Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 25 Mercoledì calendario

PERCHÉ IL TAGLIADEBITO È MEGLIO DELLA BAD BANK

Nuova puntata della nota commedia all’Italiana, in cui sono co-protagonisti lo Stato e le banche. Stavolta si scambiano di ruolo: lo Stato dovrebbe tornare a recitare la parte del salvatore, più pudicamente definito «agevolatore» del mercato. Il termine bad bank, con riferimento alla montagna di sofferenze che obera i bilanci viene bandito dal copione, ma la sostanza non cambia. Della questione si è occupato in febbraio anche il Fmi, che ha dedicato all’Italia un breve quanto poco innovativo working paper, volto a individuare una strategia per la creazione di mercato dei non-performing loans. La questione è molto rilevante, visto che le sofferenze lorde sono passate dai 107 miliardi di euro del 2011 ai 185 miliardi di gennaio scorso, con un incremento del 73%. Considerando anche gli scaduti e i ristrutturati, la percentuale sul pil è passata da meno del 5% del 2007 a circa il 18% del 2014: arriviamo a quasi 300 miliardi di euro. Comunque la si consideri, è una enormità.
Come già accadde all’inizio della crisi, nel 2009 e poi nel 2012, ai tempi dei Tremonti e poi dei Monti bond. Sono passati tre anni, e l’intervento statale torna a far comodo.
Manon è chiaro, ancora, come lo Stato dovrebbe intervenire. Non basta affermare, come fa il working paper del Fmi, che le sofferenze sono concentrate nel segmento delle imprese e nel Mezzogiorno. Nell’articolo «Chi è incagliato e chi no», pubblicato sul numero di Milano Finanza in edicola questa settimana, è stato messo in luce che a dicembre scorso, su un totale di 146 miliardi di sofferenze di pertinenza del settore produttivo, l’intera industria manifatturiera presentava sofferenze lorde per 36 miliardi rispetto ai 210 miliardi di prestiti erogati (17%). Invece, il comparto delle costruzioni presentava sofferenze per 39 miliardi rispetto ai 154 miliardi di prestiti erogati (25%), quello immobiliare sofferenze per 18 miliardi rispetto ai 119 miliardi di prestiti erogati (15%). Infine, il comparto del commercio e della riparazione di autoveicoli aveva sofferenze per 25 miliardi rispetto ai 142 miliardi di prestiti erogati (16%). La somma delle sofferenze nei comparti legati ai settori della casa e dell’auto è di 82 miliardi di euro, mentre tutto il resto del sistema produttivo nazionale ne ha accumulate per 64 miliardi.
Più di un terzo delle sofferenze bancarie (57 miliardi sui 146 miliardi) è quindi riferito ai settori legati al mondo della edilizia e dell’immobiliare: un primo intervento pubblico, comunque non definito formalmente come un sostegno al settore bancario, è passato già con il decreto legge 47/2014, recante Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015. Con le disposizioni relative alla edilizia residenziale sociale si destinano fondi pubblici alla agevolazione dell’alloggio sociale: probabilmente vengono usate così costruzioni invendute. È un modo indiretto per sollevare le banche ed i costruttori dai crediti in sofferenza.
C’è ancora troppo fumo. Bisogna essere più precisi, innanzitutto sulla gestione contabile e fiscale delle sofferenze e della cessione dei non performing loans. Quando si effettua una rettifica, il write-down o il write-off di un credito ammalorato iscritto a bilancio, si determina una perdita contabile che incide sui profitti dell’anno e che verrà scomputata fiscalmente su più anni, attualmente cinque. Tutta questa procedura prudenziale non ha niente a che vedere né con le garanzie sottostanti al credito così svalutato, né con il prezzo a cui potrebbe essere venduto, pro-soluto. Se il prezzo di cessione del non performing loan fosse superiore alla rettifica apportata, per la banca ci sarebbe una sopravvenienza attiva. Occorre un quadro chiaro, prima di porre mano a qualsiasi iniziativa pubblica di agevolazione nel settore delle sofferenze bancarie, nel settore immobiliare o per i crediti alle imprese: non vorremmo che, alla fine, i cittadini si trovino a pagare non solo le tasse sulle case di loro proprietà, ma anche quelle necessarie all’acquisto delle case invendute al fine di far rientrare le banche nei crediti concessi ai costruttori e agli immobiliaristi.
Non solo lo Stato ha già una quantità smisurata di proprietà immobiliari sottoutilizzate e le pubbliche amministrazioni pagano affitti di mercato per diverse centinaia di milioni di euro, ma si arriverebbe a un intervento «facilitatore» con cui gli si accolla l’invenduto immobiliare ed i capannoni dati in garanzia per i prestiti alle imprese. Sarebbe un esito paradossale: invece di mettere a reddito l’immenso patrimonio immobiliare pubblico esistente, conferendolo in un apposito fondo patrimoniale e ridurre così il debito pubblico, lo Stato ne potrebbe accumulare dell’altro. Oppure, offrire la propria garanzia ad un nuovo carrozzone. Forse è per questo che il debito pubblico italiano è arrivato così in alto, e continuerà a crescere ancora. All’Italia non serve una bad bank. Ci basta il bad State.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 25/3/2015