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 2015  marzo 24 Martedì calendario

PERISCOPIO

Michaela Biancofiore: «Ogni uomo italiano è andato almeno una volta con una prostituta». Se facciamo la media con Berlusconi. Spinoza. Il Fatto.

Netanyahu: «La sinistra porta gli arabi a votare». E capirai, da noi, alle primarie ci vanno anche i cinesi e rom. Il rompispread. MF.

Lupi aveva dichiarato che non si sarebbe mai dimesso. Mai una volta che dica la verità. Edelman. Il Fatto.

Con la riforma della scuola, i presidi sceglieranno i professori. E i professori gli alunni. È la meritocrazia, bellezza. Finiti i tempi in cui tutti potevano insegnare o imparare. Presto i bambini entreranno a scuola per titoli o per esami, in seconda elementare già si dovrà scegliere l’azienda per cui lavorare appena diplomati. Lauree meglio di no, un master all’estero è meglio e costa meno. Tanto, paga chi lo frequenta. Massimo Bucchi, scrittore satirico. il venerdì.

Il giorno delle dimissioni di Maurizio Lupi alla Camera dei deputati non c’era il premier Matteo Renzi. Un po’ di ministri renziani però sono arrivati alla spicciolata. E una delle più importanti era senza dubbio Marianna Madia. Che però non ha ascoltato quasi nulla dell’intervento del ministro dimissionario e tanto meno del dibattito successivo. La Madia aveva ben altre questioni ingarbugliate da risolvere. Primo: l’auricolare del suo iPhone, che era tutto annodato. La ministra ci ha provato e riprovato, ma non è venuta a capo di nulla. Allora la Madia si è buttata sull’origami. E questa volta è stato un trionfo: quattro pieghette a un foglio, ed ecco uscire un meraviglioso anello da mettersi al dito. Double-face, perché allargandolo un po’ viene fuori uno splendido bracciale. Operazione così riuscita che il ministro della funzione pubblica pensa già di brevettarlo: l’anellacciale, l’anello-bracciale. Ne ha parlato con Beatrice Lorenzin, che non sembrava interessata. E con Paolo Gentiloni che si è mostrato subito entusiasta, chiedendo di rivelare (ma sottovoce, in gran segreto) le mosse di origami usate. La Madia era incerta, ma alla fine ha ceduto. E ha subito avvisato per sms il premier: ecco un mestiere con cui recuperare gli statali-fannulloni. Franco Bechis. Libero.it

Nel suo libro Il grande Califfato, Domenico Quirico ricorda, commosso, i volti entusiasti, puri, luminosi dei giovani della primavera araba e li confronta con i loro stessi volti allucinati, duri, malvagi ora che sono combattenti della jihad. È il passaggio dallo stato nascente alla istituzione. Avrebbe potuto vedere gli stessi volti luminosi a San Pietroburgo, a piazza Tienanmen, a Parigi, a Milano nel movimento studentesco e ritrovarli irrigiditi e amareggiati anni dopo. Lo stato nascente è l’esperienza universale dell’inizio, del nascere, della rivolta. È scoprire che tutto è possibile, che il mondo può essere meraviglioso e che ciò che abbiamo vissuto finora, quella di cui ci accontentavamo era, in realtà, una vita povera, inautentica. Francesco Alberoni. Il Giornale.

«Il Vuoto arrivò quell’anno in cui doveva cominciare la nostra vita a colori. In un’estate, in una piazza mentre eravamo chiusi in macchina ad aspettare i padri, quando le piazze erano parcheggi, quando c’erano ancora le estati e i padri. Il sapore degli anni Settanta era la liquirizia. I microassegni da cinquanta, cento e centocinquanta lire per comprare i giornaletti, usati, passati di mano in mano, per troppe mani. Eureka e le Sturmtruppen e il Gruppo Tnt e l’inchiostro che ti sporcava le dita. Il Guardiano del Faro, la musica ipnotica del moog. Il colore dei Settanta era il piombo del cielo. Le serrande chiuse, le sirene, le molotov e le Fiat 850 che bruciavano. «Alzati e vai a spegnere il televisore», in bianco e nero. Era finita Canzonissima, per l’ultima volta». Questo è l’incipit di La Repubblica del selfie. Dalla meglio gioventù a Matteo Renzi, l’ultimo, importante libro di Marco Damilano (Rizzoli). Aldo Grasso. Sette.

Livio Garzanti, quando ritornò alla sua casa editrice negli anni Novanta, non aveva più l’energia di un tempo, e aveva capito che il figlio non era interessato a succedergli. Quando decise di vendere, non aveva certo problemi economici; ma credo che, essendo un uomo di straordinaria autoconsapevolezza, avesse orrore di scoprirsi a fare il sopravvissuto. Gianandrea Piccioli, dirigente della Garzanti (Nanni Delbecchi), Il Fatto.

Non aveva ragione Totò che diceva: la morte è ’a livella, rende uguali. I religiosi infatti entrano subito nella Casa del Padre. Stando ai necrologi che ho raccolto, il privilegio tocca solo a 7 defunti su 100. Gli altri 93 devono aspettare in purgatorio o finiscono dritti all’inferno, ma non si deve dire. Non parliamo poi dei nobili. Cancellati dalla Costituzione, tornano a vivere con i loro titoli, come il napoletano «Don Fabio Tomacelli Filomarino, Principe di Boiano, Duca d’Atri, Cavaliere dell’I.R.O. di San Gennaro, Balì Gr. Cr. di Giustizia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Cavaliere di On. e Dev. del S.M.O. di Malta», sul Corriere, 2003. Guido Vigna, giornalista (Stefano Lorenzetto), Il Giornale.

Woody Allen è un grande regista ma un pessimo clarinettista! L’ho sentito tre volte, penso sia l’unico americano che non suoni bene il jazz. Il mio preferito è Charlie Parker. Con lui il jazz ha raggiunto la vetta, oltre non si poteva andare; così si sono cercate altre vie, ma con risultati discutibili. Pupi Avati, regista (Enrico Parola). Corsera.

Sul battello che finalmente la riportava a Bellagio, Renata, nonostante il freddo, aveva voluto andarsene a prua. Godeva dell’aria gelida che la sferzava dopo la soporifera domenica trascorsa presso la ville del Ghislanzoni ove ogni cosa, fino la risotto che era stato servito a tavola, le era sembrato di avere sapore di muffa. Andrea Vitali, La Figlia del Podestà. Garzanti. 2005.

I miei personaggi sono sbandati, travolti dalle basse maree della vita. Li accomuna la solitudine, ma, per non essere più soli, basta frequentarsi, creare una famiglia allargata, migliore di quella tradizionale. Ormai siamo diseducati all’affetto, stiamo con gli altri per interesse o virtualmente, ma i social sono cassonetti elettronici dove riversiamo il peggio di noi stessi. Fabio Genovesi, Chi manda le onde. Mondadori. (Annarita Briganti). la Repubblica.

La fortuna ama le persone non troppo sensate. Erasmo. il Foglio.

Sono un uomo modernamente antico. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 24/3/2015