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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

«CON UN APPUNTO SU UN TOVAGLIOLO È CAMBIATA LA STORIA DELLA BIOLOGIA»

Tutto cominciò una sera, dentro un baretto sulla spiaggia di Waikiki, mangiando panini al pastrami e bevendo birra gelata. «Ero andato ad un convegno organizzato dalla University of Hawaii, dove avevo incontrato Herb Boyer, che stava facendo esperimenti sull’enzima di restrizione EcoRi, molto utili alla mia ricerca. Era notte, avevamo fame, e andammo in un negozietto di delicatessen per mangiare un sandwich. Ci intendemmo subito, e buttammo giù il piano degli studi da condurre insieme sui tovagliolini di carta del bar».
Chi ci racconta l’episodio casuale che ha cambiato la biologia del Ventesimo secolo è Stanley Norman Cohen, considerato universalmente il padre dell’ingegneria genetica e degli Ogm. Oggi Cohen ha 80 anni, ma fa ancora ricerca alla Stanford University.
Perché finiste in quel bar?
«Io stavo studiando i batteri resistenti agli antibiotici, perché volevo trovare il modo di combatterli. Questa capacità di resistenza era contenuta nei plasmidi, piccoli cerchi di dna presenti all’interno del citoplasma. Per capire meglio il loro funzionamento quindi volevo clonarli, cioé isolarli e trasferirli in un altro batterio. Ma per riuscirci mi servivano gli enzimi di Herb, e quindi ci sedemmo al bar per parlarne».
Era il 1973: il vostro esperimento riuscì, e lungo la strada inventaste l’ingegneria genetica.
«Beh, non proprio. Dimostrammo che i geni potevano essere clonati e isolati. Quindi provammo che i geni delle cellule degli eucarioti potevano essere clonati nei batteri, e il Dna era trapiantabile e propagabile in specie diverse, anche in differenti regni biologici».
Erano le tecniche che avrebbero consentito la creazione degli organismi geneticamente modificati. Quando i vostri risultati furono resi noti alla Gordon Research Conference on Nucleic Acid, i colleghi scrissero alla National Academy of Sciences per chiedere una moratoria sugli esperimenti, e verificare se quello che stavate facendo era pericoloso. Come la prese?
«Fui d’accordo, era un dubbio ragionevole. Con le cose nuove è sempre così. Gli scienziati sono persone responsabili, e sanno di dover fare tutti i controlli prima ancora che qualcuno lo imponga dall’esterno. Trattavamo la resistenza agli antibiotici in batteri potenzialmente pericolosi per gli esseri umani, ci voleva cautela. Le verifiche però dimostrarono che non c’erano rischi, e oggi, con 40 anni di esperienza alle spalle, siamo certi della sicurezza di ciò che facciamo».
Appena l’università di Stanford capì la portata di quello che avevate inventato, vi chiese di registrare il brevetto, ma lei era scettico: perché?
«Non ero sicuro che potessimo rivendicare il merito di un risultato basato sul lavoro compiuto da molti colleghi nel corso di parecchi anni, e temevo che il patent bloccasse la ricerca degli altri. Niels Reimers, direttore dell’Office of Technology, mi assicurò che non sarebbe successo, e quindi accettai. Da quella domanda per il brevetto ricavarono 461 licenze».
Quarant’anni dopo, è soddisfatto dell’uso che è stato fatto della sua tecnica?
«Sì. Abbiamo aperto la porta a decine di studi, che sono serviti a migliorare i raccolti, l’allevamento, e in generale la salute degli uomini».
Eppure resta molta diffidenza nei confronti degli Ogm. Perché?
«È frutto dell’ignoranza. Gli oppositori più determinati sono in genere quelli che ne sanno di meno. La verità è che simili manipolazioni dei geni avvengono da secoli in natura, producendo raccolti e animali più utili all’uomo, senza rischi».
Quali sono le prospettive per il futuro degli Ogm?
«Il viaggio è appena cominciato. Quello che abbiamo visto finora è solo l’inizio, in tutti i settori dell’ingegneria genetica. Ci aspettano novità meravigliose».