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 2015  marzo 01 Domenica calendario

VALENTINO L’ANTAGONISTA


I riccioli biondi; la scritta “The Doctor” colorata, lettere alfabetiche che ricordano il pongo, i giochi per bambini; le narici che si dilatano quando sta per perdere la pazienza, mani sull’orecchino, sul casco, sul sedere, ogni volta che va via; quell’inchino aggrappato alla pedana destra per partire, la gamba da saltatore in alto, a scavalcare la moto, per tornare. E poi, adesivi, la cura maniacale ribadita nel silenzio di un box notturno, la testa che si muove, su e giù durante l’ascolto, le parole pronte, una risata che esplode, gli amici, sempre quelli. Goliardia e ferocia.
Valentino Rossi manifesta con naturalezza un repertorio noto. È il suo, non muta. Contiene e preserva un tesoro raro ed enorme, ciò che gli permette, ad anni 36, di correre dentro un altro Mondiale, un’altra stagione, un’altra sfida, da protagonista, da candidato al titolo 2015. Un candidato clamorosamente credibile. Ciò che autorizza ciascuno di noi a far crescere altre aspettative, nuove pretese. Come fu in un tempo remoto, come è stato per un’intera epoca.
Non c’è nulla di casuale, dentro questa avventura all’apparenza infinita. Valentino è magro, integro, in forma. Pronto. Palestra e cura, un talento spaventoso, ovviamente. E poi una configurazione mentale cocciutamente aderente al contesto dentro il quale muoversi, agire, osare. Rossi tiene in forma soprattutto il suo approccio all’agonismo, qualcosa che profuma ancora di adolescenza, che alimenta – insieme ad una foga agonistica sprovvista di concessioni – la voglia di giocare, di battersi giocando. Nelle espressioni e nei gesti fanciulleschi sta gran parte di ciò che arriva come conseguenza puntuale. Il desiderio di lottare, afferrato e coltivato, perché lottare costituisce un punto di orgoglio. Esattamente come accadeva al Valentino diciottenne, ventiduenne, trentenne. Ogni giro, ogni corsa, ogni gara, come una provocazione raccolta da un bambino cocciuto. Certo di sapere come fare, autenticamente convinto di farcela, alla fine, contando su se stesso. Su una strepitosa intensità interiore, profumata di fresco. In molti, soprattutto durante gli anni cupi con Ducati (2011-2012), lo avevano dato per disperso. Non senza una fregola da amanti incontentabili, da nemici finalmente gratificati. Macché. Rossi ha levato una marcia, ha ripreso i giri giusti, ha costretto se stesso a tornare in un banco di scuola. Uno stile diverso, una fiducia nell’anteriore perduta e riconquistata a forza, una serie di movimenti da acquisire dentro le pieghe di un tracciato, di un Mondiale. Il risultato è qui, sotto gli occhi di chi osserva senza preconcetti. Un campione ritrovato, un uomo capace di migliorare di nuovo, con l’umiltà, la tenacia e l’intensità di un ragazzino. Del resto, stiamo parlando di una persona fuori taglia. Capace di darsi da fare in una cucina, in un museo, in un ufficio, con la sicurezza di chi otterrà un qualche risultato comunque. Manca la competenza? Mancano gli ingredienti? I documenti? Non importa. Valentino ci prova, si impegna, ce la fa. Un’attitudine comparsa addirittura durante l’infanzia, quando il suo babbo, Graziano, invece di porsi come autorità paterna, domandava a lui, a quel figlio ancora piccino, come diavolo fare per aprire una scatola, montare una bici, salire sopra una lunga scala ritorta. Responsabilità consegnate all’alba, in totale naturalezza. Abbastanza per liberare ogni genere di azzardo, abbinato a un’intelligenza brillantissima, a un divertimento, appunto, mai frustrato, punito, mortificato.
