Giordano Tedoldi, Libero 25/3/2015, 25 marzo 2015
VA A FUOCO L’AMORE DI UNA VITA. LEI MUORE, LUI NON SI FA SALVARE
Finché morte non vi separi, recita la formula nuziale pronunciata dal sacerdote, e così è accaduto, dopo una lunghissima vita in comune, per Antonio Casassa di 87 anni e Maria Luigina Gai di 81, marito e moglie, deceduti nella notte tra lunedì e martedì nell’incendio del loro appartamento torinese in via Balestrieri, dove vivevano da cinquant’anni.
Le fiamme si sono probabilmente prodotte per un cortocircuito, e i vicini hanno sentito Antonio urlare. Ma fatalmente non sono intervenuti con tempestività, perché l’anziano spesso invocava aiuto quando la moglie, che stentava a reggersi in piedi, cadeva senza riuscire poi a rialzarsi. Anche in quella circostanza i vicini hanno pensato che Maria Luigina fosse caduta, non certo che si fosse sprigionato un incendio.
E solo quando uno dei vicini ha aperto con una scheda telefonica la porta degli anziani coniugi, e si è introdotto in camera da letto, si è accorto della tragedia.
Maria Luigina era sul letto, avvolta dalle fiamme e dal fumo nero. Come ha riferito con sconsolata semplicità il suocero dell’uomo che ha tentato invano il salvataggio: «Era già mezza bruciata». Ma Antonio era ancora vivo, benché sconvolto. In passato diceva che, se fosse morta la moglie, se ne sarebbe andato anche lui. Non al punto di non poter più stare in piedi, come la moglie, ma anche Antonio, data l’età, aveva i suoi acciacchi: i progressivi morsi dell’artrosi. Veniva una donna a ore ad aiutarli, ma lui diceva che se ne sarebbe andato volentieri in un ricovero, se non fosse che lì, aveva paura di essere in qualche modo separato da sua moglie, di perdere quell’intimità, quel legame che durava da mezzo secolo. Insomma, aveva paura di sentirsi solo, perché per lui l’unica compagnia possibile era quella di Maria Luigina. Un ricovero non è casa propria, nonostante tutte le cure e l’assistenza cui si ha diritto.
Alle quattro del mattino di martedì, il presagio di Antonio si era avverato: le fiamme gli avevano portato via Maria Luigina. E quindi sapeva perfettamente che cosa gli restava di fare. Non certo farsi salvare, no, per vivere come, dopo? Quegli ultimi sgoccioli di esistenza che non aveva voluto trascorrere in un ricovero, pur con tutti i sacrifici e le scomodità che quella rinuncia comportava, non li avrebbe certo consumati adesso in quel luogo freddo e asettico, dopo la morte della moglie nel rogo. La condivisione doveva essere assoluta, gli stessi luoghi e lo stesso destino. E lo stesso modo di morire. Non c’era da vivere un minuto di più, e nell’agitazione ha saputo esattamente cosa fare.
Così, quando il soccorritore è uscito dall’appartamento divorato dalle fiamme e invaso dal fumo, per prendere aria sul pianerottolo, poi non è più riuscito a rientrare, com’era sua intenzione. Senza dire una parola, Antonio gli ha sbattuto la porta in faccia e si è chiuso dentro. Nessuno avrebbe dovuto rischiare la vita per tentare di liberarlo dalle fiamme, perché non se lo sarebbe mai perdonato. Quando sono arrivati i pompieri, anche Antonio era «bruciato».
È un avvenimento terribile per il dolore, per la fatalità con cui i soccorsi sono intervenuti con un ritardo forse decisivo, però viene anche da pensare che Antonio e Maria Luigina se ne sono andati dopo una lunga esistenza che dev’essere stata speciale, se lui ha voluto morire così, in un’unione quasi rituale andando verso la fiamma, anziché giacendo nei letti sorvegliati e accuditi di una casa di cura, magari separati, magari ignorando che uno dei due già se n’è andato, vivendo senza lucidità la fine della loro storia insieme e delle loro vite.
Chissà se Maria Luigina si è accorta che stava per finire tutto, e se ha dubitato che suo marito potesse sopravviverle. Pensiamo di no. Pensiamo che sapesse che non l’avrebbe abbandonata nemmeno stavolta, mentre tutto bruciava.