Rolla Scolari, Panorama 26/3/2015, 26 marzo 2015
IL SENSO DI BIBI PER LA DIPLOMAZIA
Avrebbe fatto infuriare Barack Obama, imbarazzato l’Unione europea e rischierebbe l’isolamento internazionale. Prima del voto del 17 marzo, il premiere candidato Benjamin Netanyahu aveva dichiarato che non ci sarebbe stata una nazione palestinese durante un suo rinnovato mandato. Lo ha fatto in un (riuscito) tentativo di attrarre il voto della destra nazionalista per poi, a vittoria ottenuta, fare un passo indietro in un’intervista. Le sue parole sono rimaste come un marchio, mentre le cancellerie occidentali guardano con preoccupazione alla costruzione della sua coalizione: il Likud tesserà alleanze con la destra ultra-nazionalista e ultra-religiosa, poco incline ai compromessi sul conflitto con i palestinesi.
È l’isolamento il rischio che correrebbe oggi Netanyahu. Le sue parole hanno incrinato una già affaticata relazione con la Casa Bianca. Obama ci ha messo due giorni a congratularsi con l’alleato principale di Washington in Medio Oriente. Un portavoce ha detto che l’amministrazione americana rivaluterà la strada da percorrere dopo i commenti del premier. Funzionari anonimi hanno raccontato al New York Times che Washington potrebbe smettere d’usare il veto all’Onu sui tentativi dei palestinesi d’essere riconosciuti come Stato. E proprio dopo il voto, fonti della Casa Bianca hanno fornito informazioni al Wall Street Journal su un presunto spionaggio d’Israele nei colloqui tra la comunità internazionale e l’Iran sul nucleare. Il governo di Netanyahu ha subito smentito.
Ora tutto dipende da Netanyahu, dall’equilibrio politico del suo prossimo governo. Eppure, anche se qualcosa è cambiato nell’atteggiamento dell’America, è difficile pensare a una rottura. Obama, con il gran parlare che si è fatto degli attriti con Israele, è stato tra i presidenti americani che più hanno appoggiato lo Stato ebraico. L’isolamento non arriverà dall’Ue che dopo il voto, tramite la responsabile degli Esteri Federica Mogherini, si è limitata a dire che spera nel rilancio del processo di pace. «Per il momento» spiega a Panorama Sefy Hendler, docente dell’università di Tel Aviv, «Netanyahu non sembra curarsi di un possibile isolamento». E per Tal Schneider, blogger politica, «anche se l’America mettesse veti all’Onu, in Israele e nei Territori non cambierebbe nulla».
Il premier sa che la relazione con l’America è salda e tale resterà, anche perché i repubblicani che controllano Senato e Camera lo appoggiano. Lo speaker John Boehner sarà presto in Israele a sottolinearlo. Ma se anche si entrasse in un’era di screzi con Washington, Israele potrebbe guardare altrove. La Russia, che su molti dossier mediorientali non è in linea con Gerusalemme, è un alleato solido che condivide un robusto approccio contro il terrorismo internazionale. La Cina, interessata a espandere l’influenza in Medio oriente per questioni energetiche, ha trovato in Israele un partner commerciale e tecnologico. E l’antico nemico egiziano è ora amico nella lotta contro Hamas a Gaza e la minaccia jihadista in Sinai.
Rolla Scolari