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 2015  marzo 25 Mercoledì calendario

ARTICOLI SULLE LOW COST DAI GIORNALI DI MERCOLEDI’ 25 MARZO 2015


GIANNI DRAGONI, IL SOLE 24 ORE -
Una compagnia targata Lufthansa, ma con stipendi più bassi per i piloti e costi inferiori del 20 per cento. Questa è Germanwings, controllata al 100% dal grande vettore tedesco. Ma questo non è sufficiente per competere con le low e i vertici vogliono tagliare i costi di un altro 10-15 per cento.
Questo piano, che Lufthansa vorrebbe realizzare travasando parte dei voli in una nuova entità, con il marchio Eurowings, è stato bloccato dall’opposizione dei piloti, che hanno fatto 15 giorni di sciopero l’anno scorso. «Il nostro obiettivo è portare Eurowings allo stesso livello di easyJet», aveva detto l’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, l’8 dicembre scorso.
Adesso questo progetto controverso dovrà confrontarsi anche con il dramma dell’incidente _ le cause sono ancora sconosciute _ dell’aereo Germanwings caduto ieri in Francia, che ha causato 150 morti. Il velivolo, un Airbus 320 del 1991, con 24 anni di servizio è uno dei più vecchi della flotta del gruppo. Ed è anche molto più vecchio della norma benché ufficialmente rientri nei limiti considerati di sicurezza, purché la manutenzione sia accurata.
Basta ricordare che, secondo i dati del sito Airfleets.net, la flotta di Lufthansa ha un’età media di 11,2 anni, quella di British Airways 12,4 anni, Air France 11,2, Klm 10,7, Alitalia 9, Turkish Airlines 7.
L’ossessione delle low cost sui cieli d’Europa _ il mercato nel quale queste compagnie sono più diffuse _ è un incubo per i vettori tradizionali. Secondo dati Ecac citati da AirlineProfiler, le compagnie a basse tariffe hanno raggiunto una quota di mercato del 32% in Europa nel 2013, rispetto al 17% nel 2005, nel mondo la loro quota è del 23 per cento. Secondo dati più recenti di fonte Oag, le low cost in Europa hanno una quota di mercato del 36 per cento.
Tutti ormai cercano di farsi una low cost in casa e di concentrarsi sui voli intercontinentali, sui quali _ per ora _ non è arrivata la concorrenza dei voli a basse tariffe fatti da compagnie con personale non sindacalizzato e dalla produttività spinta al massimo.
Lufthansa ha trasferito a Germanwings i voli in Europa che non alimentano le basi aeroportuali per voli intercontinentali (hub) di Francoforte e Monaco. Con Eurowings verrebbe fatto un altro passo, per offrire voli low cost a breve e anche a lungo raggio, verso destinazioni turistiche. Già dalla fine di quest’anno dovrebbero partire voli low cost per Florida, Africa meridionale e Oceano indiano. I voli verrebbero fatti da una compagnia turca, la SunExpress, di cui Lufthansa possiede metà del capitale, l’altra metà è di Turkish Airlines, la compagnia che insieme alle tigri del Golfo (Emirates, Etihad, Qatar Airways) è in più forte crescita anche sullo scacchiere europeo. I vettori del Medio Oriente sono l’altro corno del dilemma che affligge le compagnie europee.
L’altro tentativo di un vettore tradizionale di creare una low cost in casa, quello di Air France attraverso Transavia, è stato stoppato dai piloti. Il terzo grande gruppo europeo, Iag che fa da ombrello a British Airways e Iberia, che al momento presenta i migliori risultati economico-finanziari in Europa, grazie anche alla ripresa economica in Gran Bretagna, ha sviluppato una low cost gioiellino, la spagnola Vueling. Il vettore guidato da Alex Cruz ha conquistato quote di mercato anche in Italia, occupa molti spazi lasciati liberi da Alitalia, la cui attività è sempre più ridimensionata, anche nella nuova versione targata Etihad. Vueling lancia la sfida anche alle due prime della classe nelle low cost europee, Ryanair e easyJet.