Chi conosce Rossi da molti anni descrive un adolescente sovralimentato, una specie di turbo perennemente in azione, e poi un giovane pilota dotatissimo, quindi un campione in grado di accumulare motivazioni e idee giocose in pianta stabile. Il tutto abbinato a una riservatezza che rappresenta il lato meno conosciuto di Valentino ma altrettanto prezioso. A pochi millimetri dalla luce, Rossi frequenta la propria ombra, dentro alla quale risiede un patrimonio assolutamente utile, dove attingere nei momenti di solitudine, quando l’acustica comprende il suono ovattato del motore e il respiro dentro il casco soltanto, quando viene la notte e – sul tardi, ovviamente – arriva il momento della riflessione. Quando, in sostanza, Valentino fa i conti con se stesso, applicando una dedizione speculare. Non c’è davvero nulla di fortuito nel percorso, sia per quanto possiamo osservare noi tutti, cercando di stargli dietro in pista, sia per quanto può vedere lui stesso e basta, rovistando nella propria anima. Per questo, una corsa che pare infinita e che produrrà probabilmente altri capitoli eclatanti in un futuro prossimo o remoto. «Vorrei fare il pilota per sempre» dice, probabilmente pensa talvolta per davvero. In realtà, Rossi sa benissimo di avere a che fare con una continua mutazione, da gestire in parallelo ai muscoli del corpo, al desiderio di giocare correndo. Non per niente si è messo a fare da babbo lui stesso, con attorno un branco di ragazzini da motociclismo. Non per niente accenna a una fase successiva, dentro la quale dovrà imparare di nuovo, mantenendo il suo 46 applicato da qualche parte, la luce del sorriso e l’ombra, appunto, che quel sorriso rilascia.
Ci sono 9 titoli mondiali conquistati tra il 1997 e il 2009, roba da accontentare e accontentarsi in via definitiva. C’è un vuoto nell’albo d’oro che dura da cinque stagioni. Ci sono avversari diversi, ragazzini terrificanti e dotati. C’è Marc Márquez che per molti versi gli somiglia, nelle declinazioni del talento soprattutto, molto meno nell’approccio alle cose del mondo. Il panorama potrebbe produrre un atteggiamento da pancia sazia, visto che Rossi ha viaggiato senza sosta su un’onda maestosa, regalando a se stesso, a tutti noi, una abbuffata di gioia, un’infinità di domeniche felici. Invece, chiunque bazzichi il motociclismo, ha atteso e attende un rilancio, un’altra festa, battendo i pugni addirittura, come se nulla fosse accaduto, come se si trattasse di un diritto da pubblico pagante. L’atteggiamento può sembrare frutto di una ingratitudine esorbitante. In realtà, nasce da Valentino anche quello. Perché proprio Rossi lo alimenta manifestando fame e sete, ancora, figuriamoci un po’, cosa importa l’anagrafe, un decimo di ritardo, il ghigno da Joker di Márquez. C’è un’altra figura inquadrata nel suo mirino. Márquez sembrava lontano, come un camoscio in cima all’Adamello. Adesso, a furia di arrancare e poi di salire con quel passo tipico, suo, ha l’odore dell’altro nel naso. E quando così accade, Rossi vola, attacca, azzanna. Ferocia, come detto, una forza smisurata. La stessa che gli ha permesso di esaltare una libidine intima e poi collettiva. Biaggi e Gibernau; Stoner, Lorenzo e Pedrosa. Marc Márquez, ora. Avversari degni. Prede da studiare, pedinare, agguantare, abbattere, dopo qualche giro di giostra, s’intende, a strettissimo contatto. È identica la determinazione, la tecnica da predatore, raffinata da una esperienza complessa, vitaminizzata dalla passione permanente per la caccia. Paradossalmente, Rossi ha a che fare ora con l’avversario più ostico. Un ragazzo all’apparenza imprendibile per chiunque. Eppure, Valentino appare come l’unico antagonista possibile. Protagonista potenziale e atteso di un dualismo, peraltro vitale per la salute del Motomondiale, di un movimento che a Rossi dovrebbe versare alimenti milionari per l’eternità; che, senza Rossi, pare un festival di campioni spagnoli, bravi, intendiamoci, ma indietro chilometri, anni luce, da quel brio, quell’argento vivo, quella ferocissima tenerezza, che il biondo porta, ostenta, regala, diffonde dappertutto. Il fatto è che non si tratta, semplicemente, di una aspettativa popolare. È proprio Rossi a manifestarla per primo, a lanciare un’altra sfida, come se fosse alle prese di un capitolo nuovo ed eccitante, preparato con cura e da un pezzo. Un’altra tappa, ma sì, dentro un’avventura in fin dei conti, appena cominciata.

Giorgio Terruzzi
Giornalista, dirigente sportivo e sceneggiatore italiano. Ha lavorato a Matrix e collabora con Il Corriere della Sera. Il suo ultimo libro è Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna (66thand2nd 2014). @giorgioterruzzi