Paolo Siepi, ItaliaOggi 25/3/2015, 25 marzo 2015
PERISCOPIO – «C’era troppa violenza nella politica, per questo ho scelto di fare lo storico». Paolo Prodi, storico, fratello di Romano (Antonio Gnoli)
PERISCOPIO – «C’era troppa violenza nella politica, per questo ho scelto di fare lo storico». Paolo Prodi, storico, fratello di Romano (Antonio Gnoli). la Repubblica. La minoranza del Pd finalmente ha trovato un nome unificante. «Non podemos». Jena. La Stampa. (mfimage) Non dirò una parola contro Silvio Berlusconi. Oggi sarebbe facile, ma io ho lavorato bene con Berlusconi. Mi stupisce soltanto che stia ancora a far politica. Josè Louis Zapatero, ex premier spagnolo, socialista. Francesco Olivo. La Stampa. Essere accusati di arroganza da Massimo D’Alema è peggio che essere accusati di infedeltà da Casanova. Matteo Ricchetti, renziano. la Repubblica. Vladimir Putin e la sua democrazia autoritaria godono di simpatie estese in Europa occidentale. È un fatto che può apparire sorprendente (come può piacere un regime simile?) ma non lo è. Le cause principali sono due: il diffuso antiamericanismo e l’attrazione che esercita su segmenti assai rilevanti dell’opinione pubblica europea l’uomo forte, il capo «dotato di attributi». Angelo Panebianco. Sette. Se mi nominassero ministro dei beni culturali farei queste tre cose. Primo: aprire quella scuola di formazione per dirigenti che l’Italia non ha mai avuto. Secondo: scatenare un piano europeo di restauro del Meridione, ma attenzione che sia europeo, perché il Sud va sottratto alla sua classe dirigente. Terzo: scegliere due musei, diciamo Brera e il Sistema museale fiorentino, e usarli come laboratorio di una grande riforma. Philippe Daverio. Critico d’arte. La Stampa. Lo Stato, in Italia, è nato dopo il 1860 dagli infetti detriti del governo borbonico, di quello pontificio, e dello Stato piemontese, che non era, si badi, in fatto di libertà e di giustizia, superiore al Regno delle Due Sicilie: per Cesare Cantù, anzi, lo Stato piemontese era più retrogrado di quello borbonico, non soltanto perché era un compromesso fra lo spirito militare di casa e lo spirito gesuitico, ma perché, fino alla vigilia del 1848, vi sussistevano ancor quei tribunali ecclesiastici, che in tutti gli altri Stati italiani, fuorché, naturalmente, in quello pontificio, erano stati da tempo aboliti. 1954. Curzio Malaparte, Battibecchi. Shakespeare and Company. La nomina di Alfio Russo alla direzione del Corriere della Sera era stata come una sassata nello stagno missiroliano. Sotto la precedente direzione di Mario Missiroli, strano giornalista che odiava il giornalismo, il Corriere aveva conosciuto infatti uno dei periodi più grigi e più smorti nella sua vita secolare. Anzitutto il giornalista perfetto, secondo Missiroli, non doveva procurare grane superflue al suo direttore. Punto primo, doveva esorcizzare le notizie come fossero calunnie stregate, evitandole con l’elegante agilità di un torero che sfugge alle cornate di un toro indemoniato dal furore. Il suo ideale stilistico era l’articolo di fondo che lui stesso vergava solennemente per la domenica e in cui non si riusciva a distinguere bene l’oggetto reale, ovattato com’era di balsami lenitivi, spalmati da un capoverso all’altro per dire nulla o, al massimo, per celare sotto l’omelia elusiva, i lividi delle situazioni più scabrose. Non a caso, una delle tante famose massime di Missiroli era che solo le notizie vere andavano smentite, quelle false no. Enzo Bettiza, Via Solferino. Rizzoli, 1982. Quelli, nel 1600, erano tempi in cui i ricchi malati all’ultimo stadio si curavano con i frullati di perle. A Lorenzo il Magnifico fu propinata polvere di diamanti, smeraldi, topazi e rubini, cosicché schiattò a 42 anni per un blocco renale. Piero Leoni, il medico curante, fu trovato morto in un pozzo. Antonio Corvi, farmacista (Stefano Lorenzetto). Il Giornale. Sono sempre e comunque rimasto sardo, con l’anima dei quattro Mori che sventolano e una terra che mi porto del cuore anche se mi ha deluso, mi delude, mi fa soffrire. Gavino Sanna, pubblicitario. Il Giornale (Gabriele Villa). Rivedo i nostri pomeriggi domenicali al cinema parrocchiale, la sala che era palestra e teatro: gli attrezzi ginnici erano spinti contro il muro, e, al loro posto, allineate le panche di legno. Trenta centesimi l’ingresso, a patto che si avesse il tagliandino rosa distribuito a messa e a dottrina. Ricordo l’odore di chiuso, le caramella alla menta, la voce gracchiante del primo cinema sonoro, i film di avventura, gli eroi di una Hollywood paleolitica. Nantas Salvalaggio, Rio dei pensieri. Mondadori, 1980. Guardo scaricare i bagagli del nostro gruppo al New Stanley di Nairobi. Non si direbbe che è gente che viene in Africa a un cosiddetto safari fotografico, ma va a Montecarlo per una serie di serate allo Sporting Club. Nenella Tozzi, titolare di una agenzia turistica di Nairobi, me lo conferma: «Basta guardare il numero di valigie scaricate da un aereo, per capire se è un charter di italiani: quando sono qui scoprono che basta una maglietta e un paio di calzoni e così si rovinano dieci giorni di vacanza tirandosi dietro enormi valige sempre chiuse». Luca Goldoni, È gradito l’abito scuro. Mondadori, 1972. Ho captato, al di là della grossa tela da tenda, nel deserto di Alamein, una conversazione interregionale tra due ricoverati. Dice una voce siciliana: «U’ sbaggiu, lo sbaglio, fu di abbandonare la direzione superiore della guerra a un caporale di birsagghieri vestuto da premo maresciallo dell’empero, assestèto da uno stato maggiure che sempre dèce: sessegnuri». Risponde una voce milanese: « E cosa l’è che avresti fatto te, invece?». «Io avessi pigghiato u’ cummnedaturi Brambilla Ambrogio, de Melano, paesanazzo tuo, e gli avessi ditto: commendaturi beddu, la nazeone affeda a vossia l’appalto di condurre la guerra, a due o trecento meleoni u’ ghijorno». «Com’è, com’è, chi l’è, questo Brambilla? Sul nostro libro del telefono ce ne sono almeno dieci pagine a tre colonne l’una, e di Ambrogi ce ne sono almeno due colonne, e te podet sta quiett che una buona metà sono commendatori: commendator dottor Ambrogio, commendator ragionier Ambrogio, dottor, ingegner professor commendator Ambrogio e inscì discorrendo». «Che serve scegliere», conclude il siciliano, «uno qualunque sempre megghiu di iddu sarà». Paolo Caccia Dominioni, Alamein. Longanesi, 1966. Matteo Renzi recita bene una parte, il cui copione è dettato da Bruxelles. Ha promesso agli italiani la luna, e piove a dirotto. Roberto Gervaso. Il Messaggero. Paolo Siepi, ItaliaOggi 25/3/2015