Qatar Airways di recente ha comprato il 10% di Iag e questo ha rimescolato le carte in Europa. Con questa mossa Qatar ha neutralizzato la lobby di British Airways contro l’aggressività delle compagnie del Medio Oriente in Europa. Già dall’anno scorso l’a.d. di Iag, Willie Walsh, non protestava più contro i presunti sussidi pubblici a favore delle tre compagnie del Golfo, solo Lufthansa e Air France-Klm portano avanti questa battagli a a Bruxelles. Adesso si sono aggiunte le contestazioni dei maggiori vettori americani, Delta, United e American Airlines in un dossier sostengono che le tre compagnie del Golfo hanno ricevuto 38 miliardi di dolalri di aiuti dai loro governi, Etihad è accusata di aver beneficiato di 17 miliardi di sussidi. Accuse respinte, ma è il segno che la guerra nei cieli è in una nuova fase e che il “nemico” dei vettori tradizionali non sono più (solo) le low cost.
Che intanto cominciano a pensare di andare all’attacco sui voli a lungo raggio. Norwegian Air Shuttle ha cominciato nel 2013 voli da Londra a New York con il nuovo Dreamliner Boeing 787. Per ora l’iniziativa è in perdita, Norwegian è finita in rosso nel 2014 per 1,1 miliardi di corone (133 milioni di dollari). Ma anche Ryanair sta pianificando di fare voli tra l’Europa e gli Stati Uniti.
Il decollo avverrà quando sarà disponibile l’aereo adatto, la scelta di Michael O’Leary sarebbe tra Boeing 787 e Airbus 350, la partenza potrebbe avvenire tra 4-5 anni. Per competere occorrono aerei e soprattutto nuovi. Non è un caso che i vettori che crescono di più siano quelli con le flotte più giovani. La flotta di Ryanair ha 6,3 anni di età media, easyJet è sui 5 anni, Emirates 6,4, Etihad e Qatar 5 anni e mezzo. Meno di un quarto degli anni dell’Airbus 320 caduto ieri in Francia con 150 morti.

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CORINNA DE CESARE, CORRIERE DELLA SERA -
Un pilota, che preferisce restare anonimo, riassume la faccenda così: «Guardi in faccia i comandanti delle compagnie di linea e quelli delle low cost. Nel primo caso hanno dai 40 anni in su, nel secondo le può capitare di vedere al comando sbarbatelli di appena 30 anni». Che sia o meno così, l’incidente di Germanwings ha di colpo ispessito la grande cappa di dubbi, domande, perplessità sulla sicurezza dei voli a buon mercato che dagli anni Novanta hanno reso accessibili i cieli europei a tutte le tasche.
Da Milano a Londra, da Roma a Parigi, da Dublino a Madrid, i low cost, da Ryanair a Easyjet, sono stati i voli della generazione Erasmus, quelli con pochi euro in tasca ma necessità di spostarsi da un Paese all’altro per tornare a casa. Ma anche i voli delle famiglie che per la prima volta hanno raggiunto le grandi capitali d’Europa senza spendere un patrimonio. Tante le aziende che negli ultimi tempi, in era di spending review, utilizzano ormai con frequenza i voli a basso costo per i viaggi d’affari tanto che le compagnie si sono ormai attrezzate offrendo pacchetti ad hoc.
Il fenomeno
Era il 1987 quando un signore irlandese fu mandato da Tony Ryan a studiare il modello di business della Southwest Airlines, un vettore che da Dallas era riuscito a infrangere il dominio delle grandi compagnie di linea sul mercato statunitense. Quel signore, Michael O’Leary, è da più di vent’anni al comando di Ryanair, la low cost per eccellenza, arrivata a collegare 189 destinazioni in 30 Paesi e a trasportare ormai 82 milioni di passeggeri. Una low cost che in poco più di vent’anni ha contribuito a stravolgere tutto il business dei voli, ha lanciato tratte a zero sterline usando aeroporti secondari e usufruendo spesso anche di incentivi pubblici finiti più volte sotto inchiesta.
