Giuliano Ferrara, L’Europeo: Cronaca nera, n.4 2006 - anno V, 25 marzo 2015
L’ANARCHICO DI POTERE
Il nome di Michele Sindona si aggiunge in calce a una lunga lista di fantasmi del presente e di spettrali presenze del nostro futuro: il grande uomo politico, il giudice, il generale, il commissario, il giornalista, l’anarchico, il sindacalista, l’agente segreto, il liquidatore giudiziario, il banchiere incivilito, il finanziere selvaggio. Un paesaggio omicida e suicida, peccatore e maligno, che sta a metà tra una tela di Jan Bruegel e un fumetto della serie Kriminal.
Eppure, lo sgomento dinanzi al mistero di una morte eccellente è edulcorato da coincidenze sorprendenti e addirittura grottesche. Sindona, che giocava al rialzo, muore in un momento di straordinaria euforia della Borsa, in un Paese che celebra i ludi dell’economia cartacea mettendo l’investimento in titoli alla portata dell’inquilino della porta accanto.
Chi era Sindona? Di un solo fatto si può star certi: il mistero della sua morte è nulla in confronto al mistero della sua vita. Del veleno enzimatico che gli ha tolto l’ossigeno all’ora del breakfast non sapremo mai nulla, molto probabilmente; ma è certo che ancora non sappiamo nulla, o quasi nulla, degli enzimi che procurarono ossigeno, credito, attendibilità alla sua carriera di finanziere.
Come e perché si è disfatto il banchiere che aveva conquistato la piazza di Milano, poi responsabile del più grande crack finanziario della storia degli Stati Uniti? C’è un Sindona sporco, il mafioso, il trafficante di stupefacenti, l’erogatore e custode di fondi neri, il mandante, di cui si sa o si presume di sapere quasi tutto. E un Sindona pulito, l’austero intrigante, il consigliere di tutti i poteri, celesti e terreni, il salvatore della lira di cui s’è perso perfino il ricordo.
Si può credere a storie e favole, fatte per sfumare le une nelle altre e per confondere verità e menzogne, certezza logica e sortilegio dell’immaginazione. Vale piuttosto la pena di chiederci che Italia fosse quella in cui giunse al suo apice l’irresistibile carriera del cittadino Michele Sindona.
Era l’inizio degli anni Settanta, l’economia del boom passò la staffetta all’economia della crisi. Seguirono anni che, a vederli di lontano, assomigliano molto a una sorta di capitalismo di guerra. In assenza di uno straccio di governo l’economia e la politica, la cultura e il linguaggio, le consorterie e gli individui presero a governarsi da soli, rendendosi sempre meno governabili. L’agonia del centrosinistra sprigionava energie che il lungo abbraccio consociativo non riuscì in qualche modo a legittimare. Fu in quel tempo che cominciò a essere distillato, su scala industriale, quel flusso di veleno una cui piccola dose, meno di cento milligrammi, ha chiuso gli occhi, le orecchie e la bocca di Michele Sindona.
Di sicuro c’è solo che uno Stato senza potere, titolare di un supercarcere infiltrato dal cianuro, della morte di Sindona non saprà renderci conto. Che ci renda conto, almeno, della sua vita.
Giuliano Ferrara - Europeo 1986 n. 13