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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

MA LA SICUREZZA NON È «LOW COST»

Tariffe low cost, sicurezza completa. Lo schianto dell’aereo Germanwings sulle Alpi francesi non incrina un dato di fatto confortato dai numeri: i voli a basso costo sono affidabili quanto le linee offerte dalle compagnie più blasonate. Ma in generale, dove e quanto si investe sulla sicurezza aerea? Un focus dell’Aita, l’Air International Transportation Association, ha quantificato le spese dirette di manutenzione nel 2013 di 48 vettori internazionali: un campione di 3.779 velivoli, pari al 16% delle flotte mondiali e composto per lo più di Boeing (53%) e gli stessi Airbus (37%). Il risultato parla di 13,1 miliardi di dollari destinati ai “maintenance cost”, con una forbice compresa tra un minimo di 1,5 milioni di dollari e un massimo di 1,9 miliardi di dollari l’anno. L’equivalente di 1.167 dollari per ogni ora di volo e 3,1 milioni di dollari per singolo aereo, distribuiti tra una grossa fetta di spese ingegneristiche (42%) e di componenti (23%).
Pietro Carlo Cacciabue, professore di Sicurezza del trasporto aereo al Politecnico di Milano, spiega che ci sono alcune «voci fondamentali» quando si controlla la sicurezza di un velivolo. «Anzitutto l’addestramento, tecnico e non tecnico – dice Cacciabue - . Mai sottovalutare quello non tecnico: le forme di addestramento alla safety richiedono che, ogni due anni, il personale faccia dei corsi di aggiornamento sulla sicurezza».
In ballo ci sono vincoli come il Safety Management System (Sms), il sistema di gestione della sicurezza che deve essere sviluppato a livello aziendale per soddisfare le richieste normative dell’Enac (Ente Nazionale Aviazione Civile). Senza dimenticare il reporting, la stesura di un rapporto che dovrebbe scattare per qualsiasi «evento di non conformità» che si registri ad alta quota. Più semplice a parole che a fatti, vista la mole di informazioni che possono scaricarsi sulle società di maggiore dimensione: «Non è facile perché richiede un lavoro di dati – sottolinea Cacciabue -. Un’azienda piccola avrà tre o quattro eventi l’anno di non conformità, mentre un’azienda come Alitalia - che fa 300mila voli l’anno - ne ha molti di più da tenere in considerazione. Se si confrontano gli aeroporti di Fiumicino e Bergamo, il risultato è identico».
Altro snodo: i pezzi di ricambio. La stessa indagine Aita ha rilevato che le spese per spare parts inventory - il magazzino dei ricambi - di 35 delle 48 compagnie aree rispondenti è costato 11,13 miliardi di dollari. In proporzione, mezzo miliardo di dollari in più dei 10,61 miliardi di dollari destinati dalle stesse compagnie ai “semplici” lavori di manutenzione. «Quella è una voce importantissima, perché dove le le compagnie potrebbero risparmiare è nell’uso di pezzi non certificati. Ma è una cosa che possiamo escludere per i voli che usiamo noi, in Italia» dice Cacciabue. Senza differenze tra compagnie di bandiera e gli “autobus del cielo” che collegano tratte come Milano-Londra a meno di 20 euro: «Le low cost che usiamo noi non utilizzano trucchetti e non sono inferiori alle altre società, se si parla di sicurezza – ribadisce Cacciabue -. Il “basso costo” si esprime su altro: determinati servizi, velocità di ricambio dei voli e altri fattori che non c’entrano con il controllo». La tragedia di Germanwings ha rimesso in moto un vecchio dibattito, l’aggiornamento delle scatole nere. Possibile che nell’era dell’iper-connessione non ci siano strumenti di controllo svincolati dal recupero fisico dei dispositivi presenti a bordo? «Credo che il primo passo sia quello di inserire il video, anche se al momento ci sono delle opposizioni. Se invece si parla di sistemi di comunicazione in tempo reale, bisogna lavorare e si sta già lavorando».
Alberto Magnani