È così che la piccola irlandese «no frills» (senza fronzoli), approfittando anche della deregolamentazione degli anni Novanta, è riuscita con il tempo a mettere in difficoltà i grandi vettori, quelli che si facevano disegnare dagli stilisti le divise del personale di bordo ma che continuavano a non ad adattarsi ai cambiamenti dei passeggeri. Che richiedevano soprattutto una cosa: biglietti meno cari.
In questo modo le low cost sono arrivate a rappresentare ormai il 25% del mercato dell’aviazione commerciale civile e non è un caso che una compagnia forte come Lufthansa, quotata alla Borsa di Francoforte e con una capitalizzazione di mercato di 6,2 miliardi di euro, abbia deciso nel 2008 di comprare Germanwings decidendo poi, nel dicembre 2012, di affidarle gradualmente tutte le operazioni di volo a corto e medio raggio dalle basi tedesche (a eccezione delle basi di Monaco e Francoforte). Basta simulare una prenotazione sul sito Internet di Lufthansa per notare subito che la compagnia aerea assegna in automatico anche tratte operate da Germanwings.
La basso costo sui generis
Al low cost la compagnia tedesca ci crede così tanto che a fine 2014 il consiglio di amministrazione ha approvato il progetto «Wings» che prepara a offrire voli transatlantici a prezzi bassi. Cambiamenti e riorganizzazioni mal digeriti dai 5.400 piloti di Lufthansa, che da mesi continuano a scioperare contro la riorganizzazione e i trasferimenti di personale al ramo basso costo, con possibili riduzioni di stipendi del 20%. Eppure, dagli addetti ai lavori, Germanwings è considerata una low cost sui generis: «Fa parte del gruppo tedesco — conferma la nostra fonte — e il processo di selezione dei piloti è identico a quello dei piloti Lufthansa. Che è duro, complesso anche più degli altri perché prevede un esame, il Dlr, che è uno scoglio davvero difficile da superare. Entrare nelle scuole di volo Lufthansa è una missione difficile».
La sicurezza
Ma l’incidente aereo sulle Alpi ripropone ora con urgenza un tema, quello della sicurezza. Come fanno le compagnie low cost a garantire tariffe così basse? Ryanair è stata più volte, in passato, accusata di risparmiare sul carburante e sul personale. Accuse da cui il vettore irlandese si è sempre difeso con tutti i mezzi. Secondo un’inchiesta pubblicata nel 2013 dal settimanale The Economist i risparmi operativi delle low cost derivano in realtà da voci di bilancio diverse: riduzione delle poltrone vuote, taglio dei servizi a bordo e pagamento di tutti i servizi extra. Nessuna menzione alla sicurezza, questione che più preoccupa in questo momento i passeggeri low cost. In realtà le operazioni di manutenzione e delle operazioni di volo sono uguali in tutta Europa, scolpite da una serie di regolamenti europei che valgono per tutte le compagnie, che siano o meno a basso costo.
«Quello che cambia tra le compagnie di linea e le low cost sono i contratti di lavoro — spiega ancora il pilota — noi prendiamo in media fra i 5 mila e 9 mila euro al mese ma so di comandanti low cost che vengono retribuiti anche 120 euro per ogni ora di volo. I costi di gestione dei voli sono alti, un’ora di volo può costare dai 7 mila ai 10 mila euro tra carburante, tasse di atterraggio, sorvolo, gestione del landing. Non so come facciano a coprire le spese».
Quel che è certo è che dei 20 peggiori disastri aerei avvenuti nei cieli statunitensi, solo due hanno visto coinvolti voli a basso costo. In Europa, prima del disastro della Germanwings, c’erano stati lo schianto di un volo charter della compagnia cipriota privata Helios Airways in Grecia, sulle montagne a nord di Maratona e Varnavas, il 14 agosto 2005 (121 morti) e quello di un velivolo MD-82 della Spanair subito dopo il decollo dallo scalo Barajas di Madrid, il 20 agosto 2008 (154 morti).
