Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 25/3/2015, 25 marzo 2015
UN’ALTRA VOLTA IN ISRAELE, FRA LE ÈLITE GASATE DALLA PROPAGANDA ANCHE STRANIERA E IL POPOLO, HA VINTO (FORTUNATAMENTE) IL POPOLO
Un tempo, le elezioni che si tenevano in Occidente erano, per me. momento di eccitazione (i miei preferiti? Perdevano sempre), dopo la Grande Crisi è subentrata la sfiducia. Il voto popolare conta sempre meno, le organizzazioni sovranazionali che ci governano (i nostri Premier sono ormai podestà forestieri in Patria) fanno esclusivamente gli interessi dei loro azionisti, per nulla occulti, ma altri. Che in Usa vincano i democratici o i repubblicani poco cambia (dopo Reagan, si sono alternate leadership inette, i due Bush, Clinton, Obama, banali figurine di un album di personaggi del gossip politico). Lo stesso dicasi in UK fra laburisti e conservatori, o in Francia fra Hollande e Sarkozy, non parliamo dell’Italia, con l’accoppiata imbarazzante di un giovane e di un vecchio che non sai neppure come definire.
Seguo invece con affetto i due ultimi Paesi ancora «liberali», la Svizzera (ci abito pure) e Israele. Entrambi danno garanzie: avendo una legge elettorale proporzionale (garanzia di rappresentanza, un gradino sopra la governabilità) la sera delle elezioni, chi ha vinto deve darsi da fare per trovare una maggioranza (altro che pensare di governare senza opposizione per 5 anni, facendo ogni genere di sconcezze, in nome di ridicoli programmi elettorali, costruiti solo per le urne, ma infattibili, vedi Tsipras). La Svizzera è la più attrezzata, qua il rapporto «pesi-contrappesi» è perfetto: il popolo dispone pure dell’arma atomica del Referendum. Israele, vivendo fin dalla nascita sull’orlo del baratro, ha chiarissimo chi sono i suoi nemici (sarebbero anche nostri), un popolo che deve difendersi, da vicini che dichiarano pubblicamente che vogliono distruggerlo, l’Iran con l’atomica, l’Isis sgozzandoli uno a uno, meriterebbe ben altro, da noi occidentali; da vigliacchi ci nascondiamo giocando sulle parole antisemitismo e sionismo.
Stante la mia età, l’Israele di cui mi innamorai a vent’anni coincise con l’epopea della sua nascita, seguendo l’autarchico «è l’aratro che traccia il solco, è la spada che lo difende». Costoro erano al contempo contadini e soldati, in gran parte ashkenaziti, cioè arrivati dall’Europa nord-orientale, seguiti dai sefarditi (di ceppo spagnolo), da sempre considerati i parenti poveri dei primi, creando così il bipolarismo destra povera-sinistra colta, e ricca. Gli ashkenaziti possedevano una intelligenza superiore, una capacità di lavoro mostruosa, grandi valori umani, uniti a una visione messianica della vita, poterono così creare lo Stato «tecnicamente perfetto», da loro sognato. Lo fecero crescere, lo difesero con coraggio, lo consolidarono con una pace strategica (Sadat): Israele divenne una potenza politico-economica di prima fascia.
Gli ashkenaziti si identificarono con l’aristocrazia del Paese, al solito, figli e nipoti non furono all’altezza, non erano della stessa tempra. In questi casi, per nascondere la verità sul loro languore, si dice «sono una generazione cosmopolita», in realtà sono individui chiacchieroni, molti scrivono, inadatti per mantenere indipendente un Paese circondato da tagliagole variamente mascherati. Divennero «Classe Dominante» in base allo status, non al merito, si identificarono con i democrat americani e i giacobini europei. Per come ragionano, scrivono, parlano, è difficile distinguerli.
In occasione delle elezioni di marzo, costoro, e la grande «mafia» liberal americana pensarono che il resto di Israele fosse come Kfar Shamaryahu o come Tel Aviv, e che gli israeliani si fossero stufati dell’impresentabile Netanyahu. Puntarono allora sul languido Herzog, fu supportato dall’establishment, dai giornali, dalle Tv. I media liberal euro-americani si associarono per demolire Netanyahu, raccontandoci un sacco di bugie, in realtà nei suoi consolati, il reddito degli israeliani è cresciuto più di qualsiasi Paese europeo, attira capitali, produce posti di lavoro qualificati, la disoccupazione è ai minimi. Persino i mitici istituti demoscopici israeliani, sedotti dalle chiacchiere di Obama, che confonde spesso i suoi osceni desideri con la realtà, hanno clamorosamente toppato.
Le elezioni hanno dimostrato ancora una volta la superiorità del popolo rispetto alle élite. Obama, furibondo per le scelte degli elettori, è arrivato al punto di non distinguere il suo ruolo dal suo odio personale verso l’impresentabile Netanyahu (una specie di Salvini del deserto): vorrebbe punire Israele non usando il diritto di veto all’Onu a sua favore. Se lo facesse davvero, sarebbe un miserabile. In futuro, la partita fra l’aristocrazia e il popolo si giocherà, come ovvio, sulla demografia, l’attuale milione e mezzo di nazionalisti religiosi e di ultraortodossi raddoppieranno di numero, mentre l’aristocrazia laica, configurata secondo il nostro modello di sviluppo/suicidio «due genitori-un cane-un bambino» (puppies) scomparirà in una nuvola di cipria (cfr. Report Università Haifa: «Nel 2030 i partiti religiosi saranno maggioranza»).
Perché dovremmo interessarci di più del futuro di Israele? Perché è l’avamposto dell’Occidente nel corpaccione del nostro nemico mortale. Questi ha in corso un processo di radicale ristrutturazione e di riposizionamento strategico, di cui noi tendiamo a osservare solo gli aspetti televisivamente più crudeli, trascurando quelli economici, culturali, religiosi, militari ben più profondi. Nel processo in corso i tagliagole dell’Isis passeranno, ma il disegno strategico resterà, ed evolverà. Non sappiamo come.
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 25/3/2015