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 2015  marzo 25 Mercoledì calendario

CAVALCATA AVVENTUROSA, CON MARIO ANDREOSE, FRA AUTORI E LIBRI CON LA CONVINZIONE CHE NON SI LEGGE PER IMPARARE MA PER DIVERTIRSI

Uomini e libri del grande direttore editoriale Mario Andreose (Bompiani 2015, pp. 259, 11,00 euro, ebook 6,99 euro) non è solo un memoir dall’interno delle case editrici italiane né una semplice antologia di pezzi d’occasione e brevi saggi critici.
È piuttosto un voyage extraordinaire, à la Jules Verne, nelle isole misteriose, sotto i mari, nelle Indie nere e attraverso il sistema solare della nostra storia editoriale.
Andreose (che ha lavorato nelle case editrici per tutta una vita onorata, a suo agio con i classici come con i best seller d’una sola stagione, con gli autori e con le loro opere) naturalmente non fa che parlare di libri.
Sono il suo mestiere e la sua passione. Ma non ne parla leccandosi le labbra, come un feticista, e nemmeno con la brutale arroganza dei parvenus della cultura, che si pavoneggiano nei talk show perché hanno letto tre romanzetti da quattro soldi, o perché ne hanno scritto uno da due soldi.
Andreose, giudicandolo da come racconta William Faulkner oppure Albert Camus, Elsa Morante o Gesualdo Bufalino, ha l’aria di conoscere il segreto dei segreti: che non si legge per imparare ma per divertirsi.
Qualcuno, è vero, scrive per insegnare qualcosa, ma tutta la letteratura, come ha detto Borges da qualche parte, è letteratura fantastica: i romanzi del Graal e le prediche di Giovanni Calvino, lo Spirito Assoluto hegeliano e i Sette Nani di Walt Disney, Topolino e la Nausea di Sartre, gli Hobbit e l’Übermensch, il superuomo.
Andreose racconta i libri che ha letto, gli editori che ha conosciuto, gli scrittori dei quali è stato amico con affetto e piacere, a volte con commozione, però mai con il cipiglio cespuglioso degl’intellettuali da burletta, ospiti di Che tempo fa? o peggio, quando pronunciano, rendendosi ridicoli, la parola «cultura».
Racconta il primo incontro di Valentino Bompiani con Alberto Moravia alla fine degli anni venti e la fine del loro lungo sodalizio: le 6 righe 6 che l’autore concede all’editore nella sua distratta autobiografia, dettata ad Alain Elkann poco prima di morire.
Racconta i giorni gloriosi del Saggiatore d’Alberto Mondadori, le disavventure di Giorgio De Chirico a Venezia, il fascino ambiguo e inquietante di Patricia Highsmith (ho letto da qualche parte che da giovane arrivava ai party con una borsa piena di lumache, «i miei animali da compagnia», come li chiamava lei) e una storia per aneddoti e fotocolor delle fiere librarie, la modesta proposta di Woody Allen che pretendeva una colletta planetaria di 25 milioni di dollari per scrivere le proprie memorie, la riscoperta d’Irène Némirowsky all’inizio del millennio, l’histoire della stesura del Nome della rosa, l’incontro mancato tra Milos Forman (il regista di Amadeus e di Qualcuno volò sul nido del cuculo) con Gesualdo Bufalino e quello di Quentin Tarantino con Santuario di Faulkner, il love affair di Simone Weil con la Chiesa cattolica, il Diario d’André Gide, la grande avventura di Luciano Foà e dell’Adelphi, i cataloghi delle mostre di Palazzo Grassi, Sciascia che approda nei classici Bompiani.
Tutto ciò non è solo storia della letteratura (parte in pantofole, parte in frac). È letteratura, a tutti gli effetti pratici. Saggio e romanzo insieme, Uomini e libri vale almeno quanto i libri di cui si occupa.
Per un lettore compulsivo (tra i quali m’annovero, ma poteva andarmi peggio, avrei potuto nascere agente di borsa, filatelico, oppure scientologo) come per un lettore occasionale Uomini e libri è un libro indispensabile. Mica perché risparmi la fatica di leggere i libri di cui racconta storia naturale e retropalchi. Ma perché li rende più appetibili, belli o brutti che siano. Ed ecco, dunque, un altro segreto che Mario Andreose ha l’aria di conoscere: che son tutti buoni a leggere solo libri belli, e che bisogna (almeno un po’) amare l’orrido.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 25/3/2015