Gli effetti della nuova sciagura europea, nell’era del low cost, potrebbero essere pesanti.

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ETTORE LIVINI, LA REPUBBLICA -
L’aereo, l’Airbus A320, è uno dei più sicuri della storia dell’aviazione civile, con un tasso d’incidenti pari a 0,08 volte su un milione. La compagnia — la Germanwings, controllata al 100% dalla Lufthansa — aveva fino a ieri sette stelle su sette (il massimo) nella classifica sulla sicurezza di Airlines Rating, una sorta di Vangelo del settore. La tragedia del volo 4U9525 in servizio tra Barcellona e Dusseldorf è avvenuta in uno dei fazzoletti di cielo più monitorati d’Europa. Eppure, in attesa che scatole nere e inchieste raccontino cos’è successo davvero a bordo, i primi processi sommari hanno messo sul banco degli imputati il tradizionale capro espiatorio del settore: le compagnie low cost. Colpevoli, è il mantra dei critici, di aver ridotto all’osso le spese di gestione a scapito della tranquillità dei passeggeri.
Puntare il dito, a caldo, è facile. Germanwings e il velivolo caduto in Provenza, applicando le teorie lombrosiane al trasporto aereo, sono candidati ideali a finire alla sbarra: l’aerolinea tedesca è uno delle più vecchie realtà a basso prezzo del vecchio continente, a suo modo un pioniere del settore. E l’Airbus schiantato al suolo aveva quasi 25 anni e 58.313 ore di volo d’onorato servizio sulle ali.
La realtà e i numeri però, dicono gli esperti, raccontano tutta un’altra storia. Le regole dei cieli — primo fatto — sono uguali per tutti: controlli, manutenzioni e limiti a orari di valgono per qualsiasi compagnia, indipendentemente dal costo cui vende i biglietti ai passeggeri Non solo: da quando le low cost hanno conquistato i cieli d’Europa (oggi gestiscono circa il 32% dei decolli) il numero di incidenti, anziché aumentare, è diminuito. «Anzi, spesso sono loro che hanno i risultati migliori quando i nostri tecnici effettuano ispezioni a sorpresa per controllare il rispetto delle norme», racconta Fabio Nicolai, direttore centrale delle attività aeronautiche dell’Ente nazionale dell’aviazione civile (Enac).
Le vecchie glorie dei cieli — spiazzate da un modello di business che utilizza gli aerei 11 ore al giorno contro le loro 9 e opera con costi inferiori del 30% — sono sul piede di guerra: «I nostri rivali a basso prezzo spremono gli equipaggi — tuonano — e volano utilizzando fino al limite tutti i margini disponibili, risparmiando persino sulla quantità di carburante che mettono nei serbatoi». Salvo poi copiarli paro-paro lanciando marchi low-cost interni: Transavia per Air France, Vueling per British, Air One per Alitalia e Germanwings per Lufthansa. Strategia che ha mandato su tutte le furie (e in sciopero) i loro piloti.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i due mondi stanno convergendo. Nel 2006 il costo per posto al miglio di un’aerolinea tradizionale era di 9,2 centesimi e quello di Ryanair & C. di 5,7. Ora la forbice si è stretta a 9,3 cen- tesimi contro 6,8. La verità è che il modello delle low-cost — per ora solo sul breve-medio raggio — è vincente. I servizi su queste tratte tendono ormai a equivalersi. I vettori a basso costo hanno iniziato ad assegnare i posti a bordo e a offrire una prima spartanissima forma di business class. Ma con biglietti che costano in media il 35% in meno di quelli dei concorrenti. I big hanno dovuto adeguarsi facendo buon viso a cattiva sorte. E pure le autorità di controllo della sicurezza hanno provveduto a rimodulare i controlli alla nuova mappa economica dei cieli. Prendiamo le manutenzioni: ogni aereo, non importa che nome ha pitturato sulla livrea, deve superarne una verifica pre-volo del comandante e degli addetti di rampa da completare con analisi più profonde e dettagliare ogni 150 ore di utilizzo. Poi ci sono i servizi in hangar: uno stop ogni sei mesi di un paio di giorni per un tagliando completo e — ogni due anni — la cosiddetta “heavy maintenance” dove un jet viene smontato fino all’ultimo rivetto per verificarne l’affidabilità. Vale per la Lufthansa ma vale pure per la Germanwings. L’European aviation safety agency effettua migliaia di verifiche a sorpresa — 800 in Italia lo scorso anno — su oltre 150 indicatori di bordo (dall’usura dei pneumatici, alla pulizia del vano carrelli fino alle perdite d’olio) senza guardare in faccia nessuno. E anche in questo campo — dicono all’Easa — i risultati delle low cost dei paesi avanzati non hanno niente da invidiare a quelli dei rivali.
