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 2015  marzo 25 Mercoledì calendario

COSTANTINO DELLA GHERARDESCA

Sono in anticipo ma Costantino della Gherardesca lo è ancora di più. Lo trovo seduto nel ristorante dieci minuti abbondanti prima dell’orario concordato. È gentile, aperto, fa grandi sorrisi ma prima di dare alcune risposte complicate, le labbra gli si increspano e tremano impercettibilmente.
Parla di Tv. Del suo nuovo programma per aspiranti parrucchieri di cui è anche autore, Hair - Sfida all’ultimo taglio, dal 29 marzo su Real Time, «un format della Bbc, ma noi lo abbiamo “dilaniato”». Si diverte ad aggiungere definizioni: «Un talent sotto acido», uno show «sedizionista».
Parla anche di film. Parecchi semisconociuti, come Multiple Maniacs che gli ha ispirato l’astice tatuato sul suo braccio destro. Mentre sul sinistro ha un’aquila e Max von Sydow in Flash Gordon. «Li ho fatti da ragazzo, tra i 16 e i 19 anni», spiega.

Che cosa sapeva della Tv prima di essere chiamato a fare Chiambretti c’è nel 2001?
«I miei primi ricordi dell’infanzia hanno a che fare con la Tv: Rita Pavone, Raimondo Vianello, Bruno Vespa. È una passione, come la musica. I tifosi di calcio ricordano a memoria le formazioni, io so chi sono gli autori, quali show hanno scritto e così via».
Televisione a parte, qual è il suo primo ricordo da bambino?
«Sono nell’appartamento della famiglia di mia madre a Roma, ho 4 anni, mi hanno lasciato da solo con una vaschetta di gelato al cioccolato, me la sono mangiata tutta e mi sono sentito male. Quella casa la dovemmo lasciare qualche anno dopo. All’epoca, i miei parenti avevano ancora parecchi soldi. Ma, nel giro di poco, persero tutto».
Come?
«Dissipato. Mio zio e mia mamma si erano divertiti molto negli anni ’60-70. Ma in un certo senso è stato meglio così: ho dovuto cominciare a lavorare appena finita l’università. È stata la mia salvezza».
In che senso?
«Una persona con problemi psichiatrici come me per forza di cose si dà alla droga. E se hai una famiglia ricca alle spalle, finisci per farti di eroina e cocaina fino alla fine dei tuoi giorni».
Quali problemi psichiatrici?
«Generalized Anxiety Disorder e altri disturbi come l’agorafobia. Devo stare attentissimo a tenerli sotto controllo con farmaci, stile e ritmi di vita, un certo numero di ore di sonno».
Quando le hanno diagnosticato questi problemi?
«Ero un bambino problematico, volevo stare sempre da solo e mi venivano attacchi d’ansia quando si trattava di andare in luoghi pubblici – una cosa che mi è rimasta, odio le feste, odio socializzare –, ma allora non si parlava di questo genere di disturbi. E, poi, mi hanno mandato in collegio in Svizzera molto presto, a nove anni».
Quindi?
«La prima volta che ho visto una psicologa avrò avuto 12-13 anni. Avevo dato fuoco alle tende. Ma il periodo peggiore cominciò a 14 quando mi trasferirono in un collegio di destra, molto severo, in Inghilterra. Capirono subito che ero omosessuale e mi punivano continuamente. Una volta mi fecero correre nella neve fino a “ustionarmi” le piante dei piedi. Per fortuna la presi di petto. Scappavo a Parigi da amici e lì ne facevamo di cotte e di crude: droga, acidi. E ho continuato anche quando, due anni dopo, mi hanno trasferito in un altro collegio, molto di sinistra. Ci si droga per anestetizzarsi. La verità è che fai casini terribili».
Di che tipo?
«Sono stato ricoverato ovunque: ospedali psichiatrici, comunità, centri di recupero. Per disturbi psichiatrici e per droga».
E come ne è uscito?
«Quando tocchi il fondo e non hai una famiglia che ti può sostenere economicamente, o ti tiri fuori o muori. Il punto più basso è stato il ricovero in una comunità psichiatrica dove ero finito per questioni anche di droga. Ero ancora un ragazzino e mi somministravano neurolettici molto forti. È per quello che sono diventato grasso. Eppure, in tutto ciò, sono riuscito miracolosamente a laurearmi e, dopo, ho cominciato a lavorare. All’inizio scrivendo per riviste».
A fine gennaio ha compiuto 38 anni, ha trovato un equilibrio, il lavoro va bene. È tempo di mettere su famiglia?
«Questo è un concetto molto interessante. Per me mettere su famiglia vuol dire soprattutto tutelare, crescere e dare un’educazione a un bambino. Non sono contrario alle nozze per i gay ma credo che poter adottare un figlio sia più importante del diritto al matrimonio. E considero ingiusto che oggi per i gay sia più facile diventare genitori grazie a un utero in affitto».
Se potesse lo farebbe?
«Immagino che qualcuno possa avere perplessità sul fatto che uno con problemi psichiatrici possa occuparsi di un figlio. Ma ho visitato alcune case famiglia per bambini senza genitori o maltrattati e le garantisco che sarebbe molto meglio avere una casa, la possibilità di studiare e, nel mio caso, cinque dottori a disposizione. Credo che potrebbe essere felice. Quindi la risposta è: sì, lo farei».