato, 91 punti base, e investire sul Bund significa pagare, invece che incassare, perché il rendimento è negativo. Andamento quasi altrettanto marcato sui decennali. Un anno fa il titolo americano rendeva il 2,65 per cento contro l’1,54 del Bund: uno spread di 111 punti. Oggi, 1,94 per cento contro 0,19: lo spread è a 175 punti. Con questi rendimenti, è inevitabile che un flusso crescente di investimenti abbandoni l’Europa e si diriga in misura massiccia verso profitti più appetitosi. Lo spread Bund - Tbond ci dice cosa dobbiamo aspettarci per il cambio dell’euro.
Per ora, è l’effetto più vistoso del quantitative easing lanciato dalla Bce. Il dollaro si sta avvicinando verso la parità. Quanto può scendere ancora? Gli analisti accumulano le loro scommesse. Secondo Deutsche Bank, Crédit Suisse, Barclays e Citigroup ci si arriva entro fine anno. Per Morgan Stanley e Bnp a fine 2016. Ma la parità non è il limite. Deutsche Bank pronostica un euro a 0,90 a fine 2016 e a 0,85 nel 2017. Per Goldman Sachs è 0,85 già a fine 2016 e 0,80 un anno
dopo. In realtà, l’elemento chiave, ora che Draghi ha lanciato il Qe, è vedere quando la Fed comincerà effettivamente a tirare in senso opposto, alzando i tassi americani. Per ora si è limitata ad indicarne la possibilità. Ma i mercati ne stanno anticipando le mosse. Il risultato è che gli effetti del Qe sul cambio sono da subito più massicci di quanto si aspettassero gli strateghi di Francoforte e la situazione si sta ingarbugliando.
Lo scenario centrale prospettato dai tecnici della Bce appena agli inizi di marzo è di un cambio euro-dollaro a 1,13 ancora nel 2017, con una corrispondente inflazione europea all’1,8 per cento, in linea con l’obiettivo statutario della banca centrale. Lo scenario alternativo (meno probabile, secondo i tecnici) è di un cambio a 1,04 nel 2017, con un’inflazione ben sopra il 2 per cento. Il problema è che la realtà sta già facendo a pezzi anche lo scenario alternativo: al ritmo attuale, il cambio di 1,04 è già stato brevemente sfiorato questa settimana, due anni e mezzo prima del previsto, con conseguente impennarsi delle aspettative di inflazione. Ecco perché i rastrellamenti di titoli del Qe sono partiti solo da pochi giorni e già si levano alti i mugugni di tedeschi e olandesi.
Un’inflazione sopra il 2 per cento a livello europeo, infatti, è una media. Gli indici sarebbero più bassi nei paesi oggi in deflazione (come Italia e Spagna), ma in viaggio verso il 3 per cento, ad esempio, in Germania. In termini macroeconomici, sarebbe quello che da tempo si augurano molti economisti (Nomisma è tornata a dirlo l’altra settimana), perchè un’inflazione più veloce in Germania renderebbe più facili i recuperi di competitività da parte dei paesi più colpiti dalla crisi. Ma i tedeschi hanno sempre testardamente rifiutato di imboccare questa strada e ogni soprassalto di inflazione renderà sempre più virulenti gli attacchi alla linea Draghi.
Ci dobbiamo, dunque, aspettare acque agitate, nei prossimi mesi, nel board della Bce? Non è detto. Tutti, a cominciare dai mercati, danno ormai per scontato che, fra giugno e settembre, la Fed deciderà il rialzo dei tassi. Ma, negli Usa, il rafforzamento così brusco del dollaro sta suscitando dubbi e perplessità. Più di un economista sottolinea che la rivalutazione del dollaro, colpendo le esportazioni americane, rischia di pregiudicare una ripresa ancora non abbastanza solida. La Fed, insomma, potrebbe ripensarci, congelare il rialzo dei tassi. I mercati sarebbero spinti verso una marcia indietro sul dollaro, anche più precipitosa di quella in avanti di questi giorni e la palla verrebbe rilanciata in Europa.