Il prossimo capitolo, con buona pace dei detrattori del genere, sono i voli a basso prezzo a lungo raggio: Wow Air e Norwegian hanno iniziato a offrire viaggi a cifre da saldo sulle tratte transatlantiche. Pure Ryanair, tra qualche goe molti stop, ci sta pensando. E nessuno si fascia la testa in modo preventivo: l’aereo, anche se oggi è difficile ricordarlo, resta in ogni caso di gran lunga il mezzo di trasporto meno pericoloso. Il rischio di morire (dati del dipartimento ai trasporti Usa) è 3mila volte più alto per la moto, 100 per auto e camion e doppio per il treno.

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PAOLO STEFANATO, IL GIORNALE -
Eppure l’aereo è il mezzo di trasporto più sicuro del mondo, più del treno, più dell’automobile. Ogni catastrofe rischia di offuscare con l’emozione questa certezza, che la ragione deve invece tenere ben salda. I numeri sono la prova. Nel 2014 hanno volato circa 3,3 miliardi di persone in tutto il mondo; i morti sono stati 641, un morto ogni 5,147 milioni di passeggeri. La fonte è la Iata, l’associazione alla quale aderiscono le principali 250 compagnie commerciali del mondo. Lo scorso anno, dal punto di vista della sicurezza è risultato il migliore nella storia dell’aviazione: il numero dei morti è stato superiore alla media degli ultimi anni (517 morti nel quinquennio 2009-2013) ma il numero di incidenti è stato nettamente inferiore, 12 nel 2014 contro i 19 della media dei cinque anni (le statistiche 2014 non tengono conto dei 298 morti sull’aereo della Malaysian airlines, che è stato abbattuto da un missile in Ucraina, fatto che non viene classificato come «incidente»). Sempre secondo i dati forniti dalla Iata, l’anno scorso c’è stato un incidente ogni 4,34 milioni di voli.
Ieri le agenzie hanno battuto la notizia che l’incidente all’Airbus di Germanwings è il primo disastro aereo che riguarda un volo low cost. Attenzione però a non cadere in inganno. Le compagnie low cost costituiscono una categoria commerciale, non un settore aeronautico a sé. In altre parole, un volo a bassi costi e a basso prezzo deve corrispondere a tutte le strettissime regole del trasporto aereo, esattamente come qualunque compagnia tradizionale di linea. È sbagliato pensare che le low cost risparmino sulle manutenzioni o sugli standard di sicurezza: devono essere in regola come i concorrenti. Le autorità di controllo in tutti i Paesi evoluti sono molto efficienti; e quando un Paese terzo non dà sufficienti garanzie di affidabilità, gli altri compilano delle «liste nere» impedendo a chi non rispetta gli standard di sicurezza di atterrare sul proprio suolo. La sicurezza naturalmente si materializza in una lunghissima serie di adempimenti, che comprendono le certificazioni ai progetti, ai costruttori, alle compagnie, alla formazione del personale; vengono certificati anche i sistemi di controllo del traffico aereo, gli aeroporti, le singole piste (per le quali è stabilito persino il peso per metro quadrati che possono sostenere). La sicurezza poi riguarda - come tutti sanno - le procedure d’imbarco, i controlli sui passeggeri e sui bagagli, molto più stringenti dopo il 2001.
