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 2015  marzo 24 Martedì calendario

ADDIO AL PADRE-PADRONE DI SINGAPORE

Sette giorni di lutto nazionale. Ma Lee Kuan Yew, in fondo, non è morto: gli sopravvive Singapore, il suo capolavoro, nato come un azzardo in modello. Lee è scomparso a 91 anni nella città-Stato che aveva programmato così com’è, un fascio di grattacieli e di elvetica efficienza. L’uomo che fu premier dal 1959, ancora sotto la Corona britannica, al 1990, e che ha continuato a vigilare sul governo con il ruolo formale (e confuciano) di «mentore», era un figlio della diaspora cinese nel Sudest asiatico che aveva studiato in Inghilterra. Già prima dell’indipendenza (agosto 1965) l’ascesa economica era cominciata, con una ricchezza che già nel 1980 era 15 volte maggiore che nel 1960. Uno Stato senza risorse e senza tradizione, tra Paesi non propriamente amici, che guardava alla resilienza di Israele. Lee rivendicava il diritto a essere autoritario: finanza, commerci, stampa docile, metodi bruschi, il consenso costruito attraverso la prosperità condivisa. Libertà economiche, non politiche. Le tre etnie – cinesi, malesi e indiani – in equilibrio. Il paternalismo pragmatico di Lee sedusse in fretta Deng Xiaoping (l’infinitamente grande attratto dall’infinitamente piccolo). Anche la Cina di oggi continua a guardare a Singapore, ma resta la diffidenza di fondo verso Pechino. Lee non pensava che si potesse fare a meno di una presenza americana nella regione. E anche per questo, non solo per la taglia, la Cina non diventerà mai Singapore.