La Iata nel 2003 ha creato un istituto, lo Iosa, che stabilisce gli standard ai quali le compagnie devono attenersi per la gestione e il mantenimento della flotta. Il risultato è che le compagnie controllate dalla Iata hanno la metà degli incidenti rispetto alle altre.
Infine, ieri si è detto che l’Airbus 320 precipitato era stato immatricolato nel 1990, inducendo a pensare che fosse «vecchio». Anche qui, una precisazione: le norme internazionali non stabiliscono limiti di età, ma solo regole di efficienza alle quali un velivolo deve attenersi. Non contano gli anni, ma l’usura: esce di mercato solo quando le manutenzioni diventano troppo onerose, o quando la sua sostituzione con un aereo nuovo diventa più conveniente sotto il profilo economico.

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CLAUDIO ANTONELLI, LIBERO -
Piano a dare giudizi. Un conto è l’emozione. Un conto è l’ascolto che numeri. I quali dicono che è sbagliato dare la colpa alle low cost. L’anno scorso sono morte in incidenti aerei 992 persone. Dei 22 aerei coinvolti uno solo apparteneva a una low cost, l’AirAsia, precipitato a fine dicembre. Nei tre anni precedenti nessun altro vettore a basso costo è stato protagonista di un dramma nei cieli, eppure si sono verificate ben 84 tragedie. Ci tornano alla memoria i due velivoli della Malaysia Airlines. Quello scomparso nell’oceano Indiano che conteneva 239 passeggeri, mentre quello abbattuto sui cieli dell’Ucraina ne ha ammazzati 298. Hanno rappresentato due eventi mediatici eccezionali, così come il disastro di ieri che colpirà a lungo la nostra memoria. Si tratta, infatti, della prima low cost europea a schiantarsi al suolo. Ma puntare il dito contro comparto «no frills» (senza fronzoli, ndr) è ingiustificato. Pur rappresentando ormai il 25% del traffico globale, la percentuale ricoperta nella statistica degli incidenti è almeno 10 volte inferiore. Nei 20 peggiori disastri aerei avvenuti nei cieli statunitensi solo due hanno visto coinvolti voli low cost. Ancora: l’irlandese Ryanair e la britannica EasyJet, entrambe low cost, secondo una ricerca del sito Airlinesrating.com, si attestano rispettivamente al 32esimo e 17esimo posto nella speciale classifica delle compagnie più sicure al mondo. Un’inchiesta pubblicata nel 2013 dall’Economist, inoltre, ha rivelato come i tagli e i risparmi delle aziende low cost (quelli che poi determinano il prezzo ridotto dei biglietti) derivino da voci di bilancio diverse da quelle relative alla sicurezza. Cosa che per di più non sarebbe concessa dalla legge. Il nome originario «no frills» stava a spiegare proprio la scelta di eliminare i servizi accessori al voli. I pasti, il catering e lo champagne. Trend che adesso ha coinvolto pure tutte le altre compagnie, comprese quelle di bandiera. Inoltre, le compagnie a basso costo hanno un’altra statistica a proprio favore: sono proprietarie di una flotta mediamente più giovane rispetto alle concorrenti che volano a tariffa piena. Cosa che di per sé va comunque inquadrata in un panorama più vasto. L’età media di un velivolo non è certamente paragonabile a quella di altri mezzi di trasporto. L’Airbus precipitato aveva effettuato il suo primo volo nel 1990 ed era stato successivamente acquistato da Lufthansa, che lo aveva utilizzato la prima volta il 6 febbraio del 1991. Il primo gennaio 2014 la Lufthansa lo aveva poi passato alla Germanwings, secondo una prassi abituale per i suoi aerei più vecchi. In tutto aveva accumulato circa 58.300 ore di volo nel corso di circa 46.700 voli. E di fatto si può tranquillamente inserire dentro il perimetro di sicurezza. Gli A 320 vivono tranquillamente 25-27 anni. Da che esistono si sono alzati da terra ben 88 milioni di volte e nella loro carriera, dal 1988, hanno registrato solo 11 incidenti mortali. Insomma, a dire che è successo al volo di Germanwings saranno i periti. Nulla toglierà però ai meriti e al ruolo che le low cost hanno avuto nel cambiare il mondo dell’aviazione. Nell’aprirlo a persone, classi sociali e fasce d’età che fino a un decennio fa potevano approcciare la scaletta d’imbarco raramente e con grande sofferenza nel portafoglio. Lasciamo raffreddare le reazioni a caldo. È difficile, ma i numeri non sbagliano.

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BENIAMINO PAGLIARO, LA STAMPA -
Quanto contano le compagnie low cost nel mercato italiano?
Molto: nel lontano 2003 in Italia 77 passeggeri su 100 volavano con le compagnie tradizionali e appena 23 con le low cost. Da allora il cambiamento è stato netto: sono calate le vecchie compagnie e aumentate le low cost, fino a un sostanziale pareggio, con Ryanair e Alitalia che si contendono lo scettro del primo vettore. Nel 2008 più di un passeggero su due volava con un vettore italiano. Nel 2013 la quota è scesa al 34%.

Si viaggia di più rispetto al passato?
Sì. La liberalizzazione europea delle tratte ha cambiato tutto. Le low cost sono state la conseguenza: oggi gli italiani e gli europei usano gli aerei molto più spesso. Per molti l’aereo non è più il mezzo speciale per andare in vacanza: è l’autobus per andare al lavoro. Nei primi Anni Novanta gli aeroporti italiani erano sotto i 50 milioni di passeggeri all’anno. Nel 2014 i passeggeri sono stati 150,5 milioni: il triplo.

Come fanno le low cost a tenere i prezzi dei biglietti davvero bassi?
Alla fine degli Anni Ottanta, Micheal O’Leary, il presidente di Ryanair, è andato in Texas a studiare il modello della Southwest, la prima vera low cost del mondo. È tornato a Dublino con una sicurezza: gli aerei fanno soldi soltanto se sono in aria. Le low cost riducono al massimo il tempo di attesa tra l’arrivo di un volo e la partenza di quello successivo. Così gli aerei possono volare tutto il giorno, coprire molte rotte, e tenere bassi i prezzi. Inoltre il sistema dei prezzi delle low cost supera gli intermediari (le agenzie) ed è poi divenuto popolare in tutta l’industria. L’attenzione è tutta sul tasso di riempimento degli aerei, ovvero a non fare mai decollare un volo mezzo vuoto.

Ma quanto sono sicure le compagnie low cost?
L’incidente di ieri è il primo nella storia per un volo low cost in Europa. Non si può davvero concludere che siano meno sicure di quelle tradizionali, anzi. Di fatto, le compagnie usano aerei costruiti dai grandi produttori (Airbus e Boeing) e a volte hanno anche velivoli più nuovi. Ryanair, per esempio, ha completato nel 2014 un ordine da 200 Boeing 737 che porterà la flotta a quota 500 nel 2019. Già oggi l’età media della flotta è di cinque anni e mezzo. Anche i numeri confermano gli alti standard di sicurezza: nel Nord America, dei venti peggiori disastri, solo due hanno visto coinvolti voli di vettori low cost.

Alla fine, che differenza c’è tra low cost e tradizionali?
In effetti le differenze, soprattutto per i voli a raggio breve, quelli delle low cost, iniziano a essere poche. Questo preoccupa le vecchie compagnie, così tutti i grandi gruppi si sono dotati di una low cost. È più una scelta di marketing per attrarre i clienti che altro: spesso le low cost più antiche sfruttano la reputazione per attrarre clienti, anche se poi il prezzo delle compagnie tradizionali sarebbe ormai competitivo.
In Italia, oltre a Ryanair e Easyjet operano anche Germanwings (Lufthansa) Vueling (British-Iberia), Hop (Air France), Transavia (Klm), Air Berlin (Etihad) e altre ancora. Alitalia non aveva mai pensato a una vera low cost, ed è stata messa in difficoltà anche dalla concorrenza straniera in casa, prima dell’acquisizione da parte di